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HomeArticoliMorfologie di nuove fiabe. Berlin e l’inatteso tra video e oralità

Morfologie di nuove fiabe. Berlin e l’inatteso tra video e oralità

Il collettivo belga Berlin porta sul palco di Inteatro Festival 2019 un’opera multimediale sulla reazione nei confronti dell’inatteso. Recensione

Ph. Elise Vantilcke

Perhaps all the dragons […in our lives are princesses who are only waiting to see us act, just once, with beauty and courage]. Titolo e sottotitolo di un’opera multimediale del collettivo belga Berlin, passato alcune volte in Italia – l’ultima all’interno della Chiesa di San Gregorio Illuminatore di Ancona per Inteatro Festival 2019 – che, a leggerla fuori di metafora, si estende come un invito a lasciarsi sorprendere, all’accettazione e alla reazione nei confronti dell’inatteso.

E allora entriamo in questo inatteso, dentro quella che un bambino avrebbe facilmente trasformato nella pancia del drago: una struttura di legno ellittica all’interno della quale trenta postazioni aspettano l’ingresso di altrettanti spettatori, pronti a sedersi attorno a un tavolo “ribaltato”, la cui bisettrice di sguardo significativamente è proiettata non all’interno, ma verso il fuori, l’altro, il non noto. È lì che stanno trenta storie (tranne una, tutte tratte da episodi realmente accaduti) che Bart Baele e Yves Degryse hanno raccolto dalle vite di persone provenienti da tutto il mondo, ciascuna delle quali restituisce un’esperienza ai limiti dell’ordinario, eppure riconoscibile, paradossalmente vicina. Ciascuno dei narratori, ripreso a mezzo busto e con lo sguardo rigorosamente in camera, restituisce il proprio vissuto in una dimensione intima, colloquiale, mentre lo spettatore-testimone ascolterà cinque storie, secondo uno schema determinato dalla prima casuale scelta del posto, che poi cambierà a conclusione di ogni singolo racconto.

Ph. Sigrid Spinnox

In questa indagine contemporanea volta alla ricerca di nuove fiabe da indagare e raccontare, l’inaspettato non è soltanto dentro al significato, dentro alle questioni legate alla memoria (come quella prodigiosa di un uomo che non era in grado di dimenticare), al sentirsi vulnerabili, imprigionati (dentro gabbie, ruoli sociali o anche artistici), morti dentro paesi in cui non nasce più nessuno, invischiati in incarti burocratici, imbrogli parentali; errori commessi da loro stessi o da altri; paure e gioie dell’essere vivi. L’inaspettato è anche nella struttura dentro la quale queste storie sono calate, nella sua morfologia, pronta a superare il limite del video inteso come qualcosa di immutabile e fisso.

«L’originalità narrativa non sta nell’inventare nuove storie, ma nel creare una particolare interazione col pubblico: ogni volta il racconto deve essere inserito in modo unico in una situazione anch’essa unica, poiché nelle culture orali il pubblico deve essere portato a reagire, spesso in maniera vivace». Questo sosteneva Walter Ong all’interno di un volume fondamentale quale Oralità e scrittura. L’antropologo si riferiva a questioni che sono anche uno dei cardini fondamentali del teatro moderno e contemporaneo, la necessità di condividere storie che trovano ogni volta carattere di originalità nel momento in cui vengono condivise con qualcun altro. Ma se questa è di solito considerata una delle distinzioni fondamentali tra le arti dal vivo da una parte e il cinema e il video dall’altra, l’istallazione di Berlin riesce ad annullarla poiché in grado di riprodurre l’effetto di quella compresenza spazio-temporale, di quel qui-e-ora che vede unire la performance e lo spettatore, a generare modifiche vicendevoli.

Ph. Marc Domage

Mentre ascolterete il primo narratore, probabilmente non avrete fatto caso alle brevi interazioni con quanto accade ai margini dell’inquadratura: qualcuno passa un foglio, qualcun altro versa del thè, magari di un altro vedremo un gomito, un movimento di passaggio; “rumori” visivi o sonori rispetto alla fonte principale del singolo racconto. Eppure, man mano che prosegue il percorso dentro alle loro storie, non si potrà non rendersi conto di quanto queste sia intrecciate le une alle altre: i personaggi dalle singole postazioni hanno brevi interazioni con i propri vicini, interrompono un attimo il flusso del loro discorso come distratti dalla storia dell’altro, o, potremmo dire, come sorpresi di ritrovarne similarità, differenze, disturbati da un urlo, catturati da un canto.

