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Inchiesta #sottocento. Carrozzerie Not: la responsabilità di esserci

#sottocento. Inchiesta sui piccoli spazi teatrali indipendenti a un anno dalla pandemia. Nel n°1 intervistiamo la direzione di Carrozzerie Not, Roma.

L’ipotesi di riapertura al pubblico delle sale teatrali prevista il 27 marzo 2021 è complessa e non risolutiva, soprattutto per i piccoli spazi che, per dare spettacolo, dovranno comunque utilizzare il 25% delle sedute disponibili e incassare perciò cifre lontane da logiche di autosostentamento. Ormai è passato un anno dall’inizio della pandemia, i ristori  e i contributi messi in campo dallo stato e dagli enti locali per i soggetti più piccoli sono pochi e frastagliati, come redazione abbiamo sentito la necessità di fotografare questo panorama quasi del tutto dimenticato.

Abbiamo pensato a una modalità di intervento e dialogo relativa ai piccoli luoghi teatrali indipendenti che da sempre nelle grandi città (e non solo) rappresentano l’ossatura della proposta e della cultura teatrale cittadina. È  nata così #sottocento, un’inchiesta in 6 domande che servirà a raccontare la crisi di un panorama teatrale a rischio di estinzione.

#sottocento  non vuole porre un vincolo ristretto di indagine rispetto all’effettivo numero di posti delle sale coinvolte (anche se il titolo riporta ai teatri sotto i cento posti), ma indagare insieme alle direzioni artistiche degli spazi più esposti, quali siano state le problematiche affrontate e da affrontare, quali le strategie di sopravvivenza messe in atto – economiche  artistiche e umane.

Abbiamo inviato le nostre 6 domande a Francesco Montagna e Maura Teofili, direttori artistici di Carrozzerie N.O.T, a Roma

Abbiamo chiesto ai teatri intervistati di mandarci la foto di una loro poltrona, o sedia di platea, con un oggetto simbolicamente importante.

Quali attività avete messo in campo per reagire a quest’anno di pandemia?

Alla riapertura dopo il primo lockdown (durante il quale abbiamo deciso di rimanere in ascolto, di prenderci un tempo per interpretare adeguatamente la realtà che si stava evolvendo ad un ritmo velocissimo) abbiamo provato a riorganizzare le nostre attività in formato ridotto (contingentamento, metro di distanza, pulizia e sanificazione degli spazi) e la risposta è stata molto confortante. Avevamo paura che si fosse creata nelle persone una grande diffidenza nel tornare nei luoghi chiusi, ma tutte le iniziative che abbiamo inserito in calendario (laboratori, workshop e spettacoli) sono invece ripartiti con un certo ottimismo e con grande attenzione da parte delle persone, rafforzando la speranza di poter allargare – in accordo con l’andamento della situazione – i nostri margini di proposta progettuale e movimento.  

La seconda chiusura, quella di ottobre, è stata traumatica. Ha letteralmente spazzato via il lavoro che avevamo provato a riorganizzare e, soprattutto, reso superfluo ogni tentativo effettuato per adeguare le attività e la struttura alle norme anti-Covid. La seconda chiusura è stata la più difficile perché testimoniava, nonostante tutto il nostro impegno, la debolezza intrinseca del settore rispetto alla forza schiacciante del contesto. Insufficienti. Inutili. Sacrificabili. L’immediata interruzione delle attività culturali in presenza ha certificato dolorosamente il ruolo attribuito dalla società nella quale viviamo allo spettacolo dal vivo e alla formazione connessa a quest’ambito: l’ultima ruota del carro. 

Sia nella prima fase che nella seconda abbiamo completamente rigettato l’idea di trasportare le attività di spettacolo in streaming, preferendo individuare e realizzare dei progetti videoartistici originali che fossero concepiti per il tipo di fruizione attualmente possibile da remoto. Rispetto alla formazione, invece, abbiamo via via esplorato (solo per i percorsi che sono riusciti a ripensarsi in questa chiave) la possibilità di trasferire alcune attività on line riscontrando una buona risposta, sebbene dettata quasi sempre dalla volontà di non rassegnarsi al deserto che si stava creando.

Forse la cosa di cui andiamo più fieri è il progetto GEOGRAFIA PRIVATA_opera collettiva, realizzato con Mauro Maugeri e Orazio Condorelli, che ha coinvolto molti dei nostri associati orfani dei percorsi di formazione annuali coinvolti nella creazione di un’opera videoartistica originale, un grande racconto/documentario collettivo realizzato da casa che ha in qualche modo provato a dare un senso a questa fase.

Quali contributi statali, regionali o comunali siete riusciti a intercettare?

