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Folk-s. La tradizione ritmica di Alessandro Sciarroni

foto di Claudia Pajewski

Un dovere di chi racconta il teatro è certo quello di dar conto dell’enorme eterogeneità dei linguaggi, senza tuttavia limitarsi alle gabbie delle categorie, soprattutto di fronte a opere che con quelle categorie giocano a farsi la guerra. E di questa frase va sottolineato innanzitutto il verbo giocare. Quanto ai linguaggi, dovrebbero essere espressione diretta di una creatività, più che una risposta a esigenze di mercato. Ma anche qui c’è da sottolineare il verbo, nel suo traballante modo condizionale. Accade poi che, nella costante spinta compulsiva e bulimica di questo sistema che (colpevoli quasi tutti, amministratori, artisti, operatori e critici) al termine “teatro” ha sostituito quello di “spettacolo”, ci si imbatta in quegli artisti che, coraggiosi e coraggiosamente sostenuti, accettano il rischio della deriva, annullano codici convenzionali affermandone di personali e si lasciano andare a potenti rigurgiti di creatività. Alessandro Sciarroni è uno di loro.

Dieci spettacoli in cinque anni compongono la carriera di questo originale «performance artist» – così si definisce sulla testata del suo sito web. Eppure si tratta di una definizione riduttiva, a meno che i due termini non si considerino in maniera quasi autonoma, come un binomio in cui un carattere dà forza all’altro. Il lavoro presentato a Romaeuropa 2012, che aveva debuttato ad Ancona dopo due open sharing a Bassano e a Dro, è Folk-s – Will You Still Love Me Tomorrow?, un intelligente esperimento sulla visione e sulla fruizione che parte da un concetto per raggiungerne numerosi altri. A differenza di altri lavori che ci è capitato di vedere (Joseph e Your Girl, più strettamente improntati alla performance art) questo si porta dietro un generoso lascito della danza pura, al punto da usare i miti di fondazione delle danze popolari come base concettuale. Schuhplatter in tedesco significa battitore di scarpe e dà il nome a una faticosissima danza tradizionale tirolese caratterizzata appunto dalla percussione delle mani sulle gambe e sulle calzature.

foto di Paolo Porto

Ritmica, rigorosa, aggressiva nei suoni prodotti, questa danza accoglie gli spettatori mentre prendono posto, eseguita dai sei interpreti raccolti in un cerchio. Dopo una prima sessione che rende chiari i passi e i vari pattern, uno dei performer dichiara a un microfono che «questa danza esisterà sul palco finché rimarrà un solo spettatore in platea o un solo danzatore sul palco».
Sono molti, oggi, gli spettacoli che mettono alla prova la capacità di resistenza del pubblico, nel bene e nel male, altri giocano sarcasticamente con questa stessa tendenza. Sciarroni inventa una terza via, mettendosi alla prova in un atto di coraggio non necessariamente perfetto, ma di certo stupefacente. Che non si tratti di una «sfida imposta allo spettatore, né di uno studio sull’estenuarsi del corpo» è dichiarato nel foglio di sala. Ma non tutti lo leggono o quanto meno non tutti ci credono. Così, quando il gruppo riprende a danzare, già qualcuno abbandona la sala, portandosi a casa la soluzione a buon mercato di uno spettacolo-provocazione. È proprio lì che tutto cambia. Il loop dei movimenti viene via via spezzato da intermezzi improvvisati, momenti lirici di rara bellezza che frantumano lo schema da danza tribale e si sciolgono in una dolce scoperta di emozioni corpo contro corpo. Dopotutto all’origine c’è il termine inglese folk, in italiano traducibile con gente, amici, famiglia.

foto di Matteo Maffesanti

Il cerchio si apre e si richiude, come un grosso animale impegnato in respiri profondi, qualcuno raggiunge ogni tanto una consolle posta a lato palco per azionare tracce musicali a piacere, dalla cameristica al pop, dalla techno alla classica contemporanea, segnali di un mondo che nel frattempo si evolve e allo stesso tempo elementi di disturbo, di distrazione. Ma intanto il rito prosegue. I passi aerobici sono estenuanti, il sudore sui corpi entra in sublime contrasto con i sorrisi stampati sul volto dei performer, decisi a non demordere. La platea si svuota, ma chi resta resta preso come dentro un incantesimo; divisi tra lo stupore per la precisione di gesti così faticosi e la contemplazione della nostra immobilità di spettatori, osserviamo la riflessione dell’autore prendere forma, fino all’atteso momento in cui è un solo interprete ad abitare lo spazio.

L’idea di mettere in scena il passaggio di una tradizione e lo sfibrarsi delle radici che ne farebbero un acuminato strumento culturale si compone sul palco come un sottilissimo ragionamento attorno al concetto di visione. Sotto il serrato attacco dei movimenti e soprattutto dei suoni ritmici, tempo e spazio aprono le maglie a una dimensione altra, un cerchio delle fate in cui occhi e orecchie non possono smettere di danzare. Il risultato è un’empatia straordinaria tra palco e platea, conquistata con il coraggio di un salto oltre i ritmi convenzionali. Oltre ogni categoria.

Sergio Lo Gatto

visto  il 21 Ottobre 2012 al Teatro Palladium

nell’ambito di Romaeuropa 2012 [vai al programma 2012]

Leggi tutti gli articoli sul Romaeuropa Festival 2012

FOLK-S – Will You Still Love Me Tomorrow?
invenzione, drammaturgia Alessandro Sciarroni
folk-dancer, interpreti Marco D’Agostin, Pablo Esbert Lilienfeld, Francesca Foscarini, Matteo Ramponi, Alessandro Sciarroni, Francesco Vecchi
suono Pablo Esbert Lilienfeld
video e immagini Matteo Maffesanti
disegno luci Rocco Giansante
abiti Ettore Lombardi
faith coaching Rosemary Butcher
consulenza drammaturgica, casting Antonio Rinaldi
consulenza coreografica Tearna Schuichplattla
direttore di produzione Marta Morico
organizzazione Benedetta Morico
ufficio stampa Beatrice Giongo
amministrazione Luana Milani
cura del progetto, promozione Lisa Gilardino
una produzione Teatro Stabile delle Marche – Progetto Archeo.S – System of Archeological Sites of the Adriatic Seas cofinanziato dal programma di Cooperazione Transfrontaliera Cross-Border Cooperation IPA-Adriatico
in collaborazione con Corpoceleste_C.C.00#
e con Inteatro, Amat-Civitanova Danza per “Civitanova Casa della Danza”, Centrale Fies, ChoreoRoam Europe: Centro per la Scena Contemporanea – Comune di Bassano del Grappa, The Place/London, Dansateliers/Rotterdam, Dance Week Festival/Zagreb e Certamen Coreográfico de Madrid

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

1 COMMENT

  1. Bravo Sergio LO GATTO, condivido quanto scrivi rispetto all’esperienza che si vive durante FOLK-S e ritengo
    Sciarroni un vero erede di Pina Baush (sono anziano i miei riferimenti sono quelli) perchè la sua ATTITUDINE a “fare come mi pare” arriva da lì, inanellando i suoi spettacoli SCIARRONI costruisce il suo personale “1980”.
    Io sono FOLK e quando incontrerò SCIARRONI gli chiederò QUANDO E COME ha avuto questa INTUIZIONE che condivido.
    CORDIALITA’ LOZAN8

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