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Esodo di Emma Dante. Scardinare Edipo

Al Festival di Spoleto è andato in scena Esodo, la rilettura dell’Edipo re firmata da Emma Dante, con gli allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo. Recensione

Foto Maria Laura Antonelli

«A me piace esplorare il mito, scardinarlo e reinterrogarlo». In un’intervista, apparsa su queste pagine nell’ottobre del 2017, Emma Dante raccontava così la propria relazione con l’immaginario della classicità. Dei tre verbi scelti, quello che sembra adattarsi più precisamente all’operazione svolta con Esodo – una rilettura dell’Edipo re di Sofocle andata in scena nella Chiesa di San Simone durante la scorsa edizione del Festival di Spoleto – è forse “scardinare”.

Attenendoci a un piano “letterale” di visione, lo svolgimento del racconto mitico appare organico e fedele: lo si potrebbe definire lontano da ogni lezione attualizzante, se non fosse per la presenza dei dialetti (non solo il siciliano, ma anche il romano e qualche ibridazione) e alcuni elementi che rimandano a una coralità gitana, come nella folgorante scena iniziale. Su ciascuna delle sedie di plastica, che disegnano la geometria degli spalti nell’ambiente disadorno della chiesa duecentesca, è posato un foglio sul quale spicca un verso del Vangelo di Matteo (35,25): «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato». Un cenno liturgico che agisce come un lieve prologo al dispiegarsi della tragedia e che stabilisce con essa una relazione contro-intuitiva, attraverso la quale si crea un significato aumentato: una “trasversalità narrativa” che suggerisce la possibilità del racconto di rigenerarsi nel tempo e attraverso le culture, senza doverla dimostrare con un allestimento o una drammaturgia che immettano elementi esposti di modernità.

Foto Maria Laura Antonelli

La luce morbida e smagliante, curata da Cristian Zucaro, si sofferma sui corpi con un tratteggio preciso, operando focalizzazioni mai votate alla pura estetica: in essa si muovono Sandro Maria Campagna, attore storico di Dante, e i sedici allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo. La componente di forte artigianalità e autorialità – sempre valorizzata da Dante nel lavoro con i giovani attori – è particolarmente evidente osservando il rapporto fisico che essi stabiliscono con la matericità della scena: fin dal quadro iniziale, segnato dal movimento percussivo dell’ingresso della carovana, gli attori dimostrano una padronanza leggera e consapevole dello spazio, votata però alla “terrestrità”, attenta alla costruzione di un suono naturale (vocalizzazione, versi di animali, strumenti musicali improvvisati e non, relazione fisica e costante con il legno della scena e degli oggetti che la abitano). In questo modo, oltre a rendere lo spazio cassa armonica di un “pensiero fonico” articolato e zampillante, la regia di Emma Dante si occupa di generare un habitat nuovo per alcuni elementi ricorrenti nel suo teatro (codici prossemici, costruzione di figure, uso di uomini in funzione di donne) capace di risemantizzarli.
È in questo senso che il mito viene davvero “scardinato”, nell’accezione di estratto dalle impalcature (retoriche, filologiche, di assegnazione di significato) che lo sorreggono e consegnato come un dispositivo denso ma nudo, per questo folgorante pur nella notorietà dello svolgimento tragico.

Foto Maria Laura Antonelli

Negli ultimi mesi abbiamo scritto di vari approcci, molto diversi tra di loro, al “classico”: dalle operazioni firmate da Andrea Baracco, volte a massimizzare visivamente, e con cura filologica, il fascino di Shakespeare o di Bulgakov, al «realismo globale» teorizzato da Milo Rau nel Manifesto di Gent, che vieta l’adattamento letterale del testo sorgente e chiede invece che il suo potenziale sia reimpiegato in ottica “situazionista”, sviluppando in modo esplicito e innovativo la relazione tra l’opera e il presente.
Il lavoro di Emma Dante sull’Edipo re si colloca in una specifica zona, forse equidistante tra queste impostazioni. Pur mantenendo rigorosamente il dipanarsi narrativo (e dunque andando in direzione dell’adattamento letterale), fin dalla variazione del titolo genera alcuni varchi, affidando allo spettatore la possibilità di estendere la propria interpretazione verso al presente anche se non espresso direttamente oppure di guardare una tragedia antica appena impreziosita da alcuni colorati escamotage di scena. 

Foto Maria Laura Antonelli

Edipo si allontana dalla propria terra, sotto il peso oscuro della profezia e della colpa, seguito dalla sua piccola comunità, per riparare in un altrove sconosciuto, e lungo il viaggio si dispiega la sua storia. In qualche modo, quel rapporto tra la tragedia e l’attualità – che in Rau è esposto, anzi moltiplicato dalla tecnologia – viene qui giocato in un cono d’ombra, e dunque affidato, come un mistero, a una decodifica che si situa fuori dalla razionalità.

Anche in questa libertà, che la regia lascia allo spettatore, di avvertire o meno la presenza degli orrori, la cronaca dell’immigrazione, dentro il flusso dell’antico si può individuare la profonda originalità di un pensiero e un linguaggio artistico che, pure quando schierati, vogliono mettere in moto un livello di attenzione più sottile. In questo modo sembra generarsi una prassi aperta e problematica che si tiene lontana dall’impostazione “noi contro loro” che contraddistingue entrambe le parti di un discorso politico ormai sprofondato. Se “dire chi si è”, in tempi di emergenza culturale e civile, può costituire un dovere, la scelta di farlo senza mutuare alcuna formula, alcun assioma, alcuna modalità di strutturazione del pensiero dalla retorica (dell’odio) del proprio antagonista, è forse l’ultima strada, vaga e complessa, concessa all’artista.

Ilaria Rossini

Chiesa di San Simone, Spoleto – Festival di Spoleto, luglio 2019

ESODO
da Sofocle
testo e regia Emma Dante
con Sandro Maria Campagna
e gli allievi attori della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo
Giulia Bellanca, Costantino Buttitta, Martina Caracappa, Chiara Chiurazzi, Martina Consolo, Danilo De Luca, Adriano Di Carlo, Valentina Gheza, Cristian Greco, Federica Greco, Giuseppe Lino, Beatrice Raccanello, Francesco Raffaele, Valter Sarzi Sartori, Calogero Scalici, Maria Sgro
costumi Emma Dante
scene Carmine Maringola
luci Cristian Zucaro
assistente ai costumi Italia Carroccio
assistente di produzione Daniela Gusmano
si ringrazia Cesare Inzerillo per la realizzazione della scultura del Vecchio Laio
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
produzione Teatro Biondo di Palermo / Spoleto62 Festival dei 2Mondi

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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