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HomeArticoliSasha Waltz, l'emozione di tornare a vedere

Sasha Waltz, l’emozione di tornare a vedere

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Dialoge Roma 2020 – Terra Sacra di Sasha Waltz & Guests apre la XXXV edizione di Romaeuropa Festival. Recensione

Foto Piero Tauro

Non sappiamo ancora dirci cosa riceveremo in eredità da questo periodo, quando proviamo a farlo o a leggere l’esercizio intellettuale di chi ci ha provato, ci rendiamo subito conto della fallibilità dell’analisi. Probabilmente spetterà alle nuove generazioni elaborarne il portato storico e viverne gli effetti sul lungo termine; sicuramente però ci stiamo adattando, da animali quali siamo, al mutamento, e di fronte alla difficoltà, stiamo reagendo per istinto. Anche l’arte ha sviluppato un suo istinto di sopravvivenza e, se alcuni mesi fa ci sembrava impensabile la fattibilità del processo creativo distanziato, ora sembrerebbe che i tempi siano già maturati, con impressionante velocità d’altronde, e che il cambiamento sia non solo in atto, ma che lo si abbia altresì superato.

Foto Piero Tauro

In questo la danza è pioniera; il suo linguaggio non solo anticipa la parola ma la contiene nella sua potenzialità, se ancora non siamo in grado di articolare discorsi con le parole del presente, la danza ha trovato i corpi per poterle esprimere. E per poter dire che si può e si deve tornare a stare insieme, a riscoprire il calore della moltitudine e la sua forza, approdiamo in questa Terra Sacra che è anche il titolo del Dialoge che la compagnia Sasha Waltz & Guests ha dedicato alla città di Roma. Andato in scena lo scorso weekend in una prima assoluta a segnare non solo l’apertura del Romaeuropa Festival 2020, la XXXV edizione dal titolo ConTatto, ma questo evento rappresenta anche il primo tour dell’ensemble a seguito degli otto mesi di interruzione. Dopo aver già abitato gli spazi del MAXXI nel 2009, la serie Dialoge torna nella Capitale per abitare stavolta l’architettura dell’Auditorium Parco della Musica.

Foto Piero Tauro

Dialoge potrebbe essere definito come un pattern coreografico adattabile agli spazi espositivi, uno stilema appartenente ormai da quasi trent’anni alla compagnia di Berlino che in questa occasione è stato modulato non solo in base allo spazio scelto ma anche al tempo, quello dell’emergenza pandemica. La prima parte del Dialoge Terra Sacra è costituita da Parcour: un percorso coreografico all’aperto a cui gli spettatori distratti dalla procedura anti Covid-19 prendono parte mentre si accingono a percorrere la salita che porta verso lo spazio circolare della Cavea intitolata a Luciano Berio. Al di sopra delle ringhiere, dietro gli alberi, nei corridoi interni e vetrati, sopra le balaustre dell’emiciclo sono disposti i danzatori assorti nelle loro epifanie coreografiche ed estraniati rispetto al pubblico che prende posto. Custodi del luogo, protettori e cerimonieri del rituale che si andrà a compiere.

Foto Piero Tauro

«Il Covid-19 ha fatto riemergere con forza una serie di disuguaglianze sociali e ho pensato che questo fosse il tempo per trovare una forma artistica attraverso la quale incentrare la discussione su questi temi e portarli altrove», afferma la coreografa nel programma di sala. Un “altrove attuale” che si apre sul palcoscenico posto nella piazza teatro dell’Auditorium sul quale il danzatore Edivaldo Ernesto si tende in un assolo energico, dirompente e la cui nettezza dei movimenti fende il vuoto tutt’intorno attraverso partiture gestuali che ricordano quelle di una lotta, uno stare all’erta e sulla difensiva, il cui peso è rivolto verso la terra appunto, e la sua gravità. Le note che lo accompagnano sono quelle di I can’t breathe, composizione scritta nel 2014 da Georg Friedrich Haas e incisa per la morte di Eric Garner, un’altra vittima della violenza razzista della polizia americana a cui si aggiunge la più recente uccisione di George Floyd avvenuta lo scorso 25 maggio a Minneapolis. L’articolazione di un discorso sul presente torna anche nella seconda parte di questo Dialoge che nel riadattamento de Le Sacre du printemps, ripensato in virtù del distanziamento dal punto di vista della scrittura coreografica, si priva di quella carnalità dell’opera originale affermando tuttavia, e anche nella distanza tra i ventidue danzatori, uno spirito corale ancora più incisivo e sorprendente. Non vi è una sola vittima sacrificale (come vorrebbe la partitura stravinskiana), seppur questa sia messa in risalto nel finale da un costume viola e da una solipsistica e struggente sequenza di movimenti, al suo sacrificio sono stati sostituiti i sacrifici, quelli di ognuno di noi rappresentati, con fervente sguardo religioso dalla coreografa, in questa sincera liturgia di gesti ferini e primordiali, in cui l’aspetto antropocentrico cede il posto a un sentimento di resistenza panica: «credo che viviamo nella forza della natura e sento anche che il mondo potrebbe continuare a vivere se l’uomo dovesse estinguersi».

Foto Piero Tauro

Assecondando questo élan terrigno al quale prendiamo parte come fosse un rito di rispetto per la terra che abitiamo, che ci nutre e della quale dovremmo essere difensori, Sasha Waltz decide di dedicare la terza e ultima parte al Boléro, una «resurrezione» dopo la morte e il sacrificio. Cadenzati accenni di gioia rendono inconfondibile quella sequenza codificata di passi – la cui vitalità è trasposta visivamente nel tripudio di colori dei costumi di Jasmin Lepore che si contrappongono alle nuances tenui di quelli di Bernd Skodzig per Le Sacre – e sanciscono il ritorno all’unità, allo stare insieme in un crescendo di ritrovata armonia che emoziona e muove il pubblico a un caloroso applauso e saluto finale.

Torniamo finalmente a respirare insieme in un concerto emotivo che senza dimenticare le tensioni del presente le articola in tre momenti distinti e l’uno anticipatore di quello successivo, fino a toccare l’acme di una sequenza estatica che ci rende parte di un unico momento di esperienza collettiva. Tornare è possibile, ed è stato bellissimo.

Lucia Medri

Romaeuropa Festival, Auditorium Parco della Musica – settembre 2020

Dialoge Roma 2020 | Terra Sacra
Sasha Waltz & Guests

Regia e coreografia Sasha Waltz
Costumi Jasmin Lepore, Bernd Skodzig (Sacre)
Luci Martin Hauk
Drammaturgia Jochen Sandig
Danza e coreografia Jirí Bartovanec, Davide CamplaniMaria Marta Colusi, Juan Kruz Diaz de Garaio Esnaola, Davide Di Pretoro, Luc Dunberry, Edivaldo Ernesto, Yuya Fujinami, Tian Gao, Hwanhee Hwang, Annapaola Leso, Margaux Marielle-Tréhoüart, Sergiu Matis, Michal Mualem, Sean Nederlof, Virgis Puodziunas, Zaratiana Randrianantenaina, Orlando Rodriguez, Mata Sakka, Yael Schnell, Claudia de Serpa Soares, Joel Suárez Gómez
Ripetizione Antonio Ruz Jimenez

Ritratto © Piero Tauro
Foto © Luna Zscharnt

Una produzione di Sasha Waltz & Guests 
Sasha Waltz & Guests è finanziato dal Dipartimento per la Cultura e l’Europa del Senato di Berlino.

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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