Questa recensione fa parte di Cordelia, ottobre 2022
Any attempt will end in crushed bodies and shuttered bones: il titolo dell’ultima opera di Jan Martens programmata da Romaeuropa Festival, è citazione di una durissima affermazione da parte di Xi Jinping in risposta alle proteste del 2019 che hanno portato tra le strade di Hong Kong migliaia di manifestanti. Sul palco della Sala Petrassi i concetti di libertà, di azione di massa, di repressione a un agire non conforme, di costrizione verso un ordine superiore, di tentativi di superamento sono magnificamente tradotti in un linguaggio totale, dove strumenti sono i corpi nelle loro differenze estetiche, sociali, generazionali e culturali. Sicuramente le scelte sonore determinano scene, interpretazioni e influiscono fortemente sull’atteggiamento del pubblico. Su tutte (anche più del rap di Kae Tempest, che si ascolta dopo) è il primo pezzo, bomba ad orologeria per interventi in assolo, in coppia, in gruppi sempre più grandi, reiterato più e più volte quasi come fosse una minaccia latente contro la quale scontrarsi e senza mai riuscire a trovarne soluzione pacificata, la cui stessa armonizzazione si basa su reiterazioni di accordi, suoni acuti e dissonanti, finte risoluzioni e virate sospese, terribili, è il Concerto per clavicembalo e archi Op. 40 di Henryk Górecki. Messa in atto del testo feroce di Ali Smith, pronunciato al microfono, provocazione da leggersi al contrario, mentre i corpi ancora in grigio sfilano in cerchio. La rivoluzione deve innescarsi, i corpi devono rompere l’imposizione dall’alto, sfidarla quindi gioiosamente, atipica, viva, eccoli vestiti in rosso. (Viviana Raciti)