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Carrozzeria Orfeo. Nelle fogne della metropoli, miracoli senza mistero

Recensione. Carrozzeria Orfeo al debutto con Miracoli Metropolitani, visto al Napoli Teatro Festival. Date tournée completa a fondo pagina. Tutto dicembre 2021 all’Elfo Puccini di Milano, poi Bari, Roma, Torino.

Foto Laila Pozzo

A metterli in fila, uno dietro l’altro, i testi di Gabriele Di Luca scritti per la sua compagnia, Carrozzeria Orfeo, potrebbero rappresentare un’impietosa carrellata di fotografie distorte e inacidite dell’ultimo decennio; uomini e donne che a volte sono mostri di cattiveria e cinismo, a volte arresi al proprio destino prima di un colpo di coda oppure in un perenne tentativo di salire quella scala sociale che, o per nascita o per incapacità, la vita ha negato loro. Una galleria di brutti, sporchi e cattivi quasi sempre provenienti dai bassi fondi, come fossero batteri o formiche che cercano di mangiarsi a vicenda, di rimanere in vita in un mondo che li scaccia senza pietà. Quelli di Carrozzeria Orfeo sono spettacoli che hanno la forza e la libertà del fumetto, per certi versi anche la sintesi, il paradosso, un’esplosione esagerata per chi vorrebbe trovare una prosa compita, un’astrazione poetica o un certo realismo. Sono macchine di risate e divertimento in grado però di incontrare il dramma e dunque di richiamare proprio i paradossi che sono alla base di certi comportamenti e meccanismi sociali. È un teatro, quello del gruppo lombardo, che si nutre di dialoghi fittissimi, azione, trame che cercano l’acme narrativo e non lesina nella costruzione delle emozioni, con gli interpreti alla costante ricerca di quella verità dialogica di cui una struttura del genere ha bisogno.

Foto Laila Pozzo

Anche nel nuovo Miracoli Metropolitani, che ha debuttato nel cortile della Reggia di Capodimonte per il Napoli Teatro Festival (a fine ottobre da Ancona parte la tournée), la scrittura di Di Luca è riconoscibilissima nei modi e nei temi. L’underground qui raccontato non è solo simbolico: una famiglia disastrata vive in un garage che è anche luogo di lavoro, una cucina dalla quale preparano e spediscono pasti di scarsissima qualità venduti come leccornie bio alla moda.
Come nella Cucina di Arnold Wesker tutto accade qui, tra fornelli e lavandini. C’è un calapranzi, forse per omaggiare anche Pinter. Ma nulla rimane misterioso e forse questo è uno dei problemi maggiori: tutto è chiarissimo, addirittura con una spiegazione finale che cerca di inquadrare le linee narrative dei protagonisti (forse troppo numerose per esprimersi quasi tutte con profondità simili), tanto che rimangono ben pochi interrogativi allo spettatore e dopo l’applauso il pensiero allo spettacolo rischia di farsi flebile velocemente.

Foto Laila Pozzo

La distopia immaginata dall’autore ha molto in comune con quello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi: la gente è costretta in casa, non per un virus ma per l’esplosione del sistema fognario, si accenna a continui danni ambientali che avrebbero fatto collassare il sottosuolo, alla radio parlano di crateri nelle strade e di episodi di razzismo. Il clima apocalittico rende bene a chi lo sfrutta; ecco che la famiglia disfunzionale trova la propria ricerca del benessere appunto nella crisi: lei, Beatrice Schiros, è imprenditrice e madre, schiava dei social network, il suo compagno (Federico Vanni) è un cuoco frustrato perché costretto a cucinare la robaccia da vendere a basso costo. Poi c’è la lavapiatti di origine etiope (Ambra Chiarello) che tenterà la scalata al potere, un figlio adolescente (Federico Gatti) incattivito, razzista e mezzo maniaco, poi un fattorino, detenuto in permesso, che vorrebbe fare l’attore. Come da manuale di scrittura, serve l’arrivo di un agente esterno in grado di determinare il cambiamento: prima un professore depresso che nel caos trova un po’ di vita, quella che a lui manca, lo interpreta Massimiliano Setti (autore anche delle musiche) con il solito gusto per il travestimento e il posticcio; poi la madre del cuoco, Daniela Piperno, libera, attivista e rivoluzionaria.

L’immediatezza di certe battute e le performance delle attrici e degli attori (guidati dallo stesso Di Luca con Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi) sono probabilmente il punto di forza di un spettacolo che, come spesso capita con Carrozzeria Orfeo, è un ordigno teatrale in continuo movimento – tra l’altro una produzione coraggiosa quella di Marche Teatro (insieme a Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini) con 7 attori e un importante impiego di maestranze in un periodo nel quale sarebbe più facile prediligere allestimenti super leggeri. Peccato che i tratti cinici, rabbiosi, schizzati tipici della scrittura debbano poi, nel finale, cercare una sorta di conversione morale, quasi a  dire che i miracoli del titolo sono nella capacità umana di cambiare, di migliorare: anche la morte di uno dei protagonisti, come in un precedente lavoro della compagnia, Animali da bar, viene bilanciata da una nascita. Carrozzeria Orfeo è un gruppo che negli ultimi anni ha avuto il merito di conferire nuova sostanza alla scrittura teatrale popolare, portando in scena – nell’ambito di un teatro in cui dominano trame e personaggi – temi e stili che hanno a che fare più col mondo anglo-americano che con la tradizione del nostro paese; con l’intuizione però di calare in questo schema personaggi, paranoie, tic e bassezze tutte italiane. Di Luca e compagni devono essere però bravi a rompere lo schema, a non entrare nella logica di un meccanismo che ripeta se stesso, così da poter sorprendere anche lo spettatore più esigente.

Andrea Pocosgnich

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MIRACOLI METROPOLITANI
uno spettacolo di
CARROZZERIA ORFEO

drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi

con (in o.a.)
Ambra Chiarello Hope
Federico Gatti Igor
Pier Luigi Pasino Mosquito/Mohamed
Daniela Piperno Patty
Beatrice Schiros Clara
Massimiliano Setti Cesare
Federico Vanni Plinio
Si ringrazia Barbara Ronchi per la voce della moglie

musiche originali Massimiliano Setti
scenografia e luci Lucio Diana
costumi Stefania Cempini

illustrazione locandina Federico Bassi
foto di scena Laila Pozzo

responsabile tecnico di produzione Roberto Bivona
responsabile allestimento scenico Mauro Marasà
direttore di scena Giovanni Berti
capo macchinista Jacopo Pace
fonico Federico Occhiodoro
realizzazione scene Spazio Scenico
realizzazione costumi sartoria Teatro delle Muse / modellistica e confezione Raela Cipi
logistica Hands4stage
trasporti Celani Trasporti

per Carrozzeria Orfeo
organizzazione Luisa Supino, Natascia Sollecito Mascetti
ufficio stampa Raffaella Ilari

per Marche Teatro
direttore di produzione Marta Morico
organizzazione Alessandro Gaggiotti, Benedetta Morico, Emanuele Belfiore
assistente di produzione Claudia Meloncelli
responsabile comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo
grafica Fabio Leone, Lara Virgulti

una coproduzione
MARCHE TEATRO, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli -Teatro Bellini
in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale”

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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