| Cordelia | maggio 2025
Tra le tre figlie di Re Lear, Cordelia, è quella sincera. Cordelia ama al di là del tornaconto personale. Gli occhi di Cordelia appaiono meno riverenti di altri, ma sono giusti. Cordelia dice la verità, sempre.
Cordelia è la rubrica delle recensioni di Teatro e Critica. Articoli da diverse città, teatri, festival, eventi e progetti. Ogni recensione è anche autonoma, con una propria pagina e un link nel titolo. Cordelia di maggio 2025 è online da oggi, seguila anche nei prossimi giorni, troverai altre recensioni.
#NAPOLI
SEROTONINA (regia Patrick Guinand)
L’uomo di Houellebecq zuppo di misoginia, virilità fallica, fastidio per la puzza degli “altri” (gay, ciechi, poveri, stranieri, senzatetto) e disprezzo per i rattoppi di sinistra messi al reale. Vino e antidepressivi, tra ricordi di scopate e un sentimento di debacle. In Serotonina è sul ciglio d’una fossa che ha la forma d’una stanza asettica, scelta per non lasciare impronte, eredità. Sta dunque a un istante dalla morte, a un passo dal suicidio. Due conseguenze: può dire solo il passato, nell’attimo estremo e dilatato del presente; parla troppo – non per rinviare la fine, come in Beckett, ma per andare vuoto d’ogni peso e sfogo all’aldilà, come in Bernhard. Abita una stanza bianca, poltrona, divano, finestre con tapparelle chiuse su un fondo che a un punto s’apre sul buio (è la notte scelta per non farsi vedere sfracellato), a destra lo scarico dell’immondizia in cui versare vetro, lattine e uova (sabota così la differenziata cara ai borghesi eco-responsabili), a sinistra la custodia che allude a una tastiera e serba un fucile, con cui fa coincidere memoria dell’ascolto di un disco e decisione di farla finita. Ha la chiarezza d’occhi (sotto cui però sta l’abisso), il volto glabro e i gesti di rancore (mai privi d’eleganza) di Andrea Renzi, attorno a cui gira Rebecca Furfaro, che fa da serva di scena, spettro, restanza e controcanto: porta oggetti, partecipa al racconto, commenta certe frasi scuotendo la testa, annuncia il lutto cambiando la sottoveste bianca dell’inizio con una identica, di colore nero. D’accordo, sapere d’un uomo è scoprire un mondo: vale sempre la pena. E Andrea Renzi se ne fa carico testimoniandolo per incarnazione. Ma la letteratura resta (troppo) letteratura. Due ore di parole frontali, corpo pressato in proscenio, disequilibrio tra verbo e azioni, nessuna emersione di un immaginario dalle parole. Che sono portate ma non trasformate sul palco in qualcos’altro. Ciò che vediamo insomma è quel che è, punto. Verrebbe da chiedere al regista Patrick Guinand: qui il teatro in che consiste? E al Nazionale che l’ha prodotto: sicuri di aver fatto la scelta giusta? (Alessandro Toppi)
Visto al Mercadante di Napoli. Crediti: adattato da Serotonina di Michel Houellebecq, adattamento e regia Patrick Guinand con Andrea Renzi e Rachele Furfaro, scene Claude Santerre, costumi Giuseppe Avallone, disegno luci Hervé Gary; aiuto regia Manuel Di Martino, produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale.
#Roma
COSTELLAZIONE VICINELLI (di Gruppo RMN)
La ricerca teatrale è fatica, abnegazione, ossessione, lampi di genio, pazienza, anche noia, quella di dover tornare su alcuni concetti, quella di dover ripetere la stessa scena fino a quando “gira” come dovrebbe. Tutto per un risultato effimero ma unico. Il collettivo Gruppo RMN lavora da due anni a un oggetto misterioso: uno spettacolo che possa gettare una luce su una poeta troppo poco conosciuta, Patrizia Vicinelli, ponendosi anche un interrogativo che fa tremare i polsi: cos’è un* artista oggi, chi decide cosa sia un* artista? Il lavoro, vincitore del festival inDivenire 2024 e presentato proprio al debutto allo Spazio Diamante (e poi all’Angelo Mai), comincia da quella commissione fatta da burocrati e consulenti che nel 1990, a seguito di un appello di intellettuali sostenitori, doveva analizzare la domanda che avrebbe portato l’artista bolognese a usufruire o meno del vitalizio. Nella scena vuota ciò che è più visibile è la postazione per la musica live di Leo Merati che accompagnerà lo spettacolo determinandone le atmosfere sonore. Leonardo Bianconi, Luisa Borini, Giulia Quadrelli, Francesco Tozzi raccontano il dispiegarsi stesso della ricerca dando voce alle persone intervistate, quasi facendoci visualizzare il lavoro negli archivi, le discussioni con i professori che a Vicinelli sono stati vicini. E se la teatralizzazione del processo creativo e delle sue difficoltà è ancora da mettere a punto o da ripensare (affinché non risulti una scelta di maniera) è per il tentativo riuscito - civile e culturale - di fermare per qualche minuto la figura sfuggente di Vicinelli che questo spettacolo merita di essere visto: in questa urgenza di trasmettere la febbrile passione per un’artista che incarnava la poesia nelle sue performance vocali, nella capacità e urgenza di dare al verso una potenza visiva, nella sperimentazione incessante che la portava ad attraversare altre forme di arte e rappresentazione, si veda la partecipazione al cast di Amore tossico di Caligari, proprio lei che all’eroina aveva intrecciato la propria vita, fino alla morte per aids nel 1991. (Andrea Pocosgnich)
