| Cordelia | giugno 2025 

Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.

Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo. Cordelia di giugno 2025 è online da oggi, seguila anche nei prossimi giorni, troverai altre recensioni.

Qui gli altri numeri mensili di Cordelia

#VENEZIA

SPIRA (musica di Daniela Pes, regia e scenografia di Alessandra Mura)

La musica di Daniela Pes è senso sonoro, propagazione emotiva, spazio mentale nel quale far riaffiorare un'istintualità primigenia e tramite cui visualizzare la realtà che ci circonda. È corpo bruciante in viaggio verso i nostri sensi, a volte sembra che si scagli con dirompenza da anni luce di distanza, altre da un millesimo di istante prima. Racchiusa nel suo album d’esordio, Spira (2023), prodotto da Iosonouncane, c’è una mostruosità meravigliosa fatta di una lingua sacra in versi che attinge al gallurese antico e lo trasforma in un linguaggio umano e animale indefinito che si muove, ansima, si contorce, si libera esaltandosi in una partitura di sette schegge sonore. Dalla collaborazione tra Pes e Alessandra Mura, costumista e scenografa che cura gli abiti dell’artista durante il tour dell’album in corso, è nato questo evento parallelo per Biennale Teatro che dà a Spira, come riporta il libretto di sala, «una dimensione teatrale». Il disegno illuminotecnico costruito attorno alla figura di Pes è infatti quello di uno spettacolo che, tramite un’abbondanza di luci di taglio, mette in risalto la potenza dell’artista: al centro della suggestiva sala del Teatro alle Tese, lei è china su un tavolo dal quale suona, con malia stregonesca, i suoi brani servendosi di una loop machine. Sarebbe bastata anche solo una luce a illuminare la totalizzante performatività di Pes senza che la sua figura venisse accostata a un’estetica non solo poco organica alla musica stessa ma appartenente a un immaginario teatrale ormai desueto (dai movimenti e costumi della danzatrice, agli oggetti come le corde, i finti massi, l’abito appeso, il fumo). Il tappeto tatami bianco viene illuminato a tratti dal palesarsi confuso delle luci gobos alternate alle strobo, quest’ultime forse le più coerenti tra le scelte registiche. La teatralità del suono di Daniela Pes è insita nell’orecchio di chi la ascolta; “portare in scena” la sua musica è sicuramente una prova coraggiosa che però deve fare i conti con un progetto, quello di Spira, che si configura già come una creazione assoluta bastante a sé stessa. (Lucia Medri)

Visto a Biennale Teatro, Teatro alle Tese: musica di Daniela Pes, regia e scenografia di Alessandra Mura. Foto di Andrea Vezzù

#SCANDICCI

WE ARE OUR ROOTS + REBECCA + SIMBIOSI (di Roberto Tedesco)

Roberto Tedesco è coreografo caparbio, terreno, onnivoro e molto attento a quel che accade nel qui&ora nonché (fortunatamente) senza pretese metafisiche. E sta raggiungendo una maturità di lavoro piena di futuro. Una felice testimonianza è stato il triplo programma creato e presentato nell’ingegnoso Nutida Festival di Scandicci (dove «nuove generazioni di danzatori/trici», si esibiscono in «forma “nuda”», facendo di necessità virtù). In un contesto quindi ibrido: all’aperto, all’ora del vespro, con il disegno luci soltanto del creato, e la partecipazione aleatoria della fauna circostante il giardino del Pomario, nel Castello dell’Acciaiolo. Qui Tedesco non ne ha sbagliata una. Ha presentato in anteprima We Are Our Roots, con Laila Lovino in scena col musicista Luca Pizzetti e il suo handpan (o disco armonico, strumento musicale idiofono in acciaio), lungo una verticale di trespoli, sulla quale il mirabile corpo dell’interprete viaggia nelle forme a ritroso della investigazione, tra rapidità di scatti e mnemonici automatismi alternati a calma e lentezze piene di stupori. Poi con Rebecca (in prima assoluta), per e interpretato da Rebecca Intermite, Tedesco si è misurato senza contingenza alcuna con la forma dell’assolo, e qui la quantità e originalità di materiale di movimento trovata e assemblata è davvero sorprendente. L’interprete è straordinaria: occupa con vigore e con imperio le traiettorie dello spazio che aprono a una continuità affermativa, in modo anche solenne, in una sorta di piacere nella deriva. La musica che accompagna (Eskmo & Brendan Angelides) costringe pure a una intimità personalissima, che trova il suo posto come un affetto di rivincita, di riparazione, di riconciliazione. Infine, con la versione compiuta di Simbiosi, danzata in forte e parallela consonanza da Laila Lovino e Melissa Bortolotti, Tedesco indaga il due che prova a essere uno. Anche qui le interpreti mostrano una perizia interpretativa che si completa in una presenza perfettamente organica, tra gesto ed espressione. La perdita della simbiosi originaria non è allora un trauma, ma l’indifferibile percezione di un compimento: il tempo. (Stefano Tomassini)

Visto al Giardino del Pomario, Castello dell'Acciaiolo, Nutida Crediti completi

#TORINO

BOUFFÉES + C’EST TOI QU’ON ADORE (coreografie di Leïla Ka)

Uno dei capolavori pittorici nella Galleria Sabauda dei Musei Reali di Torino è La suonatrice di liuto (ca. 1520) di Maestro delle mezze figure femminili («nome convenzionale con il quale si identifica una bottega molto attiva fra terzo e quarto decennio del Cinquecento nelle Fiandre, probabilmente ad Anversa»). Ecco, le cinque splendide danzatrici di Leïla Ka, viste a Torino per il festival Interplay/25, mi hanno ricordato fattezze e perizia di questa stessa tradizione fiamminga. In Bouffées, cinque donne schierate a mezza figura si asciugano lacrime, immobili davanti a noi, e poi orchestrano sequenze di sbuffi e di gesti in contrappunto o a cànone, secondo una perfetta partitura compositiva. Anche le cadute a terra sono orchestrate, secondo il ritmo serrato della doglianza, il respiro della contrizione, ma anche la dinamica della ripartenza, della risalita: la speranza contro ogni speranza. La rinascita («curare l’incurabile») è dunque una virtù, piena di destrezza fisica e di bravura performativa, che è proprio un trend di ritorno nella performance contemporanea. Nel duo C’est toi qu’on adore, danzato da Océane Crouzier e Mathilde Roussin, un sincrono si ripropone, di resistenza e di cedimento, qui però in una presa dello spazio che anche varia le geometrie del movimento, scansiona paure della distanza e successioni di incontri di nuovo all’unisono, per poi alternarsi con anche ricadute nell’hip-hop. Un clavicembalo prima, nel volume di un’orchestra poi, rimanda la sarabande di Händel (quella di Barry Lyndon, per intenderci) che si ripete e si frammischia a musica elettronica, come in uno scorcio drammatico che si ripropone, in una battaglia di resistenza e di restituzione, anche all’amore. Di nuovo, queste figure femminili piene di concentrazione e di intimità, come nella pittura fiamminga sembrano miniature dinamiche di una realtà osservata per frammenti, ma unificata attraverso la tessitura compositiva. Di nuovo Leïla Ka restituisce vita al testuale, con scelte compositive che qui aprono più punti di fuga, letteralmente assediando il nostro sguardo, pronto a ricevere tanta forza, e perizia. (Stefano Tomassini)

Visto al Teatro Astra per Interplay/2025 - Leggi crediti completi

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