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SANTARCANGELO FESTIVAL 2025

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio-agosto 25

I soliti sold-out e la colorata comunità nomade di artist* che abita il borgo romagnolo per un paio di settimane: c’è aria di festa in città, nonostante i risultati ministeriali. Anche perchè qui siamo in Emilia Romagna e gli enti locali hanno risposto con una dimostrazione di forza, facendone ancora di più una questione politica, il Presidente della regione De Pascale ha preso parola proprio all’apertura in difesa del Festival e il direttore artistico Tomasz Kireńczuk si è fatto stampare la scheda con i punteggi ministeriali su una maglietta, quasi a rivendicare quel -12 come frutto di un’alterità culturale e politica. D’altronde la destra vorrebbe un altro Santarcangelo, lo sappiamo bene, basta andarsi a cercare le affermazioni di chi siede in parlamento con Lega o Fdi o dei politici locali. Vorrebbero un festival non “divisivo”, depoliticizzato, non schierato insomma. Certo le critiche in questi anni sono arrivate anche da parte di osservatori e giornalisti (ma sempre nel merito dei contenuti artistici) e se è vero che come tutte le espressioni radicali il festival rischia di essere una bolla rispetto al mondo circostante – la porosità va detto può e deve migliorare (in termini di apertura e dialogo) – è pur vero che se c’è un luogo che di quella radicalità ha fatto la propria natura questo è proprio Santarcangelo. Gli spettacoli visti qui devono spostare lo sguardo verso un altrove, devono essere divisivi, di rassegne che mettono d’accordo tutti ce ne sono in abbondanza, qui si viene a fare esperienza del limite, sui corpi, sulle asimmetrie sociali, sulle minoranze e sulla possibilità di indagare dunque la nostra posizione nel mondo. Quest’anno tra le tante visioni intercettate nei due giorni in cui abbiamo girato per le venues santarcangiolesi ne selezioniamo alcune per un racconto tra diversi linguaggi e idee. Il corpo continua ad essere elemento politico, per il suo colore, la sua origine geografica, oppure per l’uso strumentale, come oggetto di lavoro e servizio per l’Occidente benestante, ma può essere anche un corpo sul quale rimangono impronte sociali e addirittura religiose e corpo auto-sessualizzato in una sorta di sacrificio al piacere. (Andrea Pocosgnich)

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QUI A PEUR (di Davide-Christelle Sanveea)

Chi siamo nello spazio pubblico, di cosa abbiamo paura? Ci è mai capitato di sentire gli sguardi delle altre persone, indagatori, durissimi, persino violenti? Il Teatro Petrella di Longiano viene ripensato come luogo site specific dal duo Davide-Christelle Sanvee, il pubblico viene fatto accomodare su piccoli sgabelli, non c’è linea di demarcazione tra platea (in assenza delle poltrone) e scena. Due enormi pali ospitano dei fari e delle telecamere, solo successivamente capiremo di essere sotto controllo. Sanvee entra bendata, una voce off la guida tra gli spettatori. “Certe persone hanno paura del mio odore”, recita in francese, chi ne ha bisogno deve cercare i due alti schermi per leggere la traduzione. Al centro della narrazione c’è proprio lo sguardo, quello delle persone bianche europee su quella bambina nera appena arrivata a scuola, in Svizzera. Chi ha paura dell'uomo nero? Personaggio da ninna nanna, protagonista di filastrocche che si incidono nelle menti dei bambini. Le vicende personali si incrociano con quelle storiche: James Baldwin e la sua permanenza in Svizzera, Claudette Colvin e Rosa Parks le due attiviste che hanno rifiutato l’apartheid sui mezzi pubblici in Alabama e poi il controllo sociale: “vi abbiamo osservato per tutta la settimana” recita la voce fuori campo mentre il pubblico inquadrato appare proiettato in alcuni punti del teatro. Lo spettacolo nonostante l'idea di partenza non convince a causa della frammentata tessitura drammaturgica e di un allestimento che vorrebbe essere immersivo, ma non riesce a farci sentire davvero in pericolo e anzi certe scelte risultano un po’ grottesche: la mazza agitata dall'artista tra gli spettatori, le porte che sbattono, l’altro performer (Steven Schoch) che arriva saltando da un palchetto. Con chi parlano questi artifici posticci? Con chi è già d’accordo, con una bolla culturale che non ha bisogno di essere spaventata (anche solo per gioco); suggestiva invece la scelta di far apparire figure di spettatori neri dietro a velatini prontamente illuminati; ci guardano, tranne una persona sono gli unici spettatori neri in sala. (Andrea Pocosgnich)

