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Quanto pesa l’eredità di un classico? Cime Tempestose di Badiluzzi

A Romaeuropa Festival il debutto di Cime Tempestose per la regia e la drammaturgia di Martina Badiluzzi. L’epica del romanzo vittoriano trasposta in dialogo sull’eredità emotiva di personaggi immortali eppure, forse, da uccidere. Recensione.

Foto Irene Tomio

«Rileggere Cime Tempestose da adulte è come tornare a casa», scrive Martina Badiluzzi nelle note di regia del suo ultimo lavoro. Il riverbero di questa immagine è insieme caldo e gelido: casa è dove si può ritrovare ciò che si è, dove riposano le nostre radici. Ma è anche la culla dei nostri dolori, l’origine dei nostri tormenti, il ritrovo dei nostri fantasmi. Così sono certi classici come il romanzo di Emily Brontë: uno specchio del volubile animo umano e della potenza delle sue passioni che inevitabilmente rimanda quell’immagine in tutta la sua atrocità. Ad accogliere lo spettatore del Teatro Vascello, dove l’omonimo spettacolo ha debuttato per Romaeuropa Festival, c’è proprio il fantasma di una casa, il suo scheletro. L’immagine potente e affascinante costruita da Rosita Vallefuoco ci immette in un ambiente attraente e repulsivo insieme, un dentro-fuori evocato da un tetto sfondato che ha lasciato adagiare un lampadario ancora vivo su un pavimento ormai coperto di neve. Sulla soglia tra la vita e la morte si colloca la scena, così come sulla stessa soglia cammina l’opera d’origine, romanzo vittoriano delle passioni tormentate, della devastante e ineludibile forza dell’amore e della vendetta, stretto nella morsa dell’ingiustizia sociale, dell’odio di classe, dei fatali legami familiari.

L’operazione di Martina Badiluzzi, in coda a un percorso drammaturgico sul femminile che spesso ha attraversato grandi personaggi e classici letterari per indagare il presente, in questa occasione attinge al romanzo vittoriano per riattraversarne i nuclei salienti tramite la voce dei due personaggi più giovani di questa grande saga familiare ante litteram. L’idea di esplorarne la pesante eredità emotiva è sulla carta efficace e potenzialmente deflagrante, utile a sviscerare gli intricati nodi di una storia di relazioni maledette, tossiche in senso moderno; esaminandone le ricadute da lontano, da un altro tempo, si può forse addirittura smascherare l’epica romantica dell’amore tra Catherine e Heathcliff, mettere una data di scadenza a certe ricorrenti letture dell’opera ormai fuori tempo massimo.

In un gioco di apparizioni e sparizioni, attraverso un taglio nel fondale nero, Cathy (Arianna Pozzoli) e Hareton (Loris de Luna) entrano in quella casa fantasma dandosi il passo, nascondendosi e guardandosi le spalle a vicenda, coperti da pesanti cappotti. Le prime battute sono scambiate sottovoce, all’orecchio. Si addentrano con confidenza e insieme timore in un luogo caro, corrotto dal tempo, devastato da quei venti tempestosi che gli danno il nome. Eppure è un luogo vivo, che risuona di echi lugubri, tratteggiati dall’ambiente sonoro di Samuele Cestola. Entrambi sono nati e cresciuti lì, condividono i ricordi, ma ognuno ne ha la propria versione: lei vittima della propria somiglianza a sua madre Catherine, morta nel darla alla luce; lui debitore verso il proprio padre adottivo Heathcliff, carnefice di Cathy.

Nello sforzo di restituire un immaginario e un intreccio, i due personaggi si fanno portavoce di un racconto che li fagocita e a tratti sembra non avere un destinatario preciso. La relazione che si stabilisce tra i due a livello testuale non arriva mai davvero a tradursi in sostanza scenica. L’esplorazione di quelle macerie, traduzione