Nella nostra breve storia non abbiamo mai fatto richiesta di finanziamenti pubblici se non in quest’ ultimo anno alla luce delle chiusure imposte e delle fondamentali opportunità di sostegno che sono conseguentemente state proposte dalle diverse Istituzioni. Abbiamo tentato tutte le opportunità confacenti alla categoria delle Associazioni Culturali perché in assenza di ogni tipo di entrata per una realtà indipendente come la nostra sarebbe stato impossibile attraversare altrimenti il 2020. Abbiamo avuto accesso al Fondo Extra FUS del Mibact (recentemente esteso a una seconda tranche); siamo risultati idonei al Bando Programmi 2020 del Comune di Roma di cui abbiamo ricevuto un anticipo e siamo in attesa del risultato per la domanda per gli aiuti della Regione Lazio alle Associazioni Culturali del territorio. Abbiamo partecipato anche al bando dell’Unione Buddisti Italiani per il sostegno alle attività culturali, ma senza fortuna; peccato, sarà per la prossima pandemia.

Valutando la situazione attuale dal punto di vista economico e organizzativo, quanto potete sopravvivere ancora?

È difficile fare una stima del genere oggi, ci sono troppe variabili in campo che non ci permettono di rispondere dettagliatamente, possiamo fare solo delle ipotesi. Se la situazione non si dovesse evolvere, se si dovesse rimanere ancora chiusi, è altamente probabile che al termine del 2021 dovremmo riconsegnare la chiavi di Carrozzerie alle proprietarie (lo spazio è in affitto). Se invece riuscissimo a riaprire a breve e quindi a riprendere le nostre attività associative, anche con il contingentamento e tutte le misure di distanziamento adottate a settembre/ottobre 2020, potremmo riprendere un percorso di proposta e culturale e provare vedere cosa succede.  La domanda sarebbe allora: quali attività è possibile proporre con un senso a numeri così piccoli di persone? A quali bisogni culturali ed espressivi imminenti della cittadinanza può rispondere il nostro rimanere aperti? Qual è la partita che dobbiamo giocare?

Con le condizioni sanitarie attuali riaprireste il vostro teatro?

Noi DOBBIAMO riaprire il nostro spazio (che non è un teatro, ma un’associazione culturale). Anche se ci fosse la peste, anche se noi stessi fossimo in fin vita, noi abbiamo il dovere di essere aperti e di provare a dare un contributo di bellezza (goffa, insufficiente, non sempre armonica o riuscita) e senso nel contesto cittadino che stiamo vivendo e che si sta letteralmente sfaldando. Provare a dare equilibrio all’interno dell’orrore. Oggi sentiamo la responsabilità di esserci e di dire la parola “Teatro”, soprattutto ora.  

Rimanere aperti ad ogni costo. Per dispetto se necessario. 

Cosa chiedete adesso alla politica nazionale, agli enti locali e alle grandi istituzioni culturali (teatri pubblici, musei, università,  fondazioni….)?

Sentiamo ancora una volta un grande desiderio di emancipazione e autonomia. Voglia di costruire. Di fare e proporre progetti culturali e contenuti. Ancora. Di coltivare ambizioni nuove e positive. Di essere grandi.

Alla politica nazionale e agli enti locali chiediamo di adottare la massima lungimiranza sulle scelte che vengono fatte e di saper essere innesco di progettualità ambiziose (prima ancora che grandi) per risvegliare l’entusiasmo delle persone senza dimenticarne le necessità e le prospettive di nutrimento e sollecitazione culturale. Ci sono molti piccoli soggetti che operano con grande concretezza ed efficacia sui diversi territori e che sarebbe drammatico veder scomparire; ce ne sono tanti che si spendono per le comunità locali, la ricerca, la sensibilizzazione e stanno tutti facendo – esattamente come noi – i salti mortali per attraversare questa fase e per essere pronti ad agire non appena sarà possibile per portare ancora proposte e contenuti a persone di tutte le età. 

Alle grandi istituzioni culturali pubbliche quello che possiamo chiedere è semplicemente di essere pubbliche, di avere il coraggio di aprirsi al pubblico, anche a quello che non gli piace, anche a quello che non le frequenterebbe; avere il coraggio di essere di tutti, facendo un passo indietro e uno in avanti verso tutta la cittadinanza. Avere la forza di essere luoghi aperti non “alla comunità” ma “alle comunità”. Plurali. Coraggiosi. E se tutto questo fosse fatto in completo anonimato, senza firme, senza timbri, marchi o loghi sarebbe semplicemente stupendo.  

Ci raccontereste un’attività, messa in campo in questo periodo da un’altra realtà teatrale, che vi ha interessato o colpito?

In generale gli esperimenti che ci hanno colpito di più sono quelli che hanno esplorato i mezzi audio/video nelle proprie dimensioni specifiche, senza trasportare semplicemente in streaming il fatto teatrale. Molto interessanti i radiodrammi (ad esempio quelli del TEATRO METASTASIO) e da studiare (alla fine di tutto) ZONA ROSSA del Teatro Bellini, anche se quasi tutto quello che è nato in questo periodo ci è sembrato figlio di una emergenza e non di una vera e propria necessità artistica o di esplorazione di altri linguaggi. La maggior parte delle iniziative nate non sarebbero esiste senza la situazione attuale e appena l’emergenza sanitaria sarà finita faranno molto probabilmente parte della cronaca del passato.  La natura del nostro lavoro è la presenza e la prossimità. 

Tutto il resto è streaming. 

Carrozzerie Not per #sottocento

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