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HomeArticoliL'estinzione dell'umanità in uno spettacolo ecosostenibile

L’estinzione dell’umanità in uno spettacolo ecosostenibile

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Recensione. Al Piccolo Teatro Studio Melato, Lisa Ferlazzo Natoli con lacasadargilla porta in scena Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, con la traduzione e drammaturgia di Margherita Mauro della pièce dell’americana Miranda Rose Hall.

Foto Masiar Pasquali

Quattro ciclisti entrano in scena, su di un palco parterre che si dilata nella forma di un emiciclo, che avvolge l’intera platea. I ciclisti si scindono in due gruppi da due, salgono sulle biciclette fissate su un palchetto e disposte alle estremità dello spazio teatrale e cominciano a pedalare. Attraverso il movimento del proprio corpo, innescano un curioso meccanismo di produzione energetica (grazie alle sperimentazioni della Pedal Power), riuscendo a generare i 240 watt in grado di alimentare suoni, luci e video per tutta la durata della performance. È questo il consumo che Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione esaurisce in una serata, contrariamente alla media sostenuta da un qualsiasi altro spettacolo teatrale che si aggira tra i 30.000 e i 150.000 watt. Si comprende subito, quindi, che il lavoro reinterpretato da lacasadargilla e Lisa Ferlazzo Natoli non si limita a veicolare un messaggio esclusivamente tramite la messa in scena di un contenuto, anzi, fa della forma e dei meccanismi di rappresentazione il vero senso dell’opera (il medium è il messaggio ci verrebbe da dire, riprendendo le famose parole del teorico Marshall McLuhan).

Foto Masiar Pasquali

E di reinterpretazione parliamo perché si tratta di un progetto, elaborato per il Théâtre Vidy-Lausanne, di una regista sensibile al tema ambientale come Katie Mitchell, che con il coreografo Jerôme Bell, riadatta il testo omonimo di Miranda Rose Hall incentrato sulle conseguenze dell’attuale disastro ambientale. Il lavoro, che prende parte al Sustainable Theatre, prevede la riduzione degli sprechi energetici anche nella propria tournée sui palchi di 12 teatri europei; non si tratta più di far viaggiare una compagnia, ma di affidare alle produzioni locali il riadattamento dell’opera, sempre nell’osservanza di alcune norme volte al mantenimento del concept originario (qui elaborato da lacasadargilla). È «un’operazione inedita che si articola attorno al doppio principio della sostenibilità energetica e della delega – afferma la compagnia nelle note di testo – un meraviglioso strumento di condivisione e fiducia».

Foto Masiar Pasquali

Dal suggestivo sfondo scenografico e sonoro (Alessandro Ferroni) si staglia il racconto di Noemi (Esther Elisha) che, unica attrice sul palco, non risulta mai monologante, quanto più desiderosa di un dialogo col pubblico che diviene dimensione relazionale, conversazione attiva e dinamica, prossemica talvolta asservita ad un tono più didattico che teatrale. Animata dalla passione di una giovane ricercatrice, che per un lutto imprevisto si ritrova ad essere la protagonista dello spettacolo, ci guida a ritroso per ripercorrere dal principio le cinque fasi d’estinzione di massa, che si rivelano preludio della sesta, quella più nefasta di cui siamo noi i primi colpevoli. Ogni fase è preannunciata da una luce allarmante, che si accende e spegne in un ritmo angosciante, un’overture di quello che lei definisce il ‘carnevale della morte’, un interminabile inventario, che proprio nell’atto nominativo/catalogativo è in grado di raccogliere e ritrovare tutte le specie estinte o in pericolo.

Foto Masiar Pasquali

Noemi si aggira sul palco, ogni tanto si ferma, ci guarda nel tentativo di creare un contatto diretto in sala. La sua performance si costruisce e sostanzia assieme al pubblico, che diviene condizione necessaria al suo racconto e testimone di una situazione tragica che non può più fingere di ignorare. Sospira tremante, e noi con lei, paralizzati dal senso di lutto e catastrofe che dilaga nello scenario in cui viviamo, ora sicuramente più noncuranti che inconsapevoli.

È una membrana fragile ad avvolgere l’intera rappresentazione teatrale, è la dicotomia tra morte e vita, diffusa da un’illuminazione flebile (Luigi Biondi) che getta venature ombrose sullo sfondo scenico. Se c’è morte sui lunghi teli di tulle bianco su cui vengono proiettate immagini di animali estinti, c’è anche vita che si risveglia e che resiste dietro di essi. Cadenti dal soffitto, i teli assumono così la funzione di velare i movimenti di corpi indistinti (curati da Marco D’Agostin, vincitore Premio Ubu 2021 con lo spettacolo Best Regards) e filtrare la luce nello spazio retrostante. A completare la scenografia di fondo sono un arbusto dalle forme ancestrali ed elementi accatastati di riuso che diventano il luogo attorno cui personaggi anonimi lentamente si muovono, di cui noi percepiamo soltanto l’ombra dei gesti e il suono delle voci, sovrapposte, riunite, cesellate in un coro di amatori. Una preghiera collettiva o forse più un ritorno alla vita quando tutto sembra svanire ed estinguersi, in un mondo che imperterrito incede verso il proprio tragico annullamento. Nelle melodie fluttuanti si intrecciano vocalità maschili e femminili, di giovani e anziani, in un lirismo di voci dalla sonorità delicata, al limite del sacrale.

Foto Masiar Pasquali

In quest’arena scenica di uno spazio marginale, luogo che mette in campo latenze e sopravvivenze, fatto di tracce e residui, di presenze e assenze, di melodie soffuse collettive e di sforzo fisico comunitario, la regia ci lascia l’estenuante fatica di ritrovare la bellezza in un mondo che continua incessantemente a sanguinare dalle proprie ferite. Ci sarà ancora la possibilità di meravigliarsi? Ci sarà ancora la possibilità d’agire? A queste domande, lo spettacolo dà una risposta affermativa: forse l’unico modo è proporre un teatro che non tenti solamente di affrontare una tematica già ampiamente dibattuta nella scena contemporanea, quanto più di offrire un’alternativa pratica al pensiero, alla riflessione. Nelle scelte di rappresentazione ecosostenibili, che invece di impoverire la performance la arricchiscono, il progetto vuole infatti promuovere delle azioni consapevoli e responsabili, per ripristinare un legame con il flusso vitale del cosmo, un’armonia che diviene condizione esistenziale collettiva.

Andrea Gardenghi

Marzo 2022, Piccolo Teatro di Milano, Teatro Studio

Leggi anche:

testo* Miranda Rose Hall
concept di produzione e regia originale Katie Mitchell
drammaturgia originale Ntando Cele
concept per l’Italia lacasadargilla
traduzione e drammaturgia italiana Margherita Mauro
regia Lisa Ferlazzo Natoli
con Esther Elisha
scene/allestimento e suono Alessandro Ferroni
luci Luigi Biondi
immagini Maddalena Parise
composizioni Gianluca Ruggeri
cura del movimento Marco D’Agostin

aiuto regia Alice Palazzi assistente alla regia Caterina Dazzi
impianti ciclo-elettrici Pedal Power Milano – Chiara Mazzatorta
ciclisti Tazio Airaghi, Luigi Aliverti, Milo Cuniberto, Daniele D’Aquila, Francesco Lionetti, Angelo Lisco
produzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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