Visto allo Spazio Spazio Diamante con Leonardo Bianconi, Luisa Borini, Leo Merati, Giulia Quadrelli, Chiara Sarcona, Francesco Tozzi | consulenza letteraria di Allison Grimaldi-Donahue produzione esecutiva Atto Due. Spettacolo vincitore del Festival inDivenire 2024
#MILANO
LADY MACBETH. GOD SAVE THE QUEEN (di Debora Benincasa)
Nello spazio di Z.I.A (Zona Indipendente Artistica), Debora Benincasa si mostra con parsimonia. Inizia il suo monologo, intitolato Lady Macbeth. God save the Queen, dentro una struttura lignea – che diventerà leggio, secretaire, letto, trono – da cui fa emergere ora una mano, ora un tacco, ora il volto, piagato da un’insopprimibile noia, e infine il corpo, modellato in un abito anni ’20, con paillettes da flapper e diadema Art Déco. Ci inchioda con lo sguardo, mentre oppone a tutto ciò che le si posa davanti un sarcasmo zoologico: chiama le serve «piccole ermelline scaltre»; vede negli occhi del marito «padelle da opossum bastonato»; sogna, per il proprio martirio, l’accoppiamento con una mantide religiosa. La scrittura di Benincasa declina variamente il disgusto di Lady Macbeth di fronte all’inerzia del mondo e ne arricchisce la foga e la scaltrezza, desunte da Shakespeare, con una brama da esteta dannunziana, in corsa verso il raggiungimento orgastico del potere. «Non amo che le rose che non colsi», scriveva Guido Gozzano, e così anche lei, una volta raggiunto l’apice del prestigio, prova insoddisfazione contemplando il suo reame: «La vista – ammette – è uguale a tutte le altre». Nel finale, se, da una parte, il racconto dei traumi infantili di Lady Macbeth sembra rispondere frettolosamente alla tendenza contemporanea di rileggere le grandi cattive come ex-buone tradite nell’amore e nell’innocenza (si veda alla voce Maleficent), dall’altra è molto affascinante, coerente e ben preparato il passaggio della regina dal bovarismo estenuato delle prime battute, che vorrebbe cogliere in fallo i propri servitori per provare il brivido di punirli, al suo desiderio di essere sfidata, combattuta e consumata da sudditi – e, in un sottile ribaltamento metateatrale, da spettatori – troppo compiacenti perfino per scongiurarne il suicidio. (Matteo Valentini)
Visto allo Z.I.A. di e con Debora Benincasa co- regia e ricerca movimenti Simone Ceccobelli scengorafia Adele Gamba costumi Simone Randazzo Suono e voci Martino Scaglia e Flavia ChiacchellaLighting designer Andrea Gagliotta produzione Anomalia Teatro
#CATANIA
NON DOMANDARMI DI ME. MARTA MIA (di K. Ippaso, regia A. A. Caruso)
New York, 10 dicembre 1936: Marta Abba annuncia al pubblico del Plymouth Theatre la morte imprevista di Luigi Pirandello. Ciò avviene anche in Non domandarmi di me, Marta mia, dramma di Katia Ippaso, la quale recupera, vivificandolo, il carteggio tra drammaturgo e attrice, per la regia di Arturo Armone Caruso. Elena Arvigo, come Abba, informa all'inizio dello spettacolo il pubblico del medesimo decesso, e davvero agli spettatori della Sala Futura dello Stabile di Catania sembra che questo si sia appena consumato. Ma il dramma è soprattutto dentro, nel raccoglimento in cui la Abba di Arvigo si rifugia, tra le numerose lettere che invadono lo spazio del suo appartamento a Manhattan. La scena (di Francesco Ghisu) è una macchina di rumori e suoni (di Maria Fausta) posta al servizio della rievocazione. Cigolii, attriti, melodie e canzonette anni '30 danno avvio al dramma; una valigia, alcuni mobili di gusto déco sono l'essenziale caratterizzazione dello spazio. Tra questi oggetti, in un flebile chiaroscuro, la Abba di Arvigo affronta la sua profonda elaborazione del lutto, ma anche una profonda meditazione sul senso della scrittura e dell'interpretazione. Lo fa attraverso le parole del carteggio, salvate dalla delicata ri-scrittura di Katia Ippaso, il cui testo è opera di recupero poetico, non solo filologico; dalla magistrale interpretazione di Elena Arvigo la quale, nei panni di Abba, ha donato al pubblico non solo la protagonista, ma pure la sua intensa esperienza umana; dalla regia di Arturo Armone Caruso, che ha saputo concedere adeguati tempo e spazio alla presenza dell'interprete. È un bilancio sentimentale, nel senso più puro del termine. Arvigo si addentra in una vulnerabilità delicata e cangiante, sempre lontana da eccessi patetici. Non è soltanto Marta Abba, ma anche le donne che questa ha incarnato: da Nina, che per prima le ha guadagnato la positiva recensione di Praga sull'Illustrazione Italiana, alle numerose pirandelliane (tra le altre: la Madre, Donata Genzi, Ilse) Tutte prendono parte a questo finale colloquio col personaggio, in una rapsodia di lettere, parole, corpo ed esistenze. «La vita la si vive o la si scrive», scriveva il drammaturgo: qui, la si interpreta anche . (Tiziana Bonsignore)
Visto al Teatro Stabile di Catania, Sala Futura. Crediti: di Katia Ippaso, intorno al carteggio Luigi Pirandello – Marta Abba, regia di Arturo Armone Caruso con Elena Arvigo assistente alla regia Giulia Dietrich musiche originali MariaFausta scene Francesco Ghisu disegno luci Giuseppe Filipponio image designer Elio Castellana produzione Nidodiragno/CMC Foto di Manuela Giusto