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Pirandello fa ridere? Colangeli e Gili nella commedia diretta da Nicoletti

L’uomo la bestia, e la virtù di Luigi Pirandello allestito con la regia e di Giancarlo Nicoletti. Tra gli interpreti Giorgio Colangeli e Filippo Gili. Recensione.

Foto Luana Belli

Esco all’intervallo per fumare una sigaretta, nel piccolo foyer all’aperto del Brancaccino trovo un giovane attore, ci conosciamo. Come spesso accade in questi casi, mi chiede che cosa pensi della prima metà dello spettacolo: non ho molte risposte, «è uno spettacolo strano», butto lì in modo neutro prima che lui possa affermare «a me non dispiace fin’ora». Mi tocca argomentare, svogliatamente: «Non sono, non siamo abituati a vedere Pirandello connotato da una comicità così sopra le righe. Il pubblico ride tantissimo…». Si affaccia nel nostro discorso un’altra spettatrice: «In realtà è molto filologico, scusate se mi intrometto ma vi ascoltavo. Pirandello in quegli anni utilizzava attori brillanti, provenienti dal teatro commerciale». In effetti lo scrittore siciliano, contravvenendo ai perentori consigli di una voce critica come quella di Piero Gobetti, affidò proprio alla compagnia di Antonio Gandusio (interprete che sul proprio carattere brillante aveva costruito una carriera) l’allestimento di L’uomo, la bestia e la virtù. «Sarebbe interessante rivederlo con un pubblico che non ride a ogni battuta», aggiunge la spettatrice. Commento che alle prime spesso è così in una città come Roma, l’atmosfera in platea può essere falsata, ci sono gli amici, i parenti, i colleghi…

Me ne torno a casa dopo un secondo tempo migliore del primo, nel quale si rivela lentamente e con efficacia l’operazione su cui Giancarlo Nicoletti ha voluto lavorare a testa bassa e con un certo radicalismo. La sensazione comunque rimane: questo spettacolo è un oggetto strano, una sorta di “Ufo teatrale” in bilico tra il trash e l’ hommage a un teatro che non esiste più – ricorrono i cento anni da quella messinscena di Gandusio.

Foto Luana Belli

Pirandello, come si sa, era un conservatore (si iscriverà al partito fascista) e porta a termine questo testo nel 1919, più di mezzo secolo prima delle leggi sul divorzio e sull’aborto. E in questo caso la cronologia non è pane solo per gli storici ma è nodo determinante da sbrogliare per chi volesse oggi trovare un senso scenico a questa commedia dell’autore siciliano.

La vicenda infatti gira attorno all’inaspettata gravidanza di una moglie dai costumi integerrimi ma capace, a causa dell’abbandono reiterato del marito capitano di una nave, di costruirsi una relazione extraconiugale con Paolino, un insegnante. L’uomo, appena saputo il fatto, si ingegna per trovare un modo attraverso il quale accendere la scintilla dell’amore carnale tra i due coniugi e attribuire così la discendenza al capitano, impresa ardua visto che anche questi ha un’amante e non vuole saperne niente della moglie. La soluzione arriverà attraverso le scienze farmaceutiche, espediente classico, si veda la Mandragola di Niccolò Machiavelli.

L’obiettivo del drammaturgo è chiaro: costruire sull’impalcatura della commedia amorosa una riflessione sulla morale e, come al solito, sulle maschere che l’essere umano deve indossare pur di mostrare il volto civile e pacificato. Ma la struttura appunto è comica, con tanto di ritorno all’ordine finale, e dunque bisogna anche far ridere. E qui torniamo al problema del contesto storico e all’inattualità di certe vicende pirandelliane analizzate sotto la lente della modernità: se i temi sono universali, l’intreccio lo è per nulla e anzi in questo caso mostra l’autore prigioniero del proprio tempo. Le possibilità del divorzio e dell’aborto, al di là del dibattito etico che generano, oggi almeno potrebbero essere prese in considerazione chiudendo senza appello a ulteriori sviluppi drammaturgici, se non appunto trasformando la scena in un dibattito proprio su queste due eventualità.

Foto Luana Belli

Questo vuol dire che la strada verso un’ambientazione contemporanea dell’opera non è percorribile e infatti non è percorsa dalla regia di Nicoletti che si immerge invece in un lavoro laterale, sulla recitazione e le azioni, che amplifichi e avvicini ai giorni nostri la comicità dell’opera.

Così ci ritroviamo quella stessa epoca, quei personaggi persi nel dedalo degli eventi ma con una lingua, riscoperta e in grado di toccare le corde comiche di oggi. Nicoletti da una parte si diverte con i propri attori a citare e parodiare un’epoca – Filippo Gili è da applausi nel cucirsi addosso un personaggio divertente e brutale al quale affianca una sonorità da Ventennio -, dall’altra spinge il pedale verso una comicità bassa, chiassosa, slabbrata e sanguigna con qualche eco romana di troppo (senza i quali probabilmente lo spettacolo avrebbe maggior fortuna anche fuori dal raccordo anulare); ma sempre mantenendo lucido e puntuale il meccanismo ritmico che in alcuni momenti sfiora il vaudeville. La rappresentazione della cena risolutiva in questo senso è da manuale e la coppia Colangeli-Gili è strepitosa nel gioco delle attese e riprese comiche, nelle esplosioni grossolane ma mirate che spesso accarezzano un certo parossismo.

Foto Luana Belli

Nicoletti appiattisce poi gli altri personaggi sul piano della macchietta (comunque efficace la sua stessa interpretazione, quelle di Cristina Todaro, Alessandro Giova, Diego Rifici, Alessandro Solombrino e del piccolo Francesco Petit-Bon) e bidimensionale è anche la moglie, la signora Perella interpretata da Valentina Perrella, troppo schematica la sua recitazione,  poche le sfumature. A quest’ultima una costruzione più consistente avrebbe giovato e avrebbe fatto emergere ancora di più la misoginia di un sistema di pensiero che vede proprio la donna come l’unica che non può scegliere, neanche quando queste scelte la riguardano personalmente.

In generale gli spunti di riflessione non vengono sacrificati: toccante la scena in cui Paolino trucca la moglie di spalle per renderla piacevole al marito e poi quel finale, nel quale l’attempato insegnate con lo sguardo malinconico di Giorgio Colangeli (autore di una performance piena di colori e intensità) rientra per un attimo dalle quinte e lì si rende conto dell’amarezza che quel ritorno all’ordine rappresenta.

Forse aveva ragione la spettatrice durante l’intervallo e questo allestimento rende giustizia al testo: lo fa correndo, chiassosamente in bilico, proprio nel mezzo del binomio pirandelliano, tra umorismo e comicità.

Andrea Pocosgnich

Teatro Brancaccino (Roma)
In scena fino al 17 febbraio 2019

L’uomo, la bestia e la virtù
di Luigi Pirandello
con Giorgio Colangeli, Filippo Gili, Valentina Perrella, Cristina Todaro, Alessandro Giova, Diego Rifici, Alessandro Solombrino, Francesco Petit-Bon
Regia Giancarlo Nicoletti
EDIZIONE DEL CENTENARIO 1919 – 2019
prodotto da Altra Scena & I Due della Città del Sole

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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