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Natale in casa Cupiello secondo De Angelis e Castellitto

Recensione. Sergio Castellitto diretto da Edoardo De Angelis per il Natale in casa Cupiello di Rai Uno. Qui un’approfondita lettura del film per la televisione andato in onda il 22 dicembre 2020 e presente su RaiPlay, prodotto da Picomedia e RaiFiction

Molti hanno visto almeno una volta, più o meno per caso, riemergere da una pletora di scialli e coperte tra i quattro lati di uno schermo in soggiorno la figura di Luca Cupiello, hanno sentito la sua voce farsi posto tra le altre familiari mentre chiede a sua moglie Concetta se «Fa freddo fuori?», ne hanno seguito la figura e i movimenti mentre verifica se la colla si è “scarfata”. Pochi si saranno arrischiati a non saperne nulla, mentre per qualcuno resterà solo il titolo di una casa conosciuta alla Vigilia. E poi restano quelli per cui potenzialmente è Natale sempre o non occorre che lo sia mai, quelli che in Lucariello continuano a vedere la disperata, dolcissima, atroce, comica, evitabile eppure così necessaria morte celebrata ad ogni “chiusura e apertura di sipario” nell’equivalenza a una nascita – o a un’epifania se si preferisce – che terebrante si insinua in un tempo senza tempo, prima, dopo e durante tutti.

Impossibile pensare a Natale in casa Cupiello senza incontrare Eduardo negli occhi, in un’immagine così radicata da assumere quasi una connotazione simile a quella dell’iconografia dei santi, soprattutto per il grande pubblico cui si è consegnata come un sugello culturale assurto a tradizione la sua edizione televisiva per la RAI del 1977.

Il 22 dicembre più di cinque milioni e mezzo di spettatori si sono si sono trovati ancora sintonizzati su Rai 1 per vedere il testo scritto da De Filippo nel 1931, adattato per la televisione con la regia di Edoardo De Angelis e l’interpretazione di Sergio Castellitto, in una produzione Picomedia in collaborazione con Rai Fiction. Tutti consapevoli per dichiarazione che replicare Eduardo sarebbe insensato oltre che impossibile. La vicenda non cambia, Luca è ancora intento alla preparazione del Presepe, Concetta si barcamena affaticata tra l’amore alla zuppa di latte per il figlio Tommasino (Nennillo) e le crepe del matrimonio di Ninuccia con Nicola Percuoco, insidiato dall’amore clandestino per il niente affatto invisibile Vittorio Elia. Nucleo visceralmente tenuto assieme da una disgregazione che si ricompone nel climax di una fine drammaticamente priva dell’ampollosità da tragedia, non per questo meno inesorabile, con una lunga lista di risposte e una altrettanto lunga sequela di domande.

Il lavoro sul testo non muta in modo nè formale né sostanziale, fatta eccezione per interpolazioni minimali confinate in un spazio di utilità ristretta. La sceneggiatura inserisce la famiglia Cupiello in una partitura di riflessi e sguardi allo specchio, una dimensione domestica che a tratti arriva all’occhio persino più compressa, affastellata rispetto a scenografie di vecchi stanzoni ricostruiti sul palco, dove lo “scasso” più che per consunzione lo si assolve con qualche frana dell’intonaco alle pareti rivestite da carta da parati liberty, tra un applique e l’altro a sfumare la luce, con le feritoie del mondo fuori che si aprono sul terrazzo del palazzo, alla finestra e sulla scalinata che porta alla bottega del commerciante dove acquistare tre nuovi re magi. Accenni che, nonostante le possibilità di amplificazione e riconversione del linguaggio cui lo strumento filmico si offre fisiologicamente, non aggiungono elementi determinanti alla struttura, sia sul piano della compensazione degli omissis che nel testo si demandano alle didascalie o ai salti narrativi tra un atto e l’altro, sia su quello di una possibile reale rilettura poetica e stilistica. In un contesto in cui le musiche di Enzo Avitabile si uniscono al proverbiale canto nasale dei protagonisti di Tu scendi dalle stelle che scivola nel Vissi d’arte dalla Tosca di Puccini, l’interpretazione di Marina Confalone cifra con equilibrio il senso di continuità storica con la matrice originale dell’autore-attore e trova un contraltare efficace in Adriano Pantaleo, il quale restituisce a Nennillo un’identità autonoma, inedita, ma funzionale e mai gratuita. Il Luca Cupiello di Castellitto nulla ha del calco e beneficia di un affrancamento reale da qualsiasi riferimento pregresso, flette tuttavia verso una forma di nevrosi in alcuni momenti difficile da commisurare al personaggio, che ottunde la corda tesa e sottilissima tra incanto e disillusione, tra vocazione candida e negazione su cui si regge la scrittura di molte figure eduardiane. Una corda che suona poco: il riso del primo e del secondo atto arriva decisamente più a fatica del dovuto e per analogia inversa anche la lacrima del terzo. Il tono di un interprete cosciente dell’uso della cassa di risonanza scende nei toni più bassi, velatamente graffiati, per poi esplodere in scatti urlati a volte poco comprensibili nell’ottica dell’economia drammatica e della logica emotiva della narrazione.

