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Il vertice di Marthaler. Europa catalettica

Recensione. Un gruppo di attrici, attori e musicisti italiani, francesi, svizzeri, austriaci e scozzesi per il nuovo spettacolo di Christoph Marthaler prodotto dal Piccolo insieme ad altri partner europei.Christoph Marthaler

Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra»

Genesi, 11-4

Foto Masiar Pasquali

Al Rotary Club Firenze Ovest dei primissimi anni ’90, Daniele Del Giudice tenne un intervento la cui trascrizione è stata recentemente pubblicata nella raccolta In questa luce con il titolo Occidente Europa. Lo scrittore romano ragionava intorno alla natura ossimorica dell’Europa, capace di essere tutto e il suo contrario, bigotta, dionisiaca, solare, oscura, liberale, tirannica, capitalista, fascista, collettivista. Considerava anche il suo immaginario, costituito da scritti di autori e pensatori come Goethe, Platone, Rabelais e da sempre portato a restituire e modellare questa molteplicità conflittuale. E tuttavia Del Giudice trovava che proprio il conflitto, nello spirito dell’Europa contemporanea, fosse stato rimosso, gradualmente trasformato nel suo surrogato, la competizione, che non prevede eroi tragici portati alla sofferenza e, dunque, al sapere, ma soldati “della moltiplicazione”, eroi economici, in grado soltanto di vincere o perdere. Fidandosi di questo binarismo, l’Europa avrebbe sempre più escluso dal proprio orizzonte di pensiero il marginale, l’estraneo, l’inconoscibile. Il suo problema, secondo Del Giudice,  era dunque di ordine etico e, allo stesso tempo, estetico, espressivo, linguistico.

Foto Masiar Pasquali

Che quella rappresentata da Cristoph Marthaler, ne Il vertice, sia l’Europa è evidente fin dalla locandina: la cima di una montagna, a forma di croissant, addobbata di bandiere nazionali. Il regista svizzero, già al Piccolo di Milano negli scorsi anni con Gli specialisti (1999), I dieci comandamenti (2006) e Fede amore speranza (2014), gioca con la parola tedesca Gipfle che significa sia “dolce”, appunto, sia “vertice”. Da qui l’ambientazione all’interno di un rifugio di montagna, con tanto di cima rocciosa a vista, dove convergono sei personaggi provenienti da diverse parti del continente. Indossano abiti e strumenti antidiluviani, da esploratori primonovecenteschi, e accedono allo spazio tramite un montacarichi – unico ponte con l’esterno – per un motivo che resterà imprecisato per l’intero spettacolo. Potrebbero essere politici a un G6, miliardari a un meeting, dirigenti d’impresa in un’attività di team building.

Foto Nora Rupp

Il mistero avvolge anche i loro modi espressivi. Per il primo quarto d’ora si dipana una drammaturgia di suoni, prodotti dall’ambiente (il rumore del montacarichi, il suono di una sirena) o dagli attori che, in scena, aprono alcune lattine, spiegano fazzoletti a mo’ di bavaglio, chiacchierano in lingue incomprensibili, si esibiscono, leggendo uno spartito, in un coro di parole monosillabiche pronunciate in varie lingue. «Non capisco più nulla del linguaggio», afferma, nell’indifferenza generale, una delle interpreti dopo la fine del profluvio sonoro.