Ancora più interessante, inoltre, rilevare come il dispositivo si modifichi nel tempo, e, proprio come nella vita non capita mai esattamente di raccontare una storia come era stata raccontata la volta precedente, così anche questi narratori racconteranno le storie variando sensibilmente il racconto ogni volta, giocando con la nostra consapevolezza di dirci attenti, di far caso alla totalità di quanto accade attorno, di provare a rintracciare (inutilmente) uno schema. Rendersi conto di questo slittamento, di quell’evenemenzialità tipicamente appartenente alla trasmissione orale, è possibile nel momento in cui quel rumore che prima era passato in sottofondo, scavalca il piano originale della narrazione.

Ph. Sigrid Spinnox

Di più: lo spettatore diventa parte del dispositivo di narrazione, poiché a ogni gradino in avanti viene esplicitata la sua presenza. I personaggi si rivolgono a noi, commentano quanto l’avatar vicino stia raccontando; diventano e ci rendono, esplicitandolo, consapevoli del meccanismo di ripetizione del racconto; accadrà pertanto che due avatar si diranno, parlando dello spettatore: “allora il suo ascoltatore sa già che la mia storia è a lieto fine” – “certo, glielo ha detto lei prima, quando stava parlando con me”. Non è un caso che al quarto racconto tutti i narratori si soffermino, ciascuno a proprio modo, a raccontare la propria versione della Teoria dei sei gradi di separazione, a sottolineare quanto ciascuno non sia separato dall’altro che da pochi, diretti, passaggi.

La sfida tra ripetizione e scoperta, la possibilità di sentirsi parte di un meccanismo in grado di connettere storie e vite distanti, l’invito a sorprendersi, a considerare quanto di spaventoso accade nelle nostre vite, forse non è altro che uno stimolo che spinge ad agire, solo per quella straordinaria volta, chiedendo di andare fuori dall’ordinario, di guardare oltre la sua apparenza, invitandoci a pensare che, forse, ogni drago, non è altro che una principessa che ci chiede di agire, in nome di quanto sia bello e coraggioso vivere.

Viviana Raciti

PERHAPS ALL THE DRAGONS
[…in our lives are princesses who are only waiting to see us act, just once, with beauty and courage]

Concept Bart Baele, Yves Degryse

Scenography BERLIN, Manu Siebens

Text Kirsten Roosendaal, Yves Degryse, Bart Baele

Editing  Bart Baele, Geert De Vleesschauwer, Yves Degryse

Soundtrack & mixing Peter Van Laerhoven

Camera Geert De Vleesschauwer

Technical direction Robrecht Ghesquière

Production & communication Laura Fierens

Research & dramaturgy Natalie Schrauwen

Internship research Heleen De Boever

Business management Kurt Lannoye

Tour planning & distribution Kathleen Treier

Sets & props Jessica Ridderhof, Natalie Schrauwen

Catering Charlotte Willems, Ophelia kookt!

Website Stijn Bonjean

Make-up Sigrid Volders

Construction set Manu Siebens, Robrecht Ghesquière, Bregt Janssens, Koen Ghesquière

External redaction Max-Philip Asschenbrenner [Switzerland], Karthika Nair [France], Ash Bulayev [USA], Rita Thiele [Germany], Sven Speybrouck [Belgium], Magdalena Aruna [Argentina], Stephan Hilterhaus [Germany], Niels Leven [Belgium]

With Derek Blyth, Sergey Glushkov, François Pierron, Juan Albeiro Serrato Torres, Rinat Shaham, Shizuka Hariu, Shlomi Krichely, Jonas Jonsson, Nirman Arora, Suneet Chhabra, Luci Comincioli, Roger Christmann, Regina Vilaça, Pat Butler, Walter Müller, Adela Efendieva, Andrew Mugisha, Ramesh Parekh, Nico Mäkel, Wim Mäkel, Tamas Sandor, Philippe Cappelle, Romik Rai, Brecht Ghijselinck, Vladimir Bondarev, Andrei  Tarasov, Matsumoto Kazushi, Bob Turner, Geert-Jan Jansen, Kurt Lannoye, Robrecht Ghesquière, Laura  Fierens, Patryk Wezowski, Hilde Verhelst, Christina Davidsen     