Poiché si tratta di un “film per la tv”, è come tale che andrebbe ricevuto, tenendo conto della peculiarità di questa forma, dell’utilizzo di un mezzo specifico, anche esulando dal commento all’oggetto teatrale-letterario trasposto. In breve: Eduardo faceva teatro (anche in tv); De Angelis scrive, da cineasta, per immagini in movimento e suoni. Ed è a questa scrittura – audiovisiva – che bisogna guardare. Che è il tramite per veicolare un’idea, messa in forma filmica di un senso. Sta proprio qui l’insufficienza dell’operazione. L’impressione è che, al di là della tecnica audiovisiva, altro non passi, e che attraverso questa scrittura non sia “mediato” ulteriore significato. È come se le risorse specifiche (montaggio, inquadrature, fotografia, movimenti di macchina, ecc.) di cui pure quella scrittura dispone, non fossero direzionate e tra loro concertate in vista di un senso.

L’atmosfera genericamente “natalizia-fiabesca”, che suggerirebbero immagini fotograficamente preziose in termini strettamente tecnici-coloristici (cerulei e ori rispettivamente per esterni e interni), non si risolve che in un gusto puramente decorativo, tutt’altro che incisivo (non toglie, né aggiunge) ai fini di una costruzione di significati. Lezioso, al più, coerente con la correttezza di confezione che ci si aspetta dall’“evento” da prima serata su rete generalista. E discorsi analoghi potrebbero valere per altre risorse tecniche della scrittura: sembra che ci siano semplicemente perché in un film devono essere, in quanto deboli, movimenti di macchina in primis, nel restituire qualcosa che non sia solo seguire l’azione di un personaggio o valgono come sottolineature didascaliche come i dettagli ravvicinati del Presepe.

Nell’insufficienza di cui parliamo, quindi, non interessa la fedeltà o infedeltà verso Eduardo (e di trasposizioni “filologicamente” infedeli, però felici, il drammaturgo napoletano ne conta molte, anche recenti, per cui basterà citare la messinscena di Antonio Latella dello stesso testo), quanto un problema di linguaggio, di una restituzione in maniera credibile e sensata di una drammaturgia, di stati d’animo e azioni e pause, ma coi mezzi dell’audiovisivo. E se delle infedeltà leggere pure ci sono (o aggiunte “apocrife”: Tommasino-Nennillo che vorrebbe presentarsi a Cinecittà), non giungono come incisive e sostanzialmente non si inseriscono in un disegno di significato, suonano come puramente accessorie. È come se, pur di “non toccare troppo” il testo originale, la scrittura si risolvesse in una esibizione di immagini in movimento e suoni, per quanto tecnicamente – e solo quello – “corretta”.

Siccome è al principio che bisogna tornare per finire, è lì che spesso si verifica il ribaltamento di quanto ci si aspetterebbe: molti avranno avuto paura di vedere qualcosa cambiare, pochi avranno continuato a non saperne nulla, qualcuno sarà stato semplicemente curioso, nei casi migliori incuriosito. E poi ci sono quelli a cui non basta ritrovarsi senza alcun timore, non avere niente da chiedersi, non poter scoprire un altro modo, forse pure coraggiosamente doloroso, con cui o per cui morire e nascere, di nuovo, davvero.

Antonio Capocasale, Marianna Masselli

Leggi altri articoli su EDUARDO DE FILIPPO

NATA IN CASA CUPIELLO

Paese Italia
Anno 2020
Formato film TV
Genere drammatico, commedia
Durata 110 min
Lingua originale italiano, napoletano
Rapporto 16:9

Regia Edoardo De Angelis
Soggetto Eduardo De Filippo
Sceneggiatura Massimo Gaudioso, Edoardo De Angelis

Interpreti e personaggi
Sergio Castellitto: Luca Cupiello
Marina Confalone: Concetta Cupiello
Adriano Pantaleo: Tommasino Cupiello
Tony Laudadio: Pasquale Cupiello
Pina Turco: Ninuccia Cupiello
Alessio Lapice: Vittorio Elia
Antonio Milo: Nicola Percuoco
Marco Mario de Notaris: Raffaele
Massimiliano Rossi: artigiano
Andrea Renzi: dottore
Vincenzo D’Amato: Luigi Pastorelli
Carmen Pommella: Carmela
Margherita Romeo: Olga
Anna Patierno: Armida Romanello
Anna Bocchino: Rita
Clara Bocchino: Maria
Giuseppe Brunetti: Alberto
Fotografia Ferran Paredes Rubio
Montaggio Lorenzo Peluso
Musiche Enzo Avitabile
Scenografia Carmine Guarino
Costumi Massimo Cantini Parrini
Trucco Valentina Tomljanovic, Mauro Tamagnini
Produttore Roberto Sessa, Marta Aceto
Produttore esecutivo Chiara Grassi
Casa di produzione Picomedia, Rai Fiction

Prima visione
Data 22 dicembre 2020
Rete televisiva Rai 1

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