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Thomas Bernhard e il fallimento dell’arte

Recensione di Antichi Maestri, con la regia di Federico Tiezzi e l’interpretazione di Sandro Lombardi. Visto al Napoli Teatro Festival 2020 

Foto Salvatore Pastore

C’è un’opera d’arte, al centro. Se non ci fosse nulla e nessuno vi esisterebbe attorno. L’opera ritrae L’uomo dalla barba bianca, del Tintoretto (1564). Per il solo fatto che il pittore l’abbia dipinta, ora attorno vi è un’intera Pinacoteca a Vienna, il Kunsthistorisches Museum, più nel dettaglio la Sala Bordone in cui è conservata, ci sono pareti e panche di velluto scuro, c’è un custode che si chiama Irrsigler, un uomo di nome Reger che siede sulla panca antistante e la osserva, infine un altro uomo di nome Atzbacher, uno scrittore, che contempla assiduamente colui che contempla l’arte. Questo è l’impianto attraverso cui si apre la situazione scenica del romanzo di Thomas Bernhard, Antichi Maestri (1985), dedicato proprio all’arte figurativa; Federico Tiezzi ne cura la messa in scena nel Cortile del Palazzo Reale per il Napoli Teatro Festival 2020 e definisce la sala del museo con una struttura rettangolare (scene e costumi di Gregorio Zurla) di alterna luminosità (luci di Gianni Pollini), descrivendo così un ambiente centrale più largo e alto – di spalle è l’uomo che osserva – e altri due, laterali, più piccoli, che ospitano gli altri due uomini, come fossero buie cappelle minori di una chiesa dal grande altare luminoso.

Foto Salvatore Pastore

Reger (Sandro Lombardi), l’uomo che osserva, da trent’anni compie il rito di venire su questa panca e letteralmente fermarsi di fronte all’opera, a giorni alterni, al mattino, mentre trascorre ogni pomeriggio all’Hotel Ambassador; senza questa abitudine, afferma, gli sarebbe impossibile continuare a vivere. Atzbacher (Martino D’Amico) è uno scrittore, osserva l’uomo nella distanza con l’opera, lo fa con un intento paradigmatico, dalla sua particolarità maniacale sa che può trarre spunti universali, sulla vita, sull’arte, sull’uomo in generale, che contempla la seconda per afferrare la prima. Irrsigler (Alessandro Burzotta) è invece un personaggio pendente: muto per l’intero dialogo – Tiezzi gli affida una partitura fisica che soltanto lo descrive o lo affianca – è colui al quale l’opera è affidata nei momenti in cui nessuno la sta osservando, curiosamente lui che ne avrà di certo un interesse funzionale è l’uomo – osservatore potenziale – che, con i quadri del museo, passa la maggior parte del tempo.

Foto Salvatore Pastore

È una drammaturgia ricca (mirabilmente confezionata da Fabrizio Sinisi, che sfrutta anche certe perversioni del linguaggio bernhardiano come la reiterazione), capace di offrire continui spunti sul rapporto tra arte e tempo, sulla solitudine come motivo e scopo, sulla società in relazione all’evoluzione, ai costumi della modernità, sulla profondità dell’uomo che sa far risuonare la propria intima vocazione, il proprio talento, con gli effetti del talento altrui; allo stesso tempo però è anche una disarticolata mappa emozionale sulla cultura austriaca, più precisamente viennese, alla cui depravazione e meschinità Bernhard non fa alcuno sconto. Reger disprezza tutto e tutti, del presente e del passato, in una forma a tal punto sofisticata da non poterne più egli stesso: pittori, scrittori, musicisti, le relazioni umane, le feste, le passeggiate, il battere del tempo lo raccoglie in una sorta di scontro continuo con tutto ciò che si discosta dal suo rito solitario; eppure, non sempre fu così, perché l’abitudine di Reger, che si porta libri da leggere ma li sfoglia per centinaia di pagine prima di leggerne una, ha una data precisa: il giorno della morte della moglie, conosciuta proprio su quella stessa panca ad osservare il medesimo quadro, seduta un po’ come la donna che in Art Lover di Stevan Dohanos (1956) raccoglie tutta la sua attenzione in una azione immobile di cui non vediamo effetti concreti, ma che siamo costretti a usare i nostri sensi per appagare e rintracciare.

Foto Salvatore Pastore

Ma cosa fa, Reger, tutto il tempo? Perché resta proprio lì? Il biografo Atzbacher – nel frattempo lo ha raggiunto nel quadro centrale, occupando una panca più piccola di fronte a quella del protagonista, con cui ora si misura alla pari – se lo chiede, compie dei monologhi ‘a parte’ per ricomporre il fiume in piena delle dichiarazioni carpite al suo modello da scolpire; egli è lì per individuare il punto morto dell’opera, quello dove può identificare il fallimento dell’autore, così da rendere tutte le opere dei frammenti, perché, dice, “il piacere più grande ce lo danno i frammenti […] Il tutto e il perfetto sono insopportabili”. L’assunto di Bernhard è dunque che non esistono opere complete, perché “la vita deve essere in ricerca […], deve cercare gli errori dell’umanità: la perfezione rappresenta per noi una costante minaccia di distruzione”. E Tiezzi – cui si accorda un Lombardi in grande forma, incapace di lasciare indietro una qualsiasi parola, come se ognuna fosse scelta con cura e non, semplicemente, lì, del testo – assume su di sé con estrema passione e sostanza i connotati di Bernhard (alle cui regie non è nuovo), con maestria si propone di affrontare un testo complesso ma che esprime con raggiunta semplicità, compitando attraverso la penetrazione dello sguardo nell’opera l’esaurimento dell’esperienza; e così, infine, esautorando ognuno dei protagonisti dal proprio ruolo, li ridicolizza e con essi la medesima l’opera, una volta di più ne favorisce la decadenza, l’annullamento dell’arte come tensione all’infinito nell’impostura dell’umano che ne è attore.

Simone Nebbia

Palazzo Reale, Napoli Teatro Festival – Luglio 2020

ANTICHI MAESTRI
di Thomas Bernhard
traduzione Anna Ruchat
drammaturgia Fabrizio Sinisi
regia Federico Tiezzi
Reger Sandro Lombardi
Atzbacher Martino D’Amico
Irrsigler Alessandro Burzotta
scene e costumi Gregorio Zurla
luci Gianni Pollini
regista assistente Giovanni Scandella
fonico Alessandro Di Fraia
video Nicola Bellucci
direzione tecnica Tommaso Checcucci
produzione
Compagnia Lombardi-Tiezzi
Associazione Teatrale PistoieseCentro di Produzione Teatrale
con la collaborazione di Napoli Teatro Festival Italia

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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