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Cannibali di Kronoteatro. Quando lo scontro è incontro

Al teatro dell’Orologio la compagnia ligure Kronoteatro porta in scena Cannibali. Recensione

Foto Nicolò Puppo
Foto Nicolò Puppo

Quello che sulla scena avviene come uno scontro tra generazioni, nella realtà di Kronoteatro sembra più, per un insolito e paradossale contrappasso, un incontro fervido. Iniziato più di dieci anni fa, a conclusione di un laboratorio teatrale presso un liceo. Ce ne racconta così Tommaso Bianco, durante l’appuntamento che segue Cannibali, lo spettacolo che ha visto in scena al Teatro dell’Orologio di Roma la compagnia, guidata da quello che ora è un compagno alla pari ma che fino al 2004, presso il liceo Giordano Bruno di Albenga, era l’insegnante di teatro: Maurizio Sguotti.

Frame dal trailer
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Dopo quel laboratorio, alcuni ragazzi giovani (che fossero solo maschi è stato un caso, ma anche questo dato è diventato un valore non scontato all’interno del lavoro), entusiasti, pronti a tutto, senza avere altra coscienza teatrale se non quella acquisita dopo le ore di latino e storia, mettono il proprio futuro nelle mani del regista ligure mentre lui fa altrettanto, decidendo di unire la propria esperienza e capire come poter creare assieme facendo delle proprie peculiarità, ovvero dell’appartenere a due generazioni distanti, un proprio punto di forza. E di strada ne è stata fatta, se consideriamo il percorso affrontato in questi anni da Kronoteatro, mosso dall’esigenza di essere e contribuire ad alimentare la vita teatrale in una regione ai tempi poco ricettiva, organizzando una stagione teatrale, quindi un festival (Terreni Creativi si svolge fra le serre, dunque in stretto legame con il territorio della Liguria di Ponente, oramai terra degli aromi più che dei fiori), facendo rete con altre realtà italiane legate al contemporaneo (è promotore C.Re.S.Co, componente In-Box e assieme ad altri, fondatore della neonata rete ligure-piemontese, ReCLiP), ma anche concedendosi il “lusso” di dedicare parecchi mesi alla gestazione dei propri lavori.

Frame dal trailer
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Quest’ultimo, prima parte di un dittico (assieme a l’Educazione Sentimentale) a cui probabilmente si aggiungerà un terzo capitolo non ancora definito, vede in scena Sguotti e Bianco, impegnati in una dimensione di lotta e di esercizio del potere. Lo spettacolo, diviso in due parti speculari, si sviluppa per quadri indipendenti scanditi a colpi di pubblicità o di gong e centrati prima sulla supremazia – perlopiù mentale, che trae forza dall’esperienza, dalla posizione raggiunta, da un certo tipo di conoscenza – della figura più anziana sulla più giovane e poi, al contrario, facendo pendere la bilancia verso il potere scaturito dalla giovinezza, dalla velocità, dalla forza – anche e molto spesso fisica, bruta e reiterata. Non importa che sul ring si trovino insegnante vs allievo, dirigente vs dipendente, padre vs figlio, allenatore vs flaccido omuncolo; i colpi inflitti sono crudeli, senza pietà, che si tratti dell’Infinito leopardiano da sapere, del disperato ballare a suon di musica trash, della dentatura da rifare o della sottomissione del figlio al padre. Sul palco, oltre ai due attori (e ad Alex Nesti in consolle laterale), due ordini di oggetti-simbolo: una spada laser e una maschera da supereroe giapponese (ovvero un’arma e un elmo da difesa), poggiati in proscenio e, per ciascuno degli attori, una poltrona consunta. Ancor più che i primi, presenti forse più per connotare cronologicamente un ipotetico decennio anni Ottanta, richiamato anche dalla riproduzione video di certi anime giapponesi del periodo in cui si replica lo scontro tra le forze del bene e del male, tra il giovane condottiero minuto e l’immenso mostro da sconfiggere, sono le poltrone il vero detonatore scenico. Se da una parte richiamano un’idea di salotto borghese come cristallizzata, come ci confermeranno poi, più che essere oggetto d’arredamento o luogo di riposo, diventano arma, avanguardia da combattimento da spingere contro l’altro, sull’altro o usati per imporre barriera visibile dentro cui sparire, annientando l’altro col silenzio, l’indifferenza.

Foto C. Farina
Foto Nicolò Puppo

In questo troviamo la forza del lavoro di Kronoteatro che nasce da uno spunto collettivo, fatto di interrogazioni, improvvisazioni, ripensamenti affidati poi alla dramaturg Fiammetta Carena, in una consapevole gestione dello spazio e dei propri corpi, sempre tesi, pronti anche nella stasi, organizzando un costante disequilibrio armonico di forme che mai rimangono allo stesso livello. Quella lotta fagocitante dell’homo homini lupus si rivela tanto nelle parole, nelle azioni dette, che in quelle agite. Sembra non esserci nessun tipo di risoluzione positiva, se non che alla fine, su un immaginario letto d’ospedale, i due personaggi, carichi della fatica accumulata durante tutti gli scontri, si ritrovano a parlare di un luogo paradisiaco, lontano e apparentemente raggiungibile. L’Eldorado dei due cannibali civilizzati è una Sila visitata in un tempo remoto, divenuta oggetto quasi ossessivo del ricordo dell’anziano sul giovane. Ma se l’indifferenza ha sempre tenuto distante il secondo, in chiusura sembra ricongiungersi all’idea del padre, facendo proprio quel sogno e recuperando quasi quella natura benigna di leopardiana memoria.

Lo spettacolo non supporta didatticamente una morale, non presenta un percorso che manifesta un’evoluzione lungo tutto il tragitto, una crisi, uno svolgimento, una fine compiutamente risolutiva. Cannibali procede senza soluzione di continuità, sferra molti colpi, qualche parata e forse, alla fine, la vittoria finale è rappresentata dalla resa. Che è tale se parliamo di scontro, in quanto non ci sarà mai una sopraffazione definitiva dell’uno sull’altro; ma tale non è quando pone i due cannibali su uno stesso piano, ritrovandosi a desiderare un sogno comune. Resa non è se le diverse generazioni che compongono Kronoteatro continuano a nutrirsi assieme. L’uno dell’altro forse, ma il risultato non è la scomparsa dell’uno quanto l’arricchimento di entrambi.

Viviana Raciti

Visto a Roma- Teatro Orologio, novembre 2016

CANNIBALI

di Fiammetta Carena
Regia Maurizio Sguotti
in scena Tommaso Bianco, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
Scene e costumi Francesca Marsella
Videoanimazioni Fabio Ramiro Rossin
Musiche MaNu!
Disegno Luci Amerigo Anfossi
Voci Registrate Licia Lanera, Riccardo Spagnulo
Fotografia Nicolò Puppo
si ringraziano Nicoletta Bernardini, Francesco Gigliotti per la concessione del video “La Sila”

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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