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Indigenous: come un lamento martellante

Foto di Luca Ghedini
Foto di Luca Ghedini

Teatro e Critica ha fondato la sua credibilità sul lavoro e sulla presenza attiva e permanente. Fin dall’inizio Matteo Antonaci è stato animatore di queste pagine, grazie alle quali ha ricavato l’autorevolezza che ha restituito scrivendo. Oggi che la sua funzione è diversa (ufficio stampa presso la Fondazione Romaeuropa), non è mutata se non in meglio la sua presenza attiva, critica, nel campo delle arti performative. Avremmo potuto coltivare scrupoli e omettere un suo intervento, ma la fiducia del lavoro bene fatto supera qualsiasi omissione: di sguardi vitali, capaci, c’è sempre assoluto bisogno. Oggi più che mai. TeC

Bisogna farci i conti da subito: Indigenous, la nuova produzione di Barokthegreat, il duo composto dalla coreografa e danzatrice Sonia Brunelli e dalla musicista Leila Gharib, rifiuta qualsiasi tipo di lettura iconografica o, ancor peggio semiotica; rifiuta, a dirla tutta, lo sguardo dello spettatore teatrale pronto a scivolare sulla scena nella ricerca di un discorso drammaturgico, o peggio, di un concetto (idea) che lo sostenga. L’idea, in questo teatro di suono e corpo, è un baluginio lontano, l’eco di un ritmo tribale che se ne sta in disparte, in un luogo velato da teli di luce dorata, e che pure si scuote e si impone, come un “chiodo fisso”, una logorante preghiera, una danza per la pioggia, un lamento. Non c’è evoluzione in Indigenous, ma una scena implosa in se stessa, nella narrazione di sé, che pretende una visione aptica, un abbandono dei sensi all’interno di uno spazio delimitato e chiuso, una landa/prigione costruita da una regia-fantasma (poiché situata sul bordo dell’inesistente). Bisogna immaginare, dunque, un elettrocardiogramma perfetto, privo di alterazioni o bruschi mutamenti, una linea retta sulla quale significante e significato coincidono perfettamente, senza mai essere l’uno il contenitore dell’altro. Sulla destra e sulla sinistra della scena Leila Gharib e Fuzz (Francesco Brasini) musicano la scena in tempo reale dettando l’evoluzione di un (non)dramma in due atti all’interno del quale emergono le figure create da Sonia Brunelli insieme a Giorgia Nardin e Dafne Boggeri. Se la recente ricerca di Barokthegreat (vedi Fidippide) si costruiva interamente su una tensione alla sincronizzazione di suono e movimento, sull’integrazione dell’onda sonora e dei drums con il battito cardiaco e le onde sinusoidali del corpo, sull’implosione di queste stesse onde all’interno di un punto cieco, un ipotetico “Triangolo delle Bermuda” costituito da testa (ed occhi), braccia (e gomiti), gambe (e ginocchia); tale meccanismo è ora lasciato esplodere nel deragliare di gomitoli di vettori di movimento.

Foto di Luca Ghedini
Foto di Luca Ghedini

Lo spazio scenico, la cui visione è rigorosamente frontale, si caratterizza per una natura pluridimensionale oscillando continuamente dalla bidimensionalità dello sfondo e del buio, dal quale emergono ombre e figurine, alla tridimensionalità dei corpi che invadono con movimento ciclico la scena insieme a sagome geometriche di luce, per arrivare ad una quadrimensionalità caratterizzata dall’onda sonora che disinnesca il movimento, spezza le linee interne al corpo per proiettarle in un altrove indigeno. In questo darsi mono-tono la linea che separa scena e platea è confine geografico e territoriale, un limen poroso in cui avviene la dialettica tra alter ed ego. Chi è lo straniero? Cos’è l’indigeno? Non c’è, naturalmente, risposta alla banalità di questa domanda, ma piuttosto, l’esigenza di una tribalità contemporanea e meravigliosamente hipster. L’hipsteria per l’hipsteria che scalza dirompentemente la citazione per la citazione. Body rigorosamente Seventy, luci e figure geometriche che strizzano l’occhio alla psichedelia, sonorità elettroacustiche fine Novanta (talvolta usurate) tese alla tribalità elettro/tecno di Trooper di Boys Noize, gli Abba, il Twist, calzamaglie dorate e impermeabili collegiali puntualmente American Apparel e quel rigore al limite dello “spocchioso” che sembra venir fuori dai garage di Brooklyn o dalle strade di Berlino. Non c’è citazione del passato prossimo ma il mix rizomatico di fonti diversissime tutte appiattite sulla stessa linea estetico/temporale: la patina che rifiuta la patina, il glamour che rifiuta il glamour, ovvero il glamour (all’ennesima potenza del contemporaneo) che richiede sporcizia. In questa asincronia di immaginari, i corpi si impongono nel loro essere erroneo, nella loro imperfezione, come alieni al gesto e alla danza: sono agoni, corridori, Eta-Beta dai piedi giganti su una pista di bolero, di twist o in un rave party, dialoganti con il loro errato alfabeto. Sono sciamani (e mai tribù) di un rituale urbano, un rituale sciatto, rigorosamente home made tra carta stagnola e tempeste con luce strobo, in cui tutto non è patina ma attitudine.

Foto di ilaria Scarpa
Foto di Ilaria Scarpa

E in questo discorso di territorializzazione e deterritorializzazione attraverso il loop di suono e movimento l’indigeno diviene il mezzo per recuperare una dimensione istintiva, primitiva, che impone allo spettatore un tempo dilatato – forse noioso – ma che, come quell’idea che se ne sta sullo sfondo, permane, martellante, nel ritmo cardiaco, nello sguardo e nel pensiero. Dalla ricerca rigorosamente minimale di Fidippide, Indigenous sposta Barokthegreat verso una dimensione ironica, ludica, giocosa e (più) “barocca”. Quando questa dimensione entrerà in perfetto equilibrio con il rigore formale che ha sempre caratterizzato il lavoro di Brunelli, potrà dirsi esaurita l’esigenza della contemplazione. Del teatro come luogo dell’incognito e non del cogito. Della danza come bestia, come coito, senza l’asfissiante problematizzazione di ciò che è già stato fatto e/o detto.

Matteo Antonaci

Boys Noize – Trooper (Original Version): http://www.youtube.com/watch?v=0HVnvJp2zk8

Trailer di Indigenous: http://www.youtube.com/watch?v=JmGR1d28sAI

Guarda il video completo dello spettacolo su e-performance.tv

INDIGENOUS
ideazione: Barokthegreat
con: Dafne Boggeri, Francesco Fuzz Brasini, Giorgia Nardin, Leila Gharib, Sonia Brunelli
musica originale live: Francesco Fuzz Brasini, Leila Gharib
performer: Dafne Boggeri, Giorgia Nardin, Sonia Brunelli
coreografia: Sonia Brunelli
collaborazione teorica: Piersandra Di Matteo
effetti visivi: Dafne Boggeri
fonica: Mattia Dallara
un ringraziamento speciale a Marco Villari
coproduzione: Schaubühne Lindenfels – Leipzig, Santarcangelo ‘12 ‘13 ‘14 Festival internazionale del teatro in piazza

Spettacolo realizzato grazie all’Accordo GECO 2 Giovani Evoluti e Consapevoli – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù – Regione Emilia-Romagna in collaborazione con Emilia-Romagna Teatro Fondazione Con il supporto di Xing

Atto I – Lo sbaglio nel saluto
Atto II – Contro il morso del rettile

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