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Scimone/Sframeli. D’amore e d’altre morti

Scimone/Sframeli hanno presentato Amore, nuova produzione che sviluppa il tema del titolo in relazione alla morte. Dopo Rieti per una settimana al Teatro India di Roma. Recensione

scimone/frameli
Foto Paolo Galletta

Amore. Il teatro che si dedica a temi universali meglio riesce quando di contrasto si pone in una situazione più intima, ossia quando interroga l’uomo nelle sue azioni minute in relazione a sé stesso o al resto degli uomini, capace di far risaltare quelle azioni in una speculare rispondenza di sensibilità. Ecco dunque che per parlare d’amore Spiro Scimone e Francesco Sframeli, rispettivamente autore e regista dell’omonima compagnia messinese ormai più che ventennale, scelgono l’ambiente intimo per eccellenza, il cimitero, là dove l’amore non ha più i confini dell’abbandono e dell’oblio perché la perdita è sublimata in un’estensione eterna di relazione memoriale: si è per sempre, quando non si è più.

Al Teatro India di Roma Amore sarà da stasera. Ma in anteprima è stato presentato al Teatro Vespasiano di Rieti per il RIC Festival 2016, colpevolmente non frequentato se non da pochi intimi, per uno spettacolo di una compagnia importante che non merita un’onta simile. Rifletta su questo un tavolo di analisi composto dal circuito ATCL con il Comune di Rieti e l’assessorato alla Cultura della Regione Lazio, per capire non solo le responsabilità, ma come far sì che non accada di nuovo un trattamento scandaloso non degno della presenza di questi artisti. Come dovrebbe essere, in verità, per ogni artista.

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Foto Paolo Galletta

Siamo dunque “all’ombra de’ cipressi e dentro l’urne”, avrebbe detto il Foscolo, sotto un telo fondale con quattro alberi slanciati e rigonfi dal vento, anneriti dall’oscurità, il cui fusto (nell’idea di Lino Fiorito che cura le scene) sembra definire l’ombra più ampia di quattro personaggi senza nome che nel cimitero ci vivono, non fosse questo un divertito ossimoro. Una coppia di coniugi “vecchietti” (lo stesso Scimone e Giulia Weber) dorme sulla tomba di sinistra, si concede le consuetudini usate di un tempo remoto, ormai immoto, vissuto assieme; giungono poco dopo a bordo di un improbabile autocarro i pompieri (alla guida Gianluca Cesale porta anche Sframeli) che se da un lato intervengono in forma quasi onirica nella vicenda della coppia, nella loro asfittica assiduità del quotidiano, dall’altro mescolando rimpianto e nuovi propositi si pongono sulla tomba di destra come una vecchia/nuova coppia, omosessuali che solo nella morte non devono più nascondersi, come invece sono stati costretti a fare per tutta la vita.

L’impianto dialogico si anima di ritmica metodica e di silenzi, si mostra assertivo e, come segno distintivo di Scimone/Sframeli, poggia su un sostrato metaforico che impera e coinvolge ogni azione, la cui continua ripetizione stimola a che la riflessione attecchisca, ma al contempo rischia di assorbirne – limitandola – la portata più espressiva e icastica, come già accaduto con i precedenti Pali e Giù. Primario è l’assetto di una frase che, nella drammaturgia di Spiro Scimone, mantiene quella sua caratteristica roteante, ribatte sempre le ultime parole a chiudere su sé stessa, come una ruota di pavone che si apre nella bocca e su di sé gira, fino a mostrarsi tutta intera nella massima dilatazione, al massimo splendore.
Se quell’apparato metaforico ha fin dalle origini della compagnia un modello celebre in Samuel Beckett, la struttura se ne smarca per un ricorso all’intimità che in Beckett è meno facile trovare, sviluppano dunque certe possibilità clementi che sembrano viete al drammaturgo irlandese e verso le quali nutrono un desiderio di speranza per un’umanità ancorata invece al proprio disfacimento. Tale auspicio si presenta per converso nel luogo del distacco, del saluto estremo dell’uomo all’uomo. Come dire che forse il sentimento supera le barriere del corpo, quasi si nobilita di non avere più un confine costrittivo, ora è di puro spirito anche la relazione e l’uomo, libero dal corpo, si libera anche dal giudizio verso sé stesso.

Simone Nebbia

Teatro Flavio Vespasiano, Rieti
Teatro India, Roma – in scena fino al 16 ottobre 2016

AMORE
di Spiro Scimone
regia Francesco Sframeli
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena Lino Fiorito
disegno luci Beatrice Ficalbi
Produzione Compagnia Scimone Sframeli
in collaborazione Théâtre Garonne Toulouse

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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