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CRiB. Indeterminare il genere

CRiB collettivo ha presentato a Carrozzerie n.o.t. lo spettacolo U*. Una riflessione

Foto CRiB collettivo

Alcuni di noi ricorrono spesso a un certo empirismo delle emozioni: se l’hai vissuto, puoi parlarne. La garanzia sarebbe quella prova sensibile di aver sperimentato sulla pelle e col cuore ciò di cui si darà narrazione, che sarà affidabile e quindi credibile perché avrà come tester il portato umano. Per coloro che si affidano dunque a questo tipo di sperimentazione risulterebbe mendace dare validità ad argomentazioni non direttamente esperite ma solo osservate. U*, progetto nato dal collettivo CRiB per la regia di Roberto Di Maio e vincitore del Premio della critica Direction Under 30 2018, è stato presentato nello spazio romano di Carrozzerie n.o.t. dopo un anno e mezzo di residenza svoltosi tra Barcellona e il Nuovo Cinema Palazzo. Essendo dedicato alla tematica di genere e alla sua liquidità concettuale e indeterminata, U* dovrebbe forse – ipotizzando la validità della riflessione espressa in apertura – essere realizzato da un gruppo di artisti in transizione, la cui identità non voglia e/o non possa limitarsi al sesso maschile o femminile. Ma così non è: il regista, l’attrice Beatrice Fedi e la direttrice artistica Carolina Ciuti sono eterosessuali, non hanno affrontato una transizione ma hanno voluto raccontarne i dubbi, le incertezze e le domande attraverso una progettualità condivisa e sfaccettata nella quale è possibile leggere la volontà di bandire qualsiasi legame a un genere, tradizione e poetica. Essere, così, indeterminati.

Foto CRiB collettivo

Purtroppo o per fortuna, tuttavia, in questa fase storica si sta assistendo a una costante decostruzione degli assunti di genere attraverso la messa in discussione addirittura di manifesti, saggi, rivendicazioni politiche che meno di venti anni fa sembravano all’avanguardia; basti pensare ai testi di Judith Butler, Paul B. Preciado, Julia Kristeva, Monique Wittig. Prova ne è anche una maggiore severità di approccio e un certo “integralismo” rispetto alla diffusione di opinioni. Un clima di rivendicazione e difesa che, soprattutto nel mondo dell’arte, ha portato a ripensare l’incorporazione di genere attraverso la voce, il corpo e il vissuto esperienziale di artisti che hanno messo l’autobiografismo in primo piano nella scrittura dei propri lavori. La sfera privata del dissidio, il confine trans e la “testimonianza scenica del passaggio” finiscono per ricoprire una funzione strumentale all’interno della drammaturgia e, non solo, il punto di vista di chi racconta è di grado zero: nessuna oggettività, nessuna distanza ma perfetta coincidenza tra chi analizza e ciò che viene analizzato. Potremmo citare diversi esempi in ambito teatrale di spettacoli italiani gender-oriented, tuttavia rischieremo di accostare e livellare insieme lavori che si sono affermati, e si affermano tuttora, per la propria unicità e specificità tanto politica quanto formale.

Foto CRiB collettivo

Prendendo spunto dal fatto di cronaca avvenuto in Canada nel 2016 e riguardante Searyl Doty, primo bambino al mondo la cui tessera sanitaria non possiede l’indicazione del sesso ma al suo posto compare la «U» di undetermined, la compagnia CRiB ha approfondito, storiograficamente, la questione di genere e il processo stesso che l’ha portata a confrontarsi con la tematica. Il lavoro tuttavia non aggiunge nulla al macro dibattito politico e artistico, si preoccupa piuttosto di fare il “punto della situazione” strutturandosi in una scrittura che si fa confusa e articolata su più piani di analisi (testimonianze, videoinstallazione, fiction) senza che questi entrino in relazione organica. Il disorientamento percettivo rispetto all’indeterminazione di genere fa leva su una serie di etichette e categorie di linguaggio comprendenti nomi usati e abusati, così come su dispositivi registici metateatrali che vorrebbero risultare ironici ma che in realtà vengono percepiti come pretestuosi. Quasi si volesse ricercare una legittimazione alla libertà di poter dire la propria senza prendersi troppo sul serio.

Foto CRiB collettivo

Perché questa necessità? Perché, inoltre, il bisogno di ricorrere a “trucchi” partecipativi ridondanti attraverso i quali coinvolgere il pubblico disperdendo la tematica e il suo focus? Il corpo dell’attrice Beatrice Fedi, energico, malleabile, padrone del gesto in bilico tra il dichiarato teatro danza («sembra proprio Pina Bausch») e il puro training («ora ci vuole una corsa»), viene plasmato scenicamente da una sequenza costante di videoproiezioni realizzate da Carolina Ciuti che si disegna sul corpo dell’attrice connotandolo per la sua assenza di appartenenza e privandolo, inoltre, di ogni sensualità. Efficaci nel loro inserimento sono invece le voci registrate dei passanti che, alla domanda relativa al fatto di cronaca, rispondono, argomentano, si cedono la parola. In questo montaggio, la voice off delle testimonianze rende coloro che hanno scelto di intervenire attori e attrici dello spettacolo, e ciascuno di essi ricopre il proprio ruolo rilasciando un breve commento relativo a U*.

Nonostante l’intento drammaturgico sia quello di dimostrare la possibilità dell’indeterminazione, il collettivo CRiB sembra non riuscire a far collimare insieme forma e contenuto, prescindendo dalla volontà di prendere parte al dibattito affermando una propria posizione. Ma, se non vissuta, potrebbero loro elaborarne una? Risulta dunque imprescindibile l’elemento autobiografico per interrogarsi sul genere e la sua rappresentazione? Un quesito che non trova facile risposta. Tuttavia, se da una parte i tre artisti non riescono ad essere all’altezza del loro intento registico, dall’altra sono stati in grado di creare un clima di condivisione nel pubblico (sold out per le tre repliche con alcuni spettatori che si sono dimostrati visibilmente emozionati) tale per cui non fatichiamo a dimostrare come, nonostante il dibattito sia in costante divenire e aumenti l’intransigenza nata dal bisogno di difesa, ci sia sempre bisogno di affermare la propria indeterminazione, e di andare a teatro per vedere simili progetti che non creano crisi, che non implicano la rottura ma favoriscono, al contrario, la riconoscibilità e l’aggregazione.

Lucia Medri

Carrozzerie n.o.t., Roma – gennaio 2019

U*
con Beatrice Fedi
regia Roberto Di Maio
direzione artistica Carolina Ciuti
direzione tecnica Paride Donatelli
musiche originali Claudio Cotugno
assistente alla regia Peppe Innocente

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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