LEXICON (di Eliana Rotella, regia Giulia Sangiorgio)
Un tentativo di dirsi l’amore continuamente frustrato dalla distanza fisica, dal traffico, dal meteo, dalla personale ingiunzione al non dire e al non dirsi. Un dialogo tra due donne, in due città diverse, a confronto con la perplessa assenza dei genitori, con la mestizia del lavoro precario, con l’avvertimento della propria impotenza. Lexicon, presentato in forma di mise en espace per la rassegna ITACA del Teatro Fontana, è un testo che non si sforza di essere generazionale, eppure lo è. Nell’esergo che lo introduce, la sua autrice, Eliana Rotella, si sofferma sulla definizione del termine lexicon, che si lega generalmente a biblìon (“libro”), ma che è anche derivato da leksis (“discorso”). Della parola, allora, lexicon tiene in sé sia l’aspetto relazionale e performativo proprio del discorso (il dis-cursus, almeno secondo Roland Barthes, «indica, in origine, il correre qua e là, le mosse, i “passi”, gli “intrighi”»), sia quello cristallizzato e individuale del libro, della lettura privata. Al di là dei loro scambi frettolosi e distratti, compiuti tra il bordo del letto e la sella di una bicicletta, infatti, le due protagoniste si esprimono principalmente attraverso estesi messaggi ipotetici, cancellati, interrotti o disturbati, che fungono da luogo di elaborazione, mai decadente o compiaciuta, di un disagio economico, sociale ed esistenziale. I suoni ambientali, creati digitalmente da Andrea Centonza, come il ticchettio delle tastiere o lo scrosciare della pioggia, acuiscono questo senso di solitudine, creando vere gabbie sonore attorno alle due interpreti, Ilaria Felter e Lorena Nacchia che, con la regista Giulia Sangiorgio, completano la compagnia Corpora. Nell’incontro post spettacolo condotto da Claudia Cannella, Sangiorgio ipotizza di continuare a proporre Lexicon in questa “forma ridotta”, nell’attesa che una produzione si faccia avanti e decida di dare alla compagnia i mezzi per trasformarlo in uno spettacolo: una chiamata che, per veder esplodere scenicamente un testo così raffinato, mi sento di sottoscrivere. (Matteo Valentini)
Visto al Teatro Fontana ideazione compagnia Corpora testo di Eliana Rotella regia di Giulia Sangiorgio con Ilaria Felter, Lorena Nacchia, Eliana Rotella multimedia Andrea Centonza organizzazione Caterina Gruden grazie al sostegno di Zona K Testo finalista alla 57esima edizione del Premio Riccione -Tondelli Testo vincitore “Next Generation” – premio Carlo Annoni
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SPIRA (musica di Daniela Pes, regia e scenografia di Alessandra Mura)
La musica di Daniela Pes è senso sonoro, propagazione emotiva, spazio mentale nel quale far riaffiorare un'istintualità primigenia e tramite cui visualizzare la realtà che ci circonda. È corpo bruciante in viaggio verso i nostri sensi, a volte sembra che si scagli con dirompenza da anni luce di distanza, altre da un millesimo di istante prima. Racchiusa nel suo album d’esordio, Spira (2023), prodotto da Iosonouncane, c’è una mostruosità meravigliosa fatta di una lingua sacra in versi che attinge al gallurese antico e lo trasforma in un linguaggio umano e animale indefinito che si muove, ansima, si contorce, si libera esaltandosi in una partitura di sette schegge sonore. Dalla collaborazione tra Pes e Alessandra Mura, costumista e scenografa che cura gli abiti dell’artista durante il tour dell’album in corso, è nato questo evento parallelo per Biennale Teatro che dà a Spira, come riporta il libretto di sala, «una dimensione teatrale». Il disegno illuminotecnico costruito attorno alla figura di Pes è infatti quello di uno spettacolo che, tramite un’abbondanza di luci di taglio, mette in risalto la potenza dell’artista: al centro della suggestiva sala del Teatro alle Tese, lei è china su un tavolo dal quale suona, con malia stregonesca, i suoi brani servendosi di synth, sequenze e loop machine. Sarebbe bastata anche solo una luce a illuminare la totalizzante performatività di Pes senza che la sua figura venisse accostata a un’estetica non solo poco organica alla musica stessa ma appartenente a un immaginario teatrale ormai desueto (dai movimenti e costumi della danzatrice Lucrezia Zuliani, agli oggetti come le corde, i finti massi, l’abito appeso, il fumo). Il tappeto bianco viene illuminato a tratti dal palesarsi confuso dei gobos delle teste mobili alternate ai sagomatori di taglio e alle strobo, quest’ultime forse le più coerenti tra le scelte registiche. La teatralità del suono di Daniela Pes è insita nell’orecchio di chi la ascolta; “portare in scena” la sua musica è sicuramente una prova coraggiosa che però deve fare i conti con un progetto, quello di Spira, che si configura già come una creazione assoluta bastante a sé stessa. (Lucia Medri)
Visto a Biennale Teatro, Teatro alle Tese: musica di Daniela Pes, regia e scenografia di Alessandra Mura. Foto di Andrea Vezzù
WE ARE OUR ROOTS + REBECCA + SIMBIOSI (di Roberto Tedesco)
Roberto Tedesco è coreografo caparbio, terreno, onnivoro e molto attento a quel che accade nel qui&ora nonché (fortunatamente) senza pretese metafisiche. E sta raggiungendo una maturità di lavoro piena di futuro. Una felice testimonianza è stato il triplo programma creato e presentato nell’ingegnoso Nutida Festival di Scandicci (dove «nuove generazioni di danzatori/trici», si esibiscono in «forma “nuda”», facendo di necessità virtù). In un contesto quindi ibrido: all’aperto, all’ora del vespro, con il disegno luci soltanto del creato, e la partecipazione aleatoria della fauna circostante il giardino del Pomario, nel Castello dell’Acciaiolo. Qui Tedesco non ne ha sbagliata una. Ha presentato in anteprima We Are Our Roots, con Laila Lovino in scena col musicista Luca Pizzetti e il suo handpan (o disco armonico, strumento musicale idiofono in acciaio), lungo una verticale di trespoli, sulla quale il mirabile corpo dell’interprete viaggia nelle forme a ritroso della investigazione, tra rapidità di scatti e mnemonici automatismi alternati a calma e lentezze piene di stupori. Poi con Rebecca (in prima assoluta), per e interpretato da Rebecca Intermite, Tedesco si è misurato senza contingenza alcuna con la forma dell’assolo, e qui la quantità e originalità di materiale di movimento trovata e assemblata è davvero sorprendente. L’interprete è straordinaria: occupa con vigore e con imperio le traiettorie dello spazio che aprono a una continuità affermativa, in modo anche solenne, in una sorta di piacere nella deriva. La musica che accompagna (Eskmo & Brendan Angelides) costringe pure a una intimità personalissima, che trova il suo posto come un affetto di rivincita, di riparazione, di riconciliazione. Infine, con la versione compiuta di Simbiosi, danzata in forte e parallela consonanza da Laila Lovino e Melissa Bortolotti, Tedesco indaga il due che prova a essere uno. Anche qui le interpreti mostrano una perizia interpretativa che si completa in una presenza perfettamente organica, tra gesto ed espressione. La perdita della simbiosi originaria non è allora un trauma, ma l’indifferibile percezione di un compimento: il tempo. (Stefano Tomassini)
Visto al Giardino del Pomario, Castello dell'Acciaiolo, Nutida Crediti completi
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dal 25 al 29 Giugno 2025 dalle ore 10:00 alle ore 17:00
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Lunedì 23 giugno a Napoli, dalle ore 10:00 alle 13.00 e dalle 14:00 alle 18:00, presso lo spazio Körper in Via Vannella Gaetani 27, continua il percorso di formazione gratuito Strumenti base per l’organizzazione dello Spettacolo dal Vivo che propone una nuova masterclass dedicata all’organizzazione delle arti performative nello spazio pubblico.: nssuna scadenaz inserita