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HomeArticoliMilo Rau. Nella ripetizione, morire per continuare a essere vivi

Milo Rau. Nella ripetizione, morire per continuare a essere vivi

Milo Rau presenta The Repetition – Histoire(s) du Théâtre (I) capitolo conclusivo della Trilogia della Rappresentazione, prima nazionale al Teatro Vascello. Recensione

Foto Hubert Amiel

C’è una soglia del dolore oltre la quale sembra di percepire un’indefinibile soddisfazione, un appagamento addirittura. Piacere perverso e sadico, sottilmente incompreso a livello inconscio, al punto che, una volta esperito, è possibile percepirsi con la coscienza a posto. Il paradosso sta nell’ammissione, prima a se stessi e poi agli altri, di essere sopravvissuti alla sofferenza, di avercela fatta e sentirsi rinvigoriti da una forza che poggia, in fin dei conti, su di un luttuoso crollo: la consapevolezza “fra il momento in cui qualcosa cade e quello in cui si schianta a terra”. Si provi dunque a ricreare questa peculiare postura d’animo e si predisponga drammaturgicamente la sua rappresentazione in una messinscena strutturata in cinque capitoli e suddivisa in altrettanti livelli di testo, comprendenti il video, l’installazione performativa, il cinema e la musica.

Foto Hubert Amiel

Inserito nel cartellone di Romaeuropa Festival e andato in scena al Teatro Vascello lo scorso weekend, The Repetition – Histoire(s) du Théâtre (I) di Milo Rau conclude la Trilogia della Rappresentazione, cominciata con Five Easy Pieces (2016) e proseguita con le 120 giornate di Sodoma (2017). Una conclusione scenica che inaugura il nuovo progetto a lungo termine, Histoire(s) du Théâtre (I), all’interno del quale sono invitati a partecipare ogni anno artisti diversi cui viene richiesto di apportare la propria idea di teatro. Idea che – in questo caso specifico – passa attraverso l’esperienza sensibile della morte: «Di fatto il teatro è un dialogo con i morti. Credo che si possa considerare la dichiarazione di intenti dello spettacolo». Queste le parole del regista Milo Rau riportate nell’intervista precedente al debutto, le quali sarebbero decisamente pertinenti e definitive nella disamina del lavoro se non fosse che l’intento di portare in scena l’omicidio a carattere omofobico di Ihsane Jarfi avvenuto nel 2012 a Liegi attivi nello spettatore una serie di reazioni imprevedibili al controllo di una finalità drammaturgica che porta sul banco degli imputati tanto l’etica, sottesa alla rappresentazione, quanto la sua valenza estetica (non è un caso se il titolo dello spettacolo è omonimo alla narrazione filosofica di Søren Kierkegaard).

Foto Hubert Amiel

Cortocircuito emotivo in costante rigenerazione durante i novanta minuti di rappresentazione, alternando insofferenza verso la tematica istintivamente allontanata per difesa e orrore, e compassione verso la vittima e le persone a lei vicine. Memore di un segno registico che eredita e onora l’azione politica ed epica di Erwin Piscator e Bertolt Brecht, “il fatto teatrale” di Milo Rau nasce e scava, in egual misura, su di un senso di colpa latente posseduto da ciascuno di noi in quanto donne o uomini abitanti di una realtà dominata dal male. Per quanto distratti dalla virtualità, impauriti dal diverso e sempre più attratti dall’individualismo menefreghista e xenofobo, viviamo in un mondo dominato dal male e non possiamo fare a meno, di conseguenza, di vedere la morte. Ovunque.

Foto Hubert Amiel

La riproducibilità, teatrale, dell’omicidio di Ihsane viene “ripresa” (La Reprise è il titolo in lingua francese) sia attraverso la videocamera che si muove in scena proiettando sullo schermo al centro del palcoscenico i volti in primo piano degli attori sia attraverso il senso precipuo dello spettacolo, ovvero indagare l’elaborazione del lutto e la sua ripresa, nell’accezione di «atto esistenziale che porta con sé un desiderio utopico di cambiamento» nella famiglia del ragazzo, negli amici, nei cittadini di Liegi, nei performer (professionisti e non: Sara De Bosschere, Sébastien Foucault, Johan Leysen, Tom Adjibi, Fabian Leenders, Suzy Cocco) e nel pubblico. Seppure i punti di vista sulla vicenda di cronaca siano determinati dalla scelta di dispositivi scenici distinti quali il montaggio video, la musica, il canto e l’interpretazione teatrale, essi si concentrano tutti sui passaggi attraverso cui quella violenza si è compiuta nella svogliatezza pericolosa del caso. Se la banalità del male è accaduta e ha cambiato le esistenze delle persone coinvolte, farla riaccadere nuovamente, ancora e ancora, replica dopo replica, significa, didatticamente parlando, incorporare la vergogna dell’atto condannabile, poter dire “sì, l’ho visto anch’io”, e poi redimersi, collettivamente, dividendo la pena.

Capita così che usciti dalla sala, stretti nel primo freddo autunnale, si senta la necessità di stare soli, e si faccia visibilmente fatica a discutere di ciò che si è visto, in quanto tutti ci sentiamo vittime e carnefici dell’omicidio di Ihsane. Se, come gli attori protagonisti, non possiamo rispondere agli interrogativi che aprono lo spettacolo sulle motivazioni che portano un individuo a scegliere di fare teatro, è pur vero che è proprio di quella finzione teatrale che ci fidiamo – come testimoniato dalla poesia di Wisława Szymborska e recitata in chiusura dopo il quinto atto. La macchina che sale sul palcoscenico, la violenza verbale dell’insulto, l’aggressione, i colpi in volto e sulla pancia, la perdita di dignità nel corpo inerme spogliato e lasciato nudo sul cemento, il sangue sputato dalla bocca, il silenzio bagnato dalla pioggia: in tutto ciò si dispiega lo spettro emotivo “fra il momento in cui qualcosa cade e quello in cui si schianta a terra”, quando vita e morte, finzione e realtà convivono in un intervallo indefinito, quando rivendichiamo l’esistenza di quella “giustizia poetica” che dopo morti ci consacri alla salvezza eterna.

Lucia Medri

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Teatro Vascello, Roma (Romaeuropa Festival 2018), novembre 2018

THE REPETITION. HISTOIRE(S) DU THÉÂTRE (I)
ideazione, regia Milo Rau
testo Milo Rau ed ensemble
performer Sara De Bosschere, Sébastien Foucault, Johan Leysen, Tom Adjibi, Fabian Leenders, Suzy Cocco
ricerca, drammaturgia Eva-Maria Bertschy
collaborazione alla drammaturgia Stefan Bläske, Carmen Hornbostel
scenografia, costumi Anton Lukas Video Maxime Jennes, Dimitri Petrovic
disegno luci Jurgen Kolb
direttore tecnico Jens Baudisch
direzione di produzione Mascha Euchner-Martinez, Eva-Karen Tittmann
assistente alla direzione Carmen Hornbostel
assistente alla drammaturgia François Pacco
assistente alla scenografia Patty Eggerickx
coreografia lotta Cédric Cerbara
vocal coach Murielle Legrand
pubbliche relazioni Yven Augustin
attrezzature tecniche e studi del Théâtre National Wallonie-Bruxelles
produzione The International Institute Of Political Murder (Iipm), Création Studio Théâtre National Wallonie-Bruxelles Supporto Capital Cultural Fund Berlin, Pro Helvetia, Ernst Göhner Stiftung
in collaborazione con Kunstenfestivaldesarts, NTgent, Théâtre Vidy-Lausanne, Théâtre Nanterre-Amandiers, Tandem Scène Nationale Arras Douai, Schaubühne am Lehniner Platz Berlin, Théâtre De Liège, Münchner Kammerspiele, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt a. M., Theater Chur, Gessnerallee Zürich, Romaeuropa Festival
con il supporto di ESACT Liège

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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