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Asteroide di Marco D’Agostin. Il diritto alla meraviglia

La recensione del nuovo spettacolo di Marco D’Agostin, Asteroide, visto al Piccolo Teatro di Milano e ora in tournée estiva: a Civitanova Danza, Sansepolcro per kilowatt, Operaestate, Dro-Centrale Fies, Bolzano Danza, Fit di Lugano, festival Aperto di Reggio Emila e poi Perugia e Bologna.

«Se cade il mondo, sarà perché ti amo»

Ricchi e poveri, Sarà perché ti amo

Foto Masiar Pasquali

Un bicchiere d’acqua con sopra un coperchio può sembrare qualcosa di mortalmente banale. In effetti, in un certo senso, lo è. Tuttavia, almeno a quanto scrive Richard Feynman in Sei pezzi facili, se solo lo potessimo osservare con maggiore attenzione, potremmo vedere alcune microparticelle – gli atomi – muoversi in modo forsennato al suo interno; altre venire attratte nell’aria al di sopra della superficie; altre ancora, vaporizzate, essere riassorbite nel liquido di partenza. In sostanza, un bicchiere d’acqua coperto sa, pur impercettibilmente, manifestare l’incessante mutamento delle cose.

Foto Masiar Pasquali

«Ci sono esperti di paleontologia in sala questa sera?»: Marco D’Agostin irrompe in scena a passo di corsa indossando un ingombrante zaino da montagna color cachi. Ne estrae un tavolo e una sedia pieghevoli, mentre illumina le diverse linee narrative che percorrono Asteroide, nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano, al suo debutto allo Studio Melato. C’è un asteroide, anzi l’asteroide, che impattò nel lago dello Yucatán 66 milioni di anni fa, condannando all’estinzione gran parte della specie animale (tra cui spiccano, per notorietà, i dinosauri); c’è un “lui”, identificato più avanti con l’archeologo Walter Álvarez, che piange l’abbandono di sua moglie; c’è un musical, che D’Agostin si appresta a mettere in scena, incentrato proprio su Álvarez, sulla sua vita personale e sulla ricerca da lui condotta negli anni ’70 e ’80 a proposito del suddetto asteroide. Nel montaggio con cui D’Agostin, almeno inizialmente, giustappone la biografia dell’archeologo e la catastrofe che segna il passaggio tra Cretaceo e Paleogene («Lui rimette i suoi libri in 26 scatole di cartone e si scatenano immediatamente catene di incendi»), fa ogni tanto capolino un gesto improvviso, alieno, subito immobilizzato in una posa plastica: il musical irrompe nel racconto come una scossa tellurica, una forza violenta, fuori contesto, inevitabilmente comica.

Foto Masiar Pasquali

Gradualmente D’Agostin riveste la vicenda di Álvarez con quella che definisce «un’ esperienza di imbarazzo collettivo», evocando una messa in scena mastodontica che stride sia con il palco semideserto intorno a lui, sia con le informazioni sui meccanismi che regolano il musical e la paleontologia. Da questa robusta intercapedine ironica è emozionante, quasi liberatorio, veder guizzare fuori momenti genuinamente intensi come l’interpretazione di Can my shelter be the ground?, in cui D’Agostin dà prova di tutta la sua perizia canora e coreografica, in maniera certo enfatica, ma perfettamente in linea con l’idea di musical costruita fino a quel momento. Tuttavia l’intercapedine, dopo ogni esibizione più o meno compiuta, si riforma immediatamente, funzionale com’è a richiamare un’altra, ben più radicale, distanza, quella tra la realtà per come accade e i nostri tentativi di rappresentarla, di ridurla a meccanismi di pensiero codificati: «I principi di causa-effetto non spiegano la fine di una relazione, figurati un’estinzione di massa», sostiene un’attrice nascosta nel pubblico, chiamata a impersonare una «negazionista della semplicità» insoddisfatta del modo umano di cristallizzare nella forma il flusso della vita.

