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La scimmia kafkiana di Giuliana Musso

A Pergine Festival abbiamo visto in anteprima il nuovo monologo di Giuliana Musso, da un racconto di Kafka, La scimmia. Recensione.

Foto Manuela Pellegrini

Si diceva spesso, una volta, di quegli attori che non riuscivano a far altro se non copiare gesti e battute del regista. «Non fare la scimmia» qualcuno avrebbe ammonito. Come a dire che quella capacità creativa, autonoma e unica è propria dell’essere umano e l’essere animale, anche quello a noi più vicino, è incapace di predisporre tale mistero e altro non può fare se non ricalcare pedissequamente. È una delle tante immagini che possono balzare alla mente nella complessità dell’opera vista in anteprima a Pergine Festival, La scimmia, interpretata (e creata) da Giuliana Musso, una delle più importanti ed efficaci soliste del nostro teatro. 
L’allestimento fa parte della scuderia della Corte Ospitale, vera e propria fucina di artisti della scena, che può vantare tra le proprie produzioni anche quelle di Danio Manfredini, Oscar De Summa, Babilonia Teatri, Silvia Gribaudi.

Foto Manuela Pellegrini

Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Don Bosco di fronte a un nutrito pubblico popolare, a dimostrazione del fatto che con un’adeguata guida e direzione artistica e organizzativa i piccoli centri possono diventare territori di sperimentazione. Luoghi in cui far ibridare i linguaggi e gli sguardi: a Pergine il monologo di Giuliana Musso, rigoroso e per certi versi classico nell’approccio attorale, è arrivato dopo una serie di proposte multidisciplinari. Dalla danza, alle performance di attraversamento del borgo, passando per le installazioni, i progetti di drammaturgia sonora site specific, fino a veri e propri esempi di audience engagement, con l’obiettivo così di creare una relazione continua con la geografia cittadina. È stato dunque naturale ritrovare di fronte alla “scimmia” di Giuliana Musso quei cittadini/attori che la sera prima erano andati in scena al termine di un percorso progettuale della compagnia romana Dynamis, nel quale si interrogavano proprio sulla passione e sul significato dell rappresentazione teatrale. Allora per alcuni di quegli amatori del teatro il confronto con quella donna nei panni di una scimmia divenuta attore del varietà sarà stata un’ulteriore riflessione sulle possibilità della scena.

Foto Manuela Pellegrini

Il lavoro dell’artista vicentina si configura d’altronde come un’opera teatrale densa di rimandi e stratificazioni, in grado dunque di parlare a pubblici diversi. L’abbrivio è rappresentato da un racconto breve di Franz Kafka del 1917, Una relazione per un’Accademia. Come accadrà nel più celebre Cuore di cane di Bulgakov, lo scrittore praghese muove la riflessione a partire da un accadimento fantastico: la mutazione di una scimmia in essere umano. La differenza netta con il racconto russo però è spiazzante e naturalmente si nutre della filosofia kafkiana: il mutamento non avviene per innesto scientifico, ma è inteso come processo misterioso e tutto interiore. La scimmia, catturata in una regione dell’Africa, viene segregata e torturata, fino a quando dentro di essa avviene un processo di evoluzione che la porta a comprendere che l’unica via di salvezza è diventare ciò che la tiene in cattività, ovvero un uomo.

Il mutamento, che a questo punto neanche possiamo chiamare più “evoluzione”, avviene attraverso la violenza e la sottomissione; è lo scarto tragico di Kafka e non lascia scampo a nessuna salvezza. Ma il radicalismo immaginifico del boemo arriva a trasfigurarsi nella metafora più calzante che potrebbe esserci, quella dell’attore/intrattenitore. L’affermazione sociale della scimmia nel mondo degli uomini avviene attraverso il riconoscimento di un talento: l’animale diviene una celebrità. Proprio grazie a una mistificazione è riuscito a salvarsi e per mezzo di una serie di mistificazioni si guadagna da vivere. «Questo personaggio è a suo modo un buffone, tenero come Charlot, diabolico come un Arlecchino», afferma Musso, continuando: «La scimmia è diventata un attore del varietà e parla ai Signori dell’Accademia: facendo il cretino per il pubblico nutre la sua infinita fame di umanità. Ridendo di quello stesso pubblico che compiace ogni sera trova uno spazio di libertà. Il buffone sul palco resiste così alla violenza».

Foto Manuela Pellegrini

La messinscena va dunque vista quasi come una prosecuzione naturale del racconto, dove l’oratorio a cui si rivolge la scimmia è il pubblico teatrale in rappresentazione dell’umanità tutta, ma anche semplicemente l’approdo di quel percorso in cui il passaggio finale non può che essere il teatro. Appare giustificato, in questo senso, anche l’approccio mimetico impresso all’interpretazione. L’attrice e autrice infatti, oltre a fare un lavoro che ella stessa chiama di «sovrascrittura» (partendo anche da punti filosofici e scientifici) sulla drammaturgia, cesella un’interpretazione di altissimo livello per rigore, tecnica e misura. Sbalorditiva proprio per quella volontà e capacità di rimanere in bilico tra i il mondo animale e quello degli umani: della scimmia rimane qualche verso, ma soprattutto delle impronte fisiche tanto piccole quanto significative; nei momenti di spalle, ad esempio, con la schiena leggermente ricurva da un lato e quelle gambe non del tutto tese, il carattere animalesco vive sotto pelle proprio in quella posizione sbilenca che ricorda anche un po’ Charlot.

Andrea Pocosgnich

Teatro Don Bosco, Pergine (Pergine Città Spettacolo) – luglio 2019

LA SCIMMIA
testo originale Giuliana Musso
liberamente ispirato al racconto Una Relazione per un’Accademia di Franz Kafka
traduzione e consulenza drammaturgica Monica Capuani
musiche originali composte ed eseguite da Giovanna Pezzetta
movimento a cura di Marta Bevilacqua
assistente alla regia Eva Geatti
direzione tecnica Claudio Parrino
costumi Emmanuela Cossar
trucco Alessandra Santanera
produzione musicale Leo Virgili
costruzione elementi scenici Michele Bazzana
assistente alla produzione Miriam Paschini
foto Adriano Ferrara, Manuela Pellegrini
produzione La Corte Ospitale
coproduzione Operaestate Festival Veneto
con il sostegno del Teatro Comunale Città di Vicenza (progetto Residenze 2018 – We art 3)
consulenza scientifica Valeria Vianello Dri, Annamaria Rossetti, Giovanna Bestetti
un particolare ringraziamento a Tiziana De Mario, Annalisa Carrara, Anna Periz, Paolo Nicli, Compagnia Arearea, Damatrà Onlus, Comune di Premariacco (UD)

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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