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Teatrosofia #71. Timocle comico e la tragedia. Parodia o dottrina?

Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. Il numero 71 fa luce su un frammento del comico Timocle, Donne alle Dionisie.

IN TEATROSOFIA, RUBRICA CURATA DA ENRICO PIERGIACOMI – COLLABORATORE DI RICERCA POST DOC DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO – CI AVVENTURIAMO ALLA SCOPERTA DEI COLLEGAMENTI TRA FILOSOFIA ANTICA E TEATRO. OGNI USCITA PRESENTA UN TEMA SPECIFICO, ATTRAVERSATO DA UN RAGIONAMENTO CHE COLLEGA LA STORIA DEL PENSIERO AL TEATRO MODERNO E CONTEMPORANEO.

Abbazia di Saint-Remi, particolare

Accade a volte che dei minuscoli brandelli di testo, che isolati valgono poco, divengano illuminanti per capire un problema ampio e complesso. Questo è certamente il caso dell’unico frammento rimasto delle Donne alle Dionisie del comico Timocle, contemporaneo del ben più famoso Aristotele. Tale testo costituisce, infatti, un’interessantissima testimonianza storica sulle antiche teorie della tragedia in auge del IV secolo a.C., su cui ancora oggi molto si dibatte e poco o nulla si sa.

Il frammento ci è tramandato dal libro VI de I sofisti al banchetto di Ateneo ed è introdotto da una frase piuttosto forte. Timocle sosterebbe qui «che la tragedia è utile alla vita per molti aspetti». E in effetti, il contenuto del frammento sembra essere molto serio e dal sapore addirittura “filosofico”. Esso svolge un preciso ragionamento, che potremmo strutturare così:

  1. dichiarazione antropologica che l’essere umano è per natura sofferente e patisce ulteriori disgrazie dalla vita (vv. 1-3);
  2. riconoscimento che l’umanità inventò molti stratagemmi per placare l’angoscia (vv. 4-5);
  3. descrizione del metodo comune a tali pratiche curative, ossia il far dimenticare alla mente di chi soffre le sue disgrazie, mostrando quante altre persone patiscono cose ancora peggiori, che è una scoperta che procura al tempo stesso piacere ed istruzione (vv. 5-7);
  4. affermazione che la tragedia è uno di questi stratagemmi, con la relativa esposizione di sei esempi tratti dal repertorio tragico (vv. 7-16);
  5. conclusione che la visione delle sfortune ben più tremende sofferte da altri ha la conseguenza etica di aiutare l’osservatore a sopportare meglio le proprie (vv. 17-19).

Occorre, tuttavia, prestare attenzione a non seguire Ateneo acriticamente. Non va dimenticato il banale e insieme essenziale fatto che questo è un frammento da una commedia. Ciò implica, da un lato, che è un attore che interpreta un personaggio (oggi per noi ignoto) ad esporre questo ragionamento, non Timocle stesso. L’utilità della tragedia per la vita poteva quindi anche non essere accolta dal poeta – si potrebbe anche fantasticare, volendo, che i personaggi delle Donne alle Dionisie annoverassero Timocle stesso e che questi, a un certo punto, facesse una “tirata” sul genere tragico. Ma anche in tal caso, il poeta non parlerebbe in propria persona, ma attraverso un suo attore.

Dall’altro lato, una commedia ha un intento parodico. La dottrina dell’utilità della tragedia presentata nel frammento poteva così essere messa qui alla berlina. Alcuni studiosi suppongono, infatti, che il repertorio tragico esposto nella sezione D sia volutamente assurdo e, dunque, comico o divertente per il pubblico dell’epoca, ben più rapido di noi a fare collegamenti precisi con i miti ricordati sulla scena. Per fare un esempio, il frammento menziona che la persona a cui è morto un figlio deve trarre piacere e l’ammaestramento che la sua vita poteva essere peggiore osservando il caso di Niobe, che ne perse ben quattordici (= sette maschi e sette femmine). Sappiamo, però, che questo esito derivò dalla superbia della donna, che si vantò di aver partorito più di Latona (madre di Artemide/Apollo) e, conseguentemente, destò l’ira vendicatrice della dea. La sua tragedia familiare è il risultato di una colpa e non di un caso sfortunato. L’invito a consolarsi guardando la tragedia di Niobe risulta perciò essere comico, perché una tale rappresentazione mitica a teatro ha ben poca virtù consolatoria. Magari il figlio di uno degli spettatori è morto in mare, o di malattia, sicché troverà ben poco di piacevole ed edificante nel confrontare il suo caso con quella di una donna che, in fondo, si è resa colpevole del suo disastro per vana superbia.