Foto Masiar Pasquali

Luigi Pirandello aderirebbe a questa problematizzazione e probabilmente anche Feynman, secondo cui è impossibile rendere in modo esatto e definitivo il comportamento quantico delle particelle: «le cose si comportano diversamente da tutto ciò che conosciamo», si legge in Sei pezzi facili. Descriverle, anche solo per via analitica, «è difficile, e ci vuole fantasia». D’Agostin raccoglie la sfida e risponde con il racconto malgrado tutto, con l’instancabile tentativo dell’artista di catturare il mondo in un’immagine, in una frase, in un concetto – e, di nuovo, possiamo immaginare l’approvazione dei due soprastanti maestri, insieme a tutti coloro che, accettando il fallimento, hanno scelto di sfidare l’irriducibilità del reale al linguaggio. La catastrofe che interrompe la performance di chiusura e l’emersione sulla scena, da una nebbia primordiale, di una figura telecomandata a sei zampe rivestita di pelliccia (il proto-roditore da cui ha origine la nostra specie?), non solo rappresentano l’ininterrotto ciclo vitale che governa l’universo, ma, nella loro palese finzione, si stagliano come un manifesto immaginifico, una rivendicazione del diritto alla meraviglia teatrale.

Matteo Valentini

Maggio 2025, Milano, Piccolo Teatro Studio Melato

Prossime date in calendario tournée:

5 e 6 luglio – Festival Grec, Barcellona
12 luglio – Civitanova Danza, Civitanova Marche
18 luglio – Kilowatt Festival, Sansepolcro
19 luglio – Operaestate Festival, Bassano del Grappa
26 luglio – Radical Love, Dro
28 luglio – Bolzanodanza, Bolzano
6 ottobre – FIT Festival, Lugano
14 e 15 ottobre, Pole Sud, Strasburgo
18 ottobre – Festival Aperto, Reggio Emilia
7 novembre – Teatro Morlacchi, Perugia
13 e 14 novembre – ERT, Bologna
dal 18 al 20 novembre – Théâtre de la Ville, Parigi

Asteroide
PRIMA ASSOLUTA
di e con Marco D’Agostin
suono Luca Scapellato
canzoni Marco D’Agostin, Luca Scapellato
scene Paola Villani, Bots Conspiracy
luci Paolo Tizianel
costumi Gianluca Sbicca
con un’incursione testuale di Pier Lorenzo Pisano
assistente alla creazione Lucia Sauro
ricerca condivisa con Chiara Bersani, Sara Bonaventura, Nicola Borghesi, Damien Modolo, Lisa Ferlazzo Natoli
movement coach Marta Ciappina
danze di repertorio Giulio Santolini, Stefano Bontempi
vocal training Francesca Della Monica
consulenza scientifica Enrico Sortino
costruzione elementi scenici Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
promozione, cura Damien Modolo
organizzazione, amministrazione Eleonora Cavallo, Federica Giuliano, Irene Maiolin, Paola Miolano
produzione VAN
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Théâtre de la Ville (Paris), Fondazione Teatri di Pistoia, Pôle-Sud CDCN (Strasbourg), Festival Aperto / Fondazione I Teatri (Reggio Emilia), Baerum Kulturhus – Dance Southeast-Norway, Snaporazverein
con il sostegno CCN Ballet de l’Opéra national du Rhin, Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni (Firenze), AMAT e Civitanova Danza per RAM_Residenze Artistiche Marchigiane, La Contrada – Teatro Stabile di Trieste, Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale, Istituto Italiano di Cultura di Oslo/MiC-Direzione Generale Spettacolo e Sprang / Ål kulturhus, regional dance scene and performing arts center, nell’ambito di NID international residencies programme, Grand Studio (Bruxelles), Scenario Pubblico (Catania), CSC/Centro per la Scena Contemporanea (Bassano del Grappa), Atcl/Spazio Rossellini: Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Centrale Fies, Teatro Stabile dell’Umbria

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Matteo Valentini
Matteo Valentini
Matteo Valentini ha conseguito una laurea in Letterature moderne e un dottorato in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli studi di Genova. È tra i fondatori dell’Oca – Osservatorio Critico Autogestito, webzine di critica teatrale, e collabora anche con Hystrio e Teatro e Critica. È docente di ruolo di Italiano e Storia presso il Convitto Nazionale Longone di Milano.

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