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Displace di Muta Imago: tra le macerie il motivo del mondo

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«A un tratto udì quella voce, proprio come una volta; ma la memoria non gli tornava poco a poco: gli sembrava di portarsela dentro, come le pietre di un muro crollato». Queste parole, trovate in un bellissimo libro di Ghassan Kanafani, Ritorno a Haifa, tornano a battere dal buio tremolato di luce in cui i Muta Imago hanno convocato il debutto di Displace, passaggio – forse – conclusivo del progetto omonimo che ha contato in un biennio due tappe concrete, autonome: La rabbia rossa e Rovine. Nel buio una voce (di Chiara Gargani) prima di ogni cosa, della memoria si fa portante, viva rievocazione del segno umano nell’oblio della nettezza oscura, fitta tenebra in cui dichiarare con forza intima, organica, il proprio: “Remember me”, ricordami, nel Lamento di Didone contenuto in questa musica, un sinistro richiamo a quel che avverrà poco dopo: il crollo e – dunque e per questo – la memoria.

Ma ecco quel pensiero, quelle parole: nel crollo la memoria è immanente, già presente e viva nel segno morente; come dire che nella costruzione ci sono già – appunto – i reperti, le rovine. Displace è una dislocazione, mentale e fisica, è lo sradicamento da una terra ch’è patria; questo concetto, ragionato nell’anno che celebra ovunque quest’Unità d’Italia da scrivere scolasticamente con la maiuscola, ha una forza dirompente, tale alla forza che interviene di lì a poco e mina l’edificio, le convinzioni, la radice in un luogo che si credeva il proprio e non è che un ricordo, ora, sovrastato dalla polvere.

Quattro sono le figure, tutte femminili (Anna Basti, Chiara Caimmi, Valia La Rocca, Cristina Rocchetti), che si muovono sulla scena e dalla scena muovono la propria dislocazione: sono rifugiate, violate, sradicate. Dentro di loro la voce resistente de Le Troiane di Euripide, esempio di forza umana e di violazione dell’origine, quando tutti i clamori sono spenti e non resta che il cuore raffreddato e ferito, la perdita imminente di quanto forse già perduto, già memoria. Se la rabbia è dunque quel movimento istintivo di reazione, le rovine posano la polvere che dapprima vola sopra i frantumi, poi li ammanta e li copre del suo velo d’oblio; ma è tra il velo e il reperto che vive ancora – e fortemente – quella memoria: “sarebbe stato meglio morire con i morti”, dice la voce del sopravvissuto nella sua incapacità di darsi una ragione, in quel crollo che resta in lui dopo il crollo d’intorno, nel suo passo cedevole sulle spoglie di una civiltà caduta.

Il segno distintivo dei Muta Imago, sempre più raffinato, è maggiormente visibile nella regia e nell’uso delle luci di Claudia Sorace, che dispone i corpi in un continuo equilibrio fra una simmetria individuale e un’asimmetria collettiva e concede alle luci di inserire il seme umano, ancora individuale, nel buio collettivo. “Io sono il motivo del mondo”, recita la drammaturgia a firma Riccardo Fazi, e allora entrambi gli elementi tornano chiari: quello proposto dai Muta Imago è un disegno duro e resistente, che consegna all’uomo le forze di un nuovo antropocentrismo, concetto che il mondo contemporaneo ha distorto in un delitto contro l’umanità (e lo chiama individualismo). L’uomo può fare per il mondo, facendo il bene per sé stesso uomo, per la propria natura. Sembrano queste le parole che attendono un’acqua che dall’alto purifichi tanta polvere a corrompere il respiro, cadere invocata come cade sulla peste manzoniana, ecco le parole che sanno ricompattare le rovine, chiuderle nella vela che diviene prua di una nave da cui ripartire, farle tornare mondo, superare il buio e far gravida la luce, per una terra – la nostra – non più desolata.

Simone Nebbia

dal 25 al 27 novembre 2011
Teatro Vascello [stagione 2011/2012] per Romaeuropa Festival 2011 [vai al programma] Roma

Leggi tutti gli articoli sul Romaeuropa Festival 2011

Displace
Ideazione Muta Imago
Regia
spazio, luci Claudia Sorace
Drammaturgia suono Riccardo Fazi
Immagini e movimento Vincent Fortemps
Video Luca Brinchi Maria Elena Fusacchia
Vestiti di scena Fiamma Benvignati
Assistenza tecnica Maria Elena Fusacchia Luca Brinchi Luca Giovagnoli
Voce Off Fabiana Gabanini
Foto di scena Luigi Angelucci
Organizzazione Manuela Macaluso Martina Merico Maura Teofili
con Anna Basti Chiara Caimmi Valia La Rocca Cristina Rocchetti
Canto lirico Ilaria Galgani
Produzione Muta Imago 2011
Coproduzione Romaeuropa Festival 2011, Focus on Art and Science in the Performing Arts, Festival delle Colline Torinesi 2011 con il sostegno di Regione Lazio – Assessorato alla cultura, Spettacolo e Sport in collaborazione con Inteatro Polverigi L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Centrale Preneste, Kollatino Underground, Angelo Mai, Città di Ebla, La Corte Ospitale.
Un ringraziamento particolare a Glen Blackhall

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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