HomeArticoliIl teatro anatomico di Latella e la morte accidentale dell'anarchico

Il teatro anatomico di Latella e la morte accidentale dell’anarchico

Recensione. Morte accidentale di un anarchico di Dario Fo e Franca Rame messo in scena dal Teatro Bellini con la regia di Antonio Latella. In programma anche dal 12 al 26 ottobre 2025.

Foto Flavia Tartaglia

Comincia con le luci di platea accese e con due attori vestiti di nero che portano sulle spalle (senza il pathos kantoriano) due pupazzi, nel mentre Daniele Russo inizia a camminare guardando in basso, vicino al bordo della passerella: un gigantesco praticabile sagomato sulla classica forma dell’uomo a terra, il cadavere stilizzato dalle autorità, qui, verrebbe da dire, il cadavere di una nazione. Una delle ultime importanti produzioni del capolavoro della coppia Fo/Rame fu con l’interpretazione di Eugenio Allegri, nei primi anni 2000, per la compagnia dell’Elfo, la regia era di Ferdinando Bruni e in quel caso la scena di Carlo Sala esasperava il carattere surreale dell’opera, sul palco appariva una questura piena zeppa di libri impolverati, una sorta di incubo burocratico. Anche il progetto scenografico di Giuseppe Stellato si nutre di un’idea simbolica, ma nel segno dell’essenzialità e della grandezza installativa che ridisegna l’intero spazio teatrale. La struttura è nel mezzo della platea del Teatro Bellini, le poltrone rimanenti sono vuote perché il pubblico è sistemato sui palchetti e sul palco dove è stata costruita una gradinata dietro il sipario: siamo tutti e tutte costretti a guardarci, spettatori e giudici di un teatro anatomico in cui Antonio Latella, per mezzo del testo di Dario Fo e Franca Rame, disseziona le aporie della storia italiana mettendocele davanti agli occhi come un fatto del presente. Questo Morte accidentale di un anarchico, prodotto dal Teatro di Rilevante Interesse Culturale napoletano in chiusura di stagione (ma già confermato per il prossimo anno), non solo rappresenta la continua sfida del regista campano ai linguaggi teatrali, ma è soprattutto un atto di riflessione sul nostro passato (e dunque sul nostro presente) e sulla giustizia. Ecco allora che l’adattamento firmato da Federico Bellini non ha bisogno di tirare in ballo l’indicazione del testo che cautelativamente richiamava la volontà di raccontare un fatto degli anni ‘20 accaduto negli Stati Uniti simile a quello accaduto nella questura di Milano. Il riferimento americano serviva a Fo e alla sua compagnia come parafulmine contro le denunce e le ispezioni. Cosa che non servì poi molto dato che quella produzione teatrale dovette affrontare una quarantina di processi. A raccontarlo è lo stesso Fo anni dopo, durante una replica del testo del 1987 ripresa dalla Rai; qui l’autore ricorda le intimidazioni subite, e le decine di convocazioni in tribunale, tanto che la tournée dovette anche seguire proprio i calendari delle convocazioni processuali. Nella lunga e incontenibile introduzione allo spettacolo, in quella stessa replica televisiva, l’autore e attore metteva in evidenza anche un’altra caratteristica fondamentale del lavoro, l’urgenza di rimanere agganciato alla realtà, alla cronaca. Il testo veniva di volta in volta aggiornato con le ultime novità emerse dalle indagini, dai fogli della procura e dalle inchieste giornalistiche.

Foto Flavia Tartaglia

Latella e Bellini non devono temere nessuna censura e anzi possono permettersi di far esplodere quei richiami che maggiormente ci ricordano il presente senza però il bisogno di rischiose attualizzazioni, anche perché basta la vicenda a far tornare alla mente altri episodi di ingiustizia e violenza più recenti di cui le forze dell’ordine sono state protagoniste – dalla Diaz a Bolzaneto fino ai casi Cucchi e Aldrovandi, per ricordarne solo alcuni. E se pensiamo alla stretta di questo Governo con il DDL sicurezza ecco allora che la battuta sugli agenti in borghese presenti tra il pubblico non sembra poi così assurda: «Non preoccupatevi, questi sono attori… quelli veri ci sono e stanno zitti e seduti», facevano dire Fo e Rame al Matto.

Foto Flavia Tartaglia

Dal punto di vista drammaturgico il testo (che nel ’26, a cento anni dalla nascita di Fo, andrà in scena anche con la regia di Giorgio Gallione) vive di un escamotage classico ma funzionale: una sorta di furfantello, un mitomane con manie psichiche e l’ossessione per il cambio di identità entra in questura fingendosi giudice della Corte di Cassazione con l’intento, dice, di voler aiutare i protagonisti della vicenda – quella relativa alla morte di Pinelli naturalmente – per contrastare le indagini interne e quelle esterne di stampa e opinione pubblica. Naturalmente come accade per i “matti” del teatro shakesperiano è intelligentissimo, anzi qui è il più intelligente, dato che gli altri personaggi maschili si accartocciano in caricature satiriche.