VIsto al Teatro Petrella di Longiano, Santarcangelo Festival. Ideazione, direzione artistica Davide-Christelle Sanvee con Steven Schoch, Davide-Christelle Sanvee assistente alla direzione artistica Dîlan Kîliç sculture Florian Bach suono Baptiste Le Chapelain luci, direzione di scena Luis Henkes in alternanza con Florian Bach responsabile video Dîlan Kîliç costume Marie Schaller montaggio video Raphaël Piguet produzione sculture Cedric Bach – CEN.Construction amministrazione Ars Longa coproduzione Le Grütli centre de production et de diffusion des Arts Vivants, L’Arsenic – Lausanne con il supporto di Fondation Ernst Göhner, Fondation pour les interprètes suisses (SIS), Loterie Romande progetto realizzato con il supporto di Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia

ENTEPFUHL (Alina Arshi)

Ci attende in piedi, di lato, in questa sorta di non luogo in disuso (ci facevano le corde, ma prossimamente verrà abbattuto per lasciare spazio a qualche appartamento turistico), ha un dito in bocca, come per mangiarsi le unghie ma sarà simbolicamente qualcos'altro questo suo contatto ossessivo con la cavità orale. Per interi minuti, forse troppi vista la breve durata della performance (20’), Alina Arshi fa pochissimo, ci guarda immobile o spostandosi nello spazio delimitato da teli colorati con varie fantasie. Veste un paio di pantaloncini scuri al ginocchio e una canottiera arancione, si gira, si tocca una treccia e continua a tenersi un dito in bocca mentre il sottofondo sonoro di una città rumorosa si fa più evidente. Il canto si sprigiona come qualcosa di naturale, come la radice di una cultura di appartenenza e poi di nuovo la mano che comincia a ostruire sempre di più la bocca fino soffocare la melodia. La bocca è ora apertissima, Arshi sembra voler mangiare qualsiasi centimetro della propria pelle prima che una linea ritmica potentissima possa portarla da un’altra parte: ora è il corpo in fiamme, spasmi, contrazioni, le braccia si lanciano in alto il busto si inarca, il viso cerca di contenere l’incontenibile. Se scattassimo una foto ora vedremmo una posa che avrebbe a che fare con l’iconografia induista, come nel finale, suggestivo proprio per questo rimando e per la radicalità con cui l'immagine si esprime: l’artista si posiziona sul limitare destro dello spazio, scenico, è immobile e di profilo, con il corpo in avanti, la lingua di fuori e la saliva che gocciola sul pavimento di cemento. La ventottenne, nata in India e trasferitasi in Europa (diplomata alla mitica Manufacture di Losanna proprio con questo solo), parte dal concetto di smarrimento - Entepfuhl era il nome di un villaggio in Germania protagonista anche di un romanzo filosofico di Thomas Carlyle del 1836 -,  ma qui la riflessione  è tutta in quel corpo, nelle mostruose contrazioni, nella lingua della Dea Kali che sbava sul pavimento (Andrea Pocosgnich)

Ex Corderia, Santarcangelo Festival. Coreografia Alina Arshi consulenza Jessica Allemann, Nicole Seiler, Robinson Filomé Starck produzione La Manufacture nell’ambito dei lavori di Bachelor della Promozione F grazie a Les Urbaines per la ripresa e ad Arsenic per l’ospitalità negli spazi studio progetto realizzato con il supporto di Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia

FERAL (di Josefina Cerda)

L’arte ha un’evidente difficoltà a relazionarsi con il sesso inteso come fonte del piacere, spiega Josefina Cerda dopo che il pubblico ha occupato qualsiasi centimetro quadrato della piccola stanza di un appartamento privato da cui si accede sotto i portici di Piazza Ganganelli. Luci rosse, aiutanti a volto coperto, con una calza rosa o con una di quelle maschere da cane usate nei giochi di ruolo erotici. Per l’artista di Santiago del Cile il sesso è stato da sempre una necessaria passione, fin dalla precoce età di otto anni e questo spettacolo è il tentativo di unire le due anime, quella di attrice e quella di dominatrice sex worker, ”soy una putana” afferma. Su un tavolo una serie di sex toys, che verranno utilizzati durante la performance, e il solito arsenale tecnico con mixer e loop station, ma in Feral (dallo spagnolo, ferino in italiano) la musica elettronica si mescolerà con vocalizzi ed esplosioni orgasmiche. Cerda rivendica il diritto di essere un oggetto sessuale, di procurare piacere per qualcun altr*, oltre che per se stessa, arriva a citare Donna Hareway e aspira al superamento dell’umano e all’identificazione con l’oggetto sessuale. Ma lo stile dello show è ironico, piacevolmente divertente e pieno di una sana stupidità quando è il pubblico ad essere chiamato in causa con la possibilità di interagire con un dildo o assumendo il controllo a distanza di un vibratore. Chi lo desidera può anche provare una piccola esperienza BSDM facendosi sculacciare con veri strumenti da mistress - non sono mancati volontari e volontarie naturalmente. Eppure al di là del sacrosanto gioco ciò che rimane è il grido di libertà di questa donna, la sua epica e selvaggia ricerca del piacere. Sarà politica anche questa, no? (Andrea Pocosgnich)

Casa privata, Piazza Ganganelli, Santarcangelo Festival. Creazione, performance Josefina Cerda maschera Pedro Gramegna, John Alvarez protesi O’Ryan Lab amministrazione, produzione, distribuzione Ébana Garín, Roni Isola – Fundación Cuerpo Sur Josefina Cerda è artista associata di “Fundación Cuerpo Sur”. La presentazione di “FERAL” a Santarcangelo Festival è realizzata grazie alla collaborazione con Belluard Bollwerk Festival

MAGIC MAIDS (Eisa Jocson, Venuri Perera)

Colpisce la capacità di queste artiste di tenere insieme un’atmosfera ironica e la necessità di far emergere un tema sul quale per una volta la relazione con il pubblico occidentale e borghese non è per niente scontata. Magic Maids punge dal vivo su qualcosa che riguarda molte famiglie e persone benestanti, ovvero la presenza delle domestiche, donne sempre pronte a sorridere, a pulire e riordinare le nostre case con capacità quasi magiche. C’è un preambolo - come spesso succede qui a Santarcangelo - lunghissimo, 15 minuti di noia pura in cui le due performer si muovono nello spazio con le scope tra le gambe, ma ormai siamo esperti e attendiamo con pazienza l’accendersi della drammaturgia, intanto un sottofondo spiritico (il suono è di Soraya Bonaventure) accompagna i movimenti. Eisa Jocson e Venuri Perera (da La Unión, nelle Filippine) lentamente trasformeranno la ritualità di questo lentissimo incipit in una performance prima a metà tra la danza e il circo e poi in una narrazione che coinvolge apertamente il pubblico. Sul fondale della palestra dell’Itse Molari sono disposti tutti i loro strumenti: scope in saggina di vari tipi, ne useranno numerose, tutte insieme, trasformandosi nell’immagine della dea Kali (in scena c’è anche un tavolo con un’immagine religiosa). Shrilankese e filippina sono i due nomi con cui vengono riconosciute le domestiche: chi di voi ha una shrilankese? E il pubblico italiano di fatti non capisce subito; la platea, disposta su tre lati, si diverte ma il gioco è nella forma (come nella seduzione degli sguardi e dei vestitini sexy utilizzati), anzi è il pubblico ad essere giocato, perché le due artiste con un finissimo lavoro drammaturgico (oltre alle abilità fisiche e tecniche, e al lucido pensiero sullo spazio scenico) arrivano persino a raccontare di donne sparite o uccise dai propri datori di lavoro. Eppure in ballo non c’è solo il nostro senso di colpa: Jocson e Perera fanno luce su un’umanità che si prende cura di un’altra umanità, che vende il proprio tempo, la propria fatica e i propri sorrisi a chi può comprarli. (Andrea Pocosgnich)

ITSE Molari, Santarcangelo Festival. Ideazione, creazione, drammaturgia, performance Eisa Jocson, Venuri Perera suono Soraya Bonaventure luci Ariana Battaglia consulenza artistica Rasa Alksnyte, Tang Fu Kuen consulenza testuale Ruhanie Perera consulenza spirituale Nenet Ocson Babaylan-Vaigaland presenza creativa Arco Renz supporto drammaturgico Anna Wagner, Alexandra Hennig supporto produttivo Sandro Lunin produzione Katja Armknecht, Anne Kleiner management produzione Greta Katharina Klein produzione tecnica, distribuzione Yap Seok Huila cultura Pro Helvetia

Cordelia, luglio-agosto 2025

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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