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Trigger of Happiness. Il teatro documentario di Ana Borralho e João Galante

Trigger of Happiness al debutto italiano. Ana Borralho e João Galante ospiti di Short Theatre a Roma con il loro dispositivo teatrale di indagine. Recensione

foto Carolina Farina

Nel 1963 Pier Paolo Pasolini è in giro per l’Italia in cerca dei luoghi per Il Vangelo secondo Matteo, ma ha anche un’idea fissa: intervistare i giovani con microfono e cinepresa. Ne viene fuori così uno dei più importanti documenti, ai tempi del boom, sull’evoluzione della morale e dei costumi italiani, Comizi d’Amore. Sessualità, amore e famiglia sono i nodi principali. Quell’Italia, in gran parte rurale, dimessa, talvolta povera in cui si vedono bambini nudi o in canottiera che affollano le piazze e rispondono ridendo alle domande del regista, è naturalmente lontanissima dal paese in cui viviamo oggi; però vi è qualcosa di universale in quel processo di scambio generazionale.

foto Carolina Farina

Ana Borralho e João Galante sono una coppia di artisti portoghesi attiva dal 2002 nel tentativo costante di ibridare le forme artistiche mettendole direttamente in relazione con la società. Alla 12° edizione di Short Theatre hanno portato Trigger of Happiness, un dispositivo teatrale svuotato (o quasi) di qualsiasi postulato drammatico per far sì che lo spazio scenico diventasse campo di battaglia di interrogativi e riflessioni. All’altezza di quello che in un teatro all’italiana sarebbe stato il boccascena c’è un tavolo con delle sedie sul lato lungo, vi prendono posto (dopo uno sfiancante momento di clubbing in attesa del pubblico) 12 giovanissimi “performer”; le virgolette sono d’obbligo perché la maggior parte di loro non dovrebbe avere esperienze teatrali, solamente due o tre componenti del gruppo le dichiareranno nei propri racconti. I ragazzi, età tra i 18 e i 23 anni, cominciano a passarsi delle strane pistole, puntandosele alle tempie e premendo il grilletto, come avviene nella roulette russa. Invece di far esplodere un proiettile il meccanismo fa esplodere un palloncino in faccia al fortunato, il volto si riempie di polvere colorata e il malcapitato deve vuotare il sacco, deve raccontare qualcosa. Aprire lo scrigno dei propri ricordi è un po’ come morire, soprattutto di fronte a degli spettatori che probabilmente si aspettano qualcosa o che possono ridere in un momento inatteso.

foto Carolina Farina

Lo schema è tanto semplice quanto efficace, a ogni colpo di pistola andato a segno il palloncino libera un biglietto, i ragazzi lo leggono e cominciano il racconto. Alla fine di ogni sequenza di memoria (o di immaginazione) qualcuno può dare il via a un piccolo dibattito finché uno degli altri prenderà un’altra pistola lasciandoci in attesa del colpo successivo che bloccherà qualsiasi altra voce.
Qual è il punto di fusione tra verità e finzione, tra confessione e recitazione? L’ambizione dei due artisti portoghesi è quella di lavorare su un piano completo di sincerità: sui biglietti i ragazzi trovano un tema da cui far partire l’improvvisazione che per la maggior parte delle volte si poggia sulla narrazione di un ricordo lontano o recente. Qualcuno potrebbe obiettare che la memoria ha sempre un grado di variabilità dato dal contesto: in questo caso è il dispositivo teatrale stesso a influenzare il racconto, a determinare una postura. Non basta d’altronde avere un amico o un parente in sala per vedere quel ricordo addolcirsi o indurirsi più del necessario? Ma forse il punto centrale poi non è neanche la verità: per Tadeusz Kantor ad esempio i personaggi dell’infanzia a Wielopole erano degli impostori perché l’atto stesso del ricordarli li determinava come esseri appartenenti al “rango più basso”.

Da questa camera oscura emerge una foto generazionale in cui si alternano vitalità e decadenza, nichilismo e pragmatismo: il racconto della prima volta vissuta come un atto ginnico, un’adolescenza finita nel buco nero − ed estatico − dell’eroina tra le bianche sabbie della Solvay di Rosignano, il conflitto esasperato con gli insegnanti del miglior liceo di Roma, la ricerca dell’identità e dell’equilibrio nei tagli autoinferti. Ana Borralho e João Galante volevano parlare di felicità, ma hanno trovato le paludi della sofferenza adolescenziale, probabilmente un passaggio obbligato per tentare almeno di immaginare lo stato opposto.

foto Carolina Farina

Il limite e il pregio di Trigger of Happiness è quello di rimanere a metà strada tra il documentario, per il quale il teatro dovrebbe avere lo stesso valore della cinepresa pasoliniana, e l’evento drammaturgico. E a quanto pare neanche gli autori possono controllare pienamente questa oscillazione, che ogni sera è data dall’ordine con cui i giovani prendono parola, dai temi con cui vengono stimolati, dal dibattito che affiora attorno ai piccoli racconti. Non può che apparire anche una riflessione, forse troppo abbozzata a causa proprio della volatilità di quelle circostanze date, sull’atto stesso della narrazione autobiografica. Lo spunto però non è da poco se consideriamo che oggi, in realtà, svelare qualcosa di intimo è il contrario stesso della morte (almeno quella per sparizione) e celebrarsi nel racconto è un immancabile mantra collettivo.

Andrea Pocosgnich

Short Theatre, 8 settembre 2017, prima nazionale

ideazione e direzione artistica | Ana Borralho & João Galante
disegno luci | Thomas Walgrave
suono | Coolgate, Pedro Augusto
collaborazione alla drammaturgia | Fernando J. Ribeiro
assistenza artistica | Alface (Cátia Leitão), André Uerba
performer | un gruppo di 12 giovani adulti di Roma: Andrea Casanova, Carolina Tilde Scimiterra, Chiara Ficarra, Claudia Faraone, Flavio di Paolo, Giulia Venturini, Leonardo Schifino, Mario Vai, Mattia Colucci, Pietro Turano, Lorna Massucci, Riccardo Osti Guerrazzi.
organizzazione e distribuzione | Andrea Sozzi
produzione | casaBranca
co-produzione Maria Matos Teatro Municipal, (Lisboa, Portugal), Jonk (Jönköping, Suécia), Nouveau Théâtre de Montreuil – CDN (França), Le phénix – scène nationale Valenciennes pôle européen de création(França)
col sostegno di CM- Lagos, Espaço Alkantara, LAC – Laboratório de Actividades Criativas, SIN Arts and Culture Centre, Companhia Olga Roriz
con il sostegno dell’Instituto Camões e dell’Ambasciata del Portogallo in Italia
casaBranca è una struttura finanziata dal Ministério da Cultura – Direcção Geral das Artes

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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