Foto Flavia Tartaglia

Latella, grazie alla mediazione drammaturgica di Federico Bellini, fa tutto con cinque attori, e va detto, sono straordinari prima Annibale Pavone, Edoardo Sorgente ed Emanuele Turetta a impersonare i grotteschi agenti, commissari, questori e faccendieri della kafkiana macchina poliziesca, per la capacità di portarsi sulle spalle le maschere dei diversi personaggi; come d’altronde è mirabile la prova del padrone di casa: Daniele Russo è una calamita per lo spettatore e Latella giustamente per lui ha ritagliato una recitazione iper razionale fatta di calma e realismo, in un raffinato contrasto con il grottesco da fumetto degli altri: «devo trovare una camminata», afferma il matto prima di provare le proprie doti di attore trascinando i piedi o zoppicando. E poi lei, vera e propria apparizione scenica, Caterina Carpio, nei panni della giornalista, con una parrucca di lunghi ricci, tacchi altissimi rossi sotto un vestito blu: il suo esordio in scena, nel secondo tempo, è un recitar cantando in versi, su una musica di piano come accompagnamento, è un a parte che ci riconnette con la verità e l’urgenza di giustizia.

Foto Flavia Tartaglia

Come al solito non mancano le idee registiche (come quella di far apparire qualche berretto da poliziotto tra il pubblico col riaprirsi del sipario), ma sono tutte al servizio del testo e della vicenda in esso contenuta, minuto dopo minuto emergono le contraddizioni legate alla morte del giovane anarchico Pinelli e il matto grazie alla sua lucida intelligenza registica rimette in scena l’accaduto: il ferroviere era accusato insieme a un altro anarchico, Pietro Valpreda dell’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana, a Milano. Ma la strage che costò la vita a 17 persone e che sanciva l’inizio della cosiddetta strategia della tensione – subito dopo le prove generali delle bombe alla fiera e alla stazione – non aveva una matrice nell’estrema sinistra (come per incapacità o secondi fini credevano gli inquirenti) ma nell’eversione di destra, quella relativa alla formazione neofascista Ordine Nuovo. Giuseppe Pinelli era dunque innocente, perché avrebbe dovuto suicidarsi gettandosi dalla questura di Milano? Se di suicidio si è trattato cosa è accaduto in quei tre giorni di interrogatori? Il sapiente lavoro del matto con ironia tagliente mette in evidenza le incoerenze del caso, come quella celebre delle tre scarpe per la quale un agente affermò di aver tentato di afferrare Pinelli per un piede riuscendo solo a trattenere una scarpa, ma due furono le calzature trovate in terra vicino al corpo. E poi l’autolettiga chiamata cinque minuti prima, l’altezza del davanzale rispetto al metro e sessantasette di Pinelli: «Perché la chiamano finestra-cavalcioni?» chiede l’irreprensibile giornalista come prima domanda al commissario (quello che nella realtà è stato il commissario Luigi Calabresi, ucciso poi da esponenti di Lotta Continua).

Foto Flavia Tartaglia

Il matto avrà un registratore con sé e una bomba; Latella e Bellini si fermano qualche battuta prima di Rame e Fo, forse la bomba che nel testo viene gettata dalla finestra qui deflagra senza lasciare scampo, ma il focus ritorna sui corpi posticci, i fantocci, che ora cominciano a esalare fumo. Sono tutti stesi sulla pedana, pupazzi e attori, corpi dentro al corpo della scena, mentre le luci si abbassano, gli attori tornano in vita, come sempre, e i cadaveri rimangono cadaveri.

Andrea Pocosgnich 

Maggio 2025, Napoli, Teatro Bellini

Morte accidentale di un anarchico
di Dario Fo e Franca Rame
regia Antonio Latella
con in o/a
Caterina Carpio, Annibale Pavone, Daniele Russo, Edoardo Sorgente, Emanuele Turetta
dramaturg Federico Bellini
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
movimenti Isacco Venturini
assistente alla regia Mariasilvia Greco
pupazzi realizzati presso il Laboratorio Alovisi Attrezzeria
costumi realizzati presso il Laboratorio di Sartoria del PICCOLO TEATRO DI MILANO – TEATRO D’EUROPA
produzione Fondazione teatro di Napoli – Teatro Bellini

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Ministero, Teatro. E se facessimo parlare le carte?

Il 28 giugno abbiamo scritto in seguito alle valutazioni emesse dalle Commissioni Consultive di Danza e Multidisciplinare. Due giorni dopo sono state diffuse le...