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WE ARE OUR ROOTS + REBECCA + SIMBIOSI (di Roberto Tedesco)

Questa recensione fa parte di Cordelia di giugno 25

Simbiosi ph Giampaolo Becherini

Roberto Tedesco è coreografo caparbio, terreno, onnivoro e molto attento a quel che accade nel qui&ora nonché (fortunatamente) senza pretese metafisiche. E sta raggiungendo una maturità di lavoro piena di futuro. Una felice testimonianza è stato il triplo programma creato e presentato nell’ingegnoso Nutida Festival di Scandicci (dove «nuove generazioni di danzatori/trici», si esibiscono in «forma “nuda”», facendo di necessità virtù). In un contesto quindi ibrido: all’aperto, all’ora del vespro, con il disegno luci soltanto del creato, e la partecipazione aleatoria della fauna circostante il giardino del Pomario, nel Castello dell’Acciaiolo. Qui Tedesco non ne ha sbagliata una. Ha presentato in anteprima We Are Our Roots, con Laila Lovino in scena col musicista Luca Pizzetti e il suo handpan (o disco armonico, strumento musicale idiofono in acciaio), lungo una verticale di trespoli, sulla quale il mirabile corpo dell’interprete viaggia nelle forme a ritroso della investigazione, tra rapidità di scatti e mnemonici automatismi alternati a calma e lentezze piene di stupori. Poi con Rebecca (in prima assoluta), per e interpretato da Rebecca Intermite, Tedesco si è misurato senza contingenza alcuna con la forma dell’assolo, e qui la quantità e originalità di materiale di movimento trovata e assemblata è davvero sorprendente. L’interprete è straordinaria: occupa con vigore e con imperio le traiettorie dello spazio che aprono a una continuità affermativa, in modo anche solenne, in una sorta di piacere nella deriva. La musica che accompagna (Eskmo & Brendan Angelides) costringe pure a una intimità personalissima, che trova il suo posto come un affetto di rivincita, di riparazione, di riconciliazione. Infine, con la versione compiuta di Simbiosi, danzata in forte e parallela consonanza da Laila Lovino e Melissa Bortolotti, Tedesco indaga il due che prova a essere uno. Anche qui le interpreti mostrano una perizia interpretativa che si completa in una presenza perfettamente organica, tra gesto ed espressione. La perdita della simbiosi originaria non è allora un trauma, ma l’indifferibile percezione di un compimento: il tempo. (Stefano Tomassini)
Visto al Giardino del Pomario, Castello dell’Acciaiolo, Nutida Crediti completi

Cordelia, giugno 2025

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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