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China vs Tibet. La rivoluzione silenziosa di Mirto Baliani

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China vs Tibet, recensione dell’installazione di Mirto Baliani a Short Theatre 9

 

china vs tibet
foto mirtobaliani.com

Con un po’ di ritardo diamo conto di un’esperienza invece solida e compatta, una delle visioni sorprendenti dell’ormai scorsa edizione di Short Theatre a Roma, China vs Tibet di Mirto Baliani. Questo piccolo gioiello di visione ha il pregio di imporre un personale linguaggio dello “stare” – sia per il pubblico che per i performer – e di farlo con la gentilezza che solo l’eccellenza può permettersi. Di questa locuzione si potrebbe anche senza fatica invertire la posizione dei sostantivi.

L’abitudine di sedersi su delle sedie ce l’aveva già tolta la copiosa affluenza delle serate precedenti, ma stavolta, nella sala che ci accoglie completamente buia, il posto degli spettatori è obbligato: sparsa per l’ampio spazio, una costellazione di cuscini è per noi unica postazione indicata. Nel centro, una tanica di benzina manda vapori che fanno prudere il naso, prima che una mano invisibile la tolga dalla scena, lasciando solo una macchia d’umido pronta a seccarsi sotto i nostri respiri. L’occhio, che già s’abitua alla semi-oscurità, registra in alto dei fili disposti a cupola, cavi pendenti e raccolti in un centro comune, come lo scheletro di un tendone da circo. Poi il nero silenzioso si lascia abitare da un debole chiarore e dal segno piccolo e metallico di una campana. Non si tratta di una traccia pre-registrata: mandando lo sguardo in cerca della fonte, la lieve luce di un riflettore ambrato incornicia la statuetta stilizzata di un gatto, un maneki neko. A scapito delle decine di interpretazioni possibili, questo curioso soprammobile giapponese vecchio di cinquecento anni è diventato ormai per noi occidentali l’emblema del kitsch, immancabile in ogni vetrina orientale. Qui la sua grossa zampa batte su campane e ciotole tibetane, alzando voci diverse. Il sorriso non fa a tempo a strapparsi che un altro piccolo gong si accende dall’altra parte. Il dialogo diventerà un parlamento. Il parlamento una minaccia di guerra. E questa un’intera drammaturgia, dove un popolo piccolo e refrattario alla violenza innalza gesti misteriosi.

china vs tibet
foto mirtobaliani.com

Non è facile restituire un’idea della straniante posizione che Baliani ha immaginato per il pubblico. Seguendo passo per passo una partitura, che all’apparenza del succedersi casuale sovrappone un ritmo estremamente rigoroso, l’ambiente sonoro si costruisce intorno agli spettatori, letteralmente accerchiati da un fuoco incrociato di voci tintinnanti. Il titolo dice più o meno tutto, ricostruisce un condensato di arringhe mistiche pronunciato in una lingua di fatto non comprensibile e della quale, pure, resta evidente l’urgenza. Ciascuno stretto quadrato di luce ospita un “modello” diverso di gatto, dai piccoli eserciti dorati al grosso e autorevole simulacro à la Buddha, tutti con lo ieratico occhio sbarrato. Grazie al dispositivo elettroacustico di Marco Parollo, la finezza performativa stende un velo di semplicità, “riducendosi” alla consonanza di luce e suono: il fatto che un gatto, privato della luce (come della visibilità, dell’esposizione) sia privato anche della voce ci rimanda alla lontananza da cui i popoli occidentali sono stati “ammessi” a fruire del dramma dell’indipendenza tibetana.

Chi attento alla ricerca di un significato ritmico, chi sdraiato in terra a viversi il suo trip orientale, ci troviamo nel mezzo di un conflitto di cui è di fatto impossibile intuire i confini: l’imponente catena dell’Himalaya forma un cerchio. Resta solo, come monito comune ai due popoli, l’emblematica dispiega delle preghiere, frammenti strappati di stoffa colorata su cui un alfabeto lontano immagina il futuro. Che ora non può che affidarsi, a tempesta placata, alla leggera brezza di un ventilatore. Mentre nell’aria il vento agita le speranze più intime di un popolo remoto, all’odore della benzina si mischia quello dell’incenso, mai così simili. Questa esperienza sensoriale è il più tecnologico dei teatri di figura.

Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982

Visto a settembre 2014 [Short Theatre]

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CHINA vs TIBET
produzione Mirto Baliani con il sostegno di Olinda
ideazione, composizione e luci Mirto Baliani
sviluppo dispositivo elettroacustico Marco Parollo
promozione e logistica Ilenia Carrone
progetto grafico Carlo Gazzi
video Giulia Massignan

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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