Forse questa posizione apparirà a qualcuno troppo sottile e troverà che di comico c’è assai poco. Ma si potrebbe anche supporre che Timocle presentasse questo argomento serio sulla tragedia e poi sviluppasse la sua commedia in modo da prenderne in giro la condotta. Ad esempio, poteva far dire al personaggio queste parole edificanti e poi farlo cadere in una disgrazia, per la quale si sarebbe disperato senza trovare alcuna consolazione. Il pubblico avrebbe così riso della sua ipocrisia.

Tutto ciò deve però restare davvero altamente ipotetico. Quel che sappiamo con certezza è che le Donne alle Dionisie contenevano un elogio della tragedia e che, dato il contesto comico, esso doveva in qualche modo esser deriso. Il resto è pura congettura di chi non vuole arrendersi del tutto all’ignoranza e cerca di supplire con il ragionamento al vuoto lasciato dallo scorrere del tempo.

Ma anche ammettendo che il serio argomento sulle virtù della tragedia fosse in realtà preso in giro, resta comunque aperto un problema. Dove comincia la dottrina che qualche autore del IV secolo a.C. doveva aver esposto in questa o simile maniera e dove finisce la parodia (e viceversa)? In altri termini, la commedia riesce del tutto a togliere a questo elogio della tragedia il suo valore morale? Questo è, in fondo, il paradosso degli autori comici. Nel deridere la dottrina o la persona che prendono di mira, essi e i loro attori involontariamente ne mettono in evidenza i punti centrali, le qualità e i meriti, insieme alle sue debolezze e alle sue contraddizioni (o assurdità) interne.

La risposta personale alle domande suddette è che, in realtà, è difficile distinguere la parodia dalla dottrina. Questa continuerà a risultare attraente anche a coloro che la vedono rivestita nella commedia: come un nobile che mantiene la sua eleganza anche coperto di stracci. Se pure l’intento di Timocle era quello di divertire, la sua è una risata che va presa molto sul serio.

Enrico Piergiacomi

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Il poeta comico Timocle, nel sostenere che la tragedia è utile alla vita per molti aspetti, nelle Donne alle Dionisie dice: «Buon uomo, ascoltami, se qualcosa sto per dirti. / L’uomo è un essere sofferente per natura, / e la vita reca con sé molte afflizioni. / Egli trovò dunque tali sollievi alle sue angosce: / la mente, dimenticandosi dei suoi propri affanni / e consolandosi con la pena di un altro, / ne esce nello stesso tempo rallegrata e istruita. / Prima di tutto, ti prego, considera i tragici / e vedi come sono d’aiuto a tutti: il povero / impara che più ancora di lui fu povero Telefo / e sopporta già meglio la sua povertà. / Chi ha la mente sconvolta guarda Alcmeone. / Uno ha male agli occhi: son ciechi i figli di Fineo. / A uno è morto il figlio: gli dà conforto Niobe. / Se uno è zoppo, ecco che vede Filottete. / Uno è vecchio e sventurato: impara a conoscere Eneo. / Sopporta più facilmente le proprie disgrazie / chi considera le calamità altrui, se sono maggiori / di tutte quelle ch’egli ha sofferto» (Ateneo, I sofisti al banchetto, libro VI, cap. 2 = Timocle, fr. 6)

[La traduzione del passo di Ateneo è in Luciano Canfora (a cura di), Ateneo. I deipnosofisti: i dotti al banchetto. Volume II, introduzione di Christian Jacob, Roma, Salerno, 2001. I frammenti di Timocle si trovano nella raccolta di Rudolf Kassel, Colin Austin (Hrsg.), Poetae comici Graeci, Berlin, De Gruyter, 1983]

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Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi è cultore di storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Trento e ricercatore presso il Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Studioso di filosofia antica, della sua ricezione nel pensiero della prima età moderna e di teatro, è specialista del pensiero teologico e delle sue ricadute morali. Supervisiona il "Laboratorio Teatrale" dell’Università degli Studi di Trento e cura la rubrica "Teatrosofia" (https://www.teatroecritica.net/tag/teatrosofia/) con "Teatro e Critica". Dal 2016, frequenta il Libero Gruppo di Studio d’Arti Sceniche, coordinato da Claudio Morganti. È co-autore con la prof.ssa Sandra Pietrini di "Büchner, artista politico" (Università degli Studi di Trento, Trento 2015), autore di una "Storia delle antiche teologie atomiste" (Sapienza Università Editrice, Roma 2017), traduttore ed editor degli scritti epicurei del professor Phillip Mitsis dell'Università di New York-Abu Dhabi ("La libertà, il piacere, la morte. Studi sull'Epicureismo e la sua influenza", Roma, Carocci, 2018: "La teoria etica di Epicuro. I piaceri dell'invulnerabilità", Roma, L'Erma di Bretschneider, 2019). Dal 4 gennaio al 4 febbraio 2021, è borsista in residenza presso la Fondazione Bogliasco di Genova. Un suo profilo completo è consultabile sul portale: https://unitn.academia.edu/EnricoPiergiacomi

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