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La scuola delle mogli: Arturo Cirillo e Molière, un classico contemporaneo

Recensione. La scuola delle mogli è il testo portato al debutto da Molière nel 1662, in scena al Teatro Eliseo di Roma per la regia e l’interpretazione di Arturo Cirillo, prodotto da Marche Teatro, Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Napoli. Visto al Teatro Comunale Lucio Dalla di Manfredonia. 

Foto Luca Del Pia

La scuola delle mogli è da considerarsi pièce niente affatto secondaria nel complesso drammaturgico del più noto commediografo francese, non solo e non tanto per il clamore generato al debutto. Il testo fu tacciato di scandalo al momento primo del suo andare in scena, nonostante la preferenza e la protezione di cui Molière godeva presso l’allora sovrano di Francia, Luigi XIV. Tra quelle dell’autore, l’opera si offre come un capitolo particolare in primo luogo per la probabilità di carattere autobiografico – Molière aveva pochi mesi prima della composizione sposato Armande Béjart, figlia della compagna storica Madeleine – che trova come contraltare l’anno successivo La critica alla scuola delle mogli, ma soprattutto per l’approssimarsi di una pluralità di prospettive e tensioni vicina a una maggior complessità dei personaggi, per l’affacciarsi di un maggior approfondimento psicologico nella definizione dei profili degli stessi, sottratti alla più piana contrapposizione di positivo e negativo presente in altri lavori e mutuata dalla Commedia dell’Arte.

Foto Luca Del Pia

A portarlo in scena con un’ampia circuitazione – che ha conosciuto tra molti altri i palcoscenici di Milano, Urbino, Reggio-Emilia, Napoli, Cesena, Fermo, Manfredonia e ora quello del Piccolo Eliseo di Roma – è Arturo Cirillo in veste di interprete e regista, servendosi della traduzione di Cesare Garboli e su allestimento scenico di Dario Gessati per la produzione di Marche Teatro, Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Napoli. Cirillo non è nuovo a messinscena molièriane (Le intellettuali, L’Avaro), come non lo è al confronto con classici o nuovi classici, da Ionesco a Shakespeare, da Tennessee Williams a Ruccello, da Pirandello a Scarpetta, da Georges Faydeau a Petito, fino al più recente adattamento di Orgoglio e Pregiudizio presentato alla scorsa edizione del Napoli Teatro Festival.

Della vicenda originale tutto resta sostanzialmente invariato: a seguito di un cocente tradimento, Arnolfo decide di prendere con sè e allevare sin dall’infanzia Agnese nel modo più ingenuo, protetto,  o anche inconsapevole, per renderla una creatura incline a una docile obbedienza nella prospettiva di farne un giorno una consorte lontana da qualunque problematicità caratteriale o comportamentale. Al principio della vicenda, chiarita la prospettiva all’amico Crisaldo, riceve da questi un invito alla riconsiderazione delle proprie convinzioni. Poco dopo si troverà a incontrare Orazio, giovane figlio di Oronte, il quale si è fortuitamente invaghito di Agnese che pure lo ricambia. Per sedare ogni ipotesi di perdita di controllo Arnolfo decide di sposare immediatamente la ragazza e di aumentarne la “carcerazione” grazie all’aiuto di due servi maldestri. A nulla varranno i suoi sforzi contro la motivazione passionale dei due innamorati e contro il fato che condurrà a un epilogo inevitabilmente segnato dal trionfo di un lieto fine ottenuto attraverso una forzatura narrativa nemmeno troppo velata.

Foto Luca Del Pia

L’allestimento di Cirillo ruota in senso letterale e figurato attorno alla struttura di una casa di cui si offre, a tagli progressivi e commisurati sui momenti drammatici, la facciata o l’interno a due piani, quello del salotto d’ingresso  e quello superiore con la camera di Agnese sormontata dall’unica feritoia all’esterno di una piccola finestra,  immerso in una gittata di rosa a richiamare il vestito della ragazza e il tono da bambola ammansita e diligente cui il protagonista vuole uniformarla. Di lei, Valentina Picello, ogni cosa – dal volto alla postura corporea – denuncia in principio la conservazione in vitro di un’ignoranza funzionale e la progressiva impossibilità di aderenza al disegno prescrittole, nonostante la presa di coscienza di una minoranza o di una povertà di mezzi  pratici e culturali. Un damasco conclamato fregia gli abiti dei signori, contrappuntato dai colli di pelliccia di Arnolfo e Crisaldo e dalla visiera di un berretto con giubbotto da baseball per il giovane Orazio. A incorniciare i cambi di scena, diluendo nella continuità i cinque atti canonici, l’intervento di un tappeto sonoro accompagnato dalla costruzione di figure al confine tra la posa e la danza da cui Cirillo arriva senza alcuna sconfessione. La riduzione e la traduzione del testo servono la pièce che si appoggia senza fatica a una ben calibrata coscienza interpretativa dell’intera compagine attoriale con il regista napoletano quale cardine privo di incertezze e primario traghettatore dell’equilibrio dell’azione, anche quando si scoprirà realmente innamorato, tenterà una estrema, (peri)patetica dichiarazione e svelerà dietro la rigidità dell’aguzzino il dolore, un senso traviato di insufficienza di fronte al bisogno non corrisposto di amare ed essere riamato.

Foto Luca Del Pia

Un lavoro di cesello o una volontaria assenza di eccessivo rimaneggiamento riporta il testo alla matrice originaria, alla commedia e a un tono che non teme di cercare per vocazione e per postura gli appoggi e la conseguente complicità della risata. Lontano da un affrancamento smaccato, lo spettacolo cerca il contemporaneo nell’architettura della scena (intesa come fusione di visione e azione) marcando la distanza tematica e di approccio in certi toni da farsa e lasciando forse solo trapelare una sottile inquietudine che riporti la mente alla riflessione sibillina sulle questioni di genere e sulle dinamiche di forza nella relazione tra i sessi sempre più presenti nelle cronache e nei dibattiti odierni. Occasione mancata per mettere un capitolo di una monolitica drammaturgia secolare realmente in relazione dialettica con la realtà dei nostri giorni oppure occasione ritrovata per un far di classico ciò che è senza dimenticare il tempo in cui ancora si propone?

Marianna Masselli

Visto a Mafredonia, dicembre 2019

LA SCUOLA DELLE MOGLI

di Molière
traduzione Cesare Garboli
regia Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Camilla Piccioni
musiche Francesco De Melis
con Arturo Cirillo, Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo, Giacomo Vigentini
produzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile di Napoli

prossime date tournée

21/23 gennaio 2020 Thiene (VI), Teatro Comunale

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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