Translations & subtitling Isabelle Grynberg, Nadine Malfait, masterstudenten Vertalen voor Film en Toneel Engels (KULeuven/Thomas More), Erica Bernardi, Pietro Chiarenza, Anne Habermann, Regina Vilaça, Effi Weiss, Shai Eisenberg, Maia, Christina Davidsen, Jonas Jonsson, Andrew Mugisha, Jose Ignacio, Sara Melis, Steven Tipan, Femke Melis, Elies Smeyers, Eva Gruwier, Toon Dekeukeleir, Thomas Geerts, Suneet Chhabra, Shakti Majumdar, Nirman Arora, Leo Van Cleynenbreugel, Adela Efendieva, Elizaveta Feyaerts, Tamas  Sandor, Hilde Verhelst, Soetkin Bral, Yuka Kudo, Shizuka Hariu, Sara Jansen, Alexei Babilua, Heleen De  Boever, Sigrid Gulix, Yuka Kudo, Yishai Gassenbauer, Soetkin Bral, Christina Davidsen, Charlotte Vandijck, Elizaveta Feyaerts, Sergey Glushkov, Natalia Kravetz, Rustam Delkashev, Leo Van Cleynenbreugel, Hanne Van Poucke, Jasmien Nuyts, Jessica Ridderhof, Koen De Jonghe, Bob Cornet, Kurt Lannoye, Kathleen Treier, Natalie Schrauwen, Laura Fierens, Els De Bodt

Coproductions Deutsches Schauspielhaus Hamburg [DE], KunstenfestivaldesArts [Brussels – BE], le CENTQUATRE [Paris – FR], Dublin Theatre Festival [Dublin – IE], Centrale Fies [Dro – IT], Noorderzon Performing Arts Festival [Groningen – NL], La Bâtie – Festival de Genève [Genève – CH], Zomer van Antwerpen [BE]. With the support of the Flemish Government, NXTSTP, the European Union’s Culture Programme, ONDA – Office national de diffusion artistique.

BERLIN is associated artist to CENTQUATRE [Paris – FR].Deutsches Schauspielhaus Hamburg [DE], KunstenfestivaldesArts [Brussels – BE], le CENTQUATRE [Paris – FR], Dublin Theatre Festival [Dublin – IE], Centrale Fies [Dro – IT], Noorderzon Performing Arts Festival [Groningen – NL], La Bâtie – Festival de Genève [Genève – CH], Zomer van Antwerpen [BE]. With the support of the Flemish Government, NXTSTP, the European Union’s Culture Programme, ONDA – Office national de diffusion artistique. BERLIN is associated artist to CENTQUATRE [Paris – FR].

Thanks to Chris De Lauwer, Claire Bonet, Eva Wilsens, Javier Albisu, Jose Ignacio Fuentes, François Moser, Cleveland Moffett, Nadine Malfait, kunstZ vzw, MartHa!tentatief, de8 vzw, vzw De Brug, BRONKS, Tom De With, Katleen Vinck, Linde Raedschelders, Anthe & Ama Oda, Kirsten Roosendaal, Remi & Ilias, Ann Selhorst, Jo Bernagie, Joris Hoefnagels, Seoljin Kim, Nayumi Kakinuma, Frank Lanssens, Ine Markanovic, Jelle Verrijckt, Decohome de Verfmolen, Arnold Bastiaanse, Daniela Bernoulli, Kunstlijsten de Leeuw, Wouter Van Beirendonck/NOVID, René Rainer/Stumpfl, Jeroen Blontrock, Vanessa & Kiko, Leni, Luk Sponselee, Jan Deca, het Huis van de Klokkenmaker, Dominique Vanhaute-Huybrechts, Thomas Walgrave, Maya Van Leemput, Huub Behets, Dr. Kurt Beeckmans, Dr. Dorota Dmitruk, Dr. Els Van den Brande, Dr. Steven Laureys, Chantal Yzermans, Frie Leysen, Benjamin Schrauwen, Lotte Pelckmans, Eva Maréchal, Inge Hoet, de 11, Patrick Vos, Karolien Derwael, Cathy Blisson, HETPALEIS, Niels Ieven, ccBe, Wim Lauwaert, Dirk Stevens, Kerensa Verhoosel, Anne-Marie Poels, Anne-Marie Appeldoorn, TG Luxemburg, Rachel Fabry.

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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