Foto Masiar Pasquali

La drammaturgia accumula e giustappone situazioni apparentemente slegate l’una dall’altra, tutte in potenza foriere di un significato simbolico, tutte forse in grado di svelarci quale visione del nostro continente Marthaler stia sublimando: la statua della Madonna che veglia sulla scena rimanda all’ingerenza della Chiesa sulla politica europea? La Gioconda che, per prima, appare pochi secondi dal montacarichi indica la fragilità del suo equilibrio? Le decine di estintori di plastica che vengono gonfiati degli interpreti vogliono significare l’impotenza delle parole nell’estinguere le minacce alla democrazia? Il tornello elettronico inceppato riflette le politiche di respingimento dei migranti dall’Africa e dall’Asia? Non viene fornita una bussola per orientarsi in questa babele linguistica e simbolica: l’intenzione, piuttosto, sembra essere quella di condurre lo spettatore in un delirio immaginativo di sketch autoconclusivi, monologhi inascoltati, cambi d’abito continui. È come se quella molteplicità che Del Giudice, trentacinque anni fa, vedeva soffocata fosse riemersa dopo un periodo di rimozione, in maniera disordinata e incontrollabile. Se «le montagne sono le dimore degli dei», come si chiede uno dei sei personaggi in scena, è palese l’inefficienza di queste divinità che, in preda a una lucida catalessi, vivono isolate dal circostante, rifugiate nelle loro isterie e nel loro passato.

Foto Masiar Pasquali

L’unica soluzione possibile all’isolamento e, soprattutto, all’incomunicabilità sembra delinearsi proprio nella consultazione del “Libro di vetta” che, come fossero messaggi lasciati dai diversi visitatori, raccoglie svariate citazioni dalla letteratura europea (si riconoscono, in particolare, Patrizia Cavalli e Giuseppe Ungaretti). Queste, nel finale, vengono lette e rilette da tutto il gruppo, che si stringe attorno alla propria tradizione culturale e attorno alla cima della montagna – riparata con coperte perché, si dice, ha freddo. Lontano da ogni consolazione, questo finale sintetizza l’ambiguità che Marthaler ha disseminato per l’intero spettacolo.  Se, da una parte, la sua Europa sembra aver trovato, assieme a un antico immaginario comune, una base di senso da cui affrontare il conflitto che la attraversa; dall’altra appare infantile, nostalgica, autoassolutoria, tanto impreparata a rispondere al fuori, quanto goffa nell’interrogare sé stessa.

Matteo Valentini

Milano, Piccolo Teatro Strehler, maggio 2025

Il vertice
PRIMA ASSOLUTA
di Christoph Marthaler
con Liliana Benini, Charlotte Clamens, Raphael Clamer, Federica Fracassi, Lukas Metzenbauer, Graham F. Valentine
drammaturgia Malte Ubenauf
scena Duri Bischoff
costumi Sara Kittelmann
trucco e acconciature Pia Norberg
luci Laurent Junod
suono Charlotte Constant
collaborazione alla drammaturgia Éric Vautrin
assistente alla regia Giulia Rumasuglia
maestri accompagnatori Bendix Dethleffsen, Dominique Tille
assistente volontario alla regia Louis Rebetez
coordinatori di produzione Marion Caillaud, Tristan Pannatier
accessori e costruzione della scenografia Théâtre Vidy-Lausanne
costumi realizzati in collaborazione con la sartoria del Piccolo Teatro di Milano
produzione Théâtre Vidy-Lausanne, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, MC93 – Maison de la culture de Seine-Saint-Denis
coproduzione Bonlieu Scène nationale Annecy, Ruhrfestspiele Recklinghausen, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Festival d’Automne à Paris, Théâtre National Populaire de Villeurbanne, Festival d’Avignon, Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène européenne, Malraux scène nationale Chambéry Savoie, Les 2 Scènes – Scène nationale de Besançon, tnba – Théâtre national Bordeaux Aquitaine, International Summer Festival Kampnagel
nell’ambito del progetto “Interreg franco-suisse” n° 20919 – LACS – Annecy-Chambéry-Besançon-Genève-Lausanne

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Matteo Valentini
Matteo Valentini
Matteo Valentini ha conseguito una laurea in Letterature moderne e un dottorato in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli studi di Genova. È tra i fondatori dell’Oca – Osservatorio Critico Autogestito, webzine di critica teatrale, e collabora anche con Hystrio e Teatro e Critica. È docente di ruolo di Italiano e Storia presso il Convitto Nazionale Longone di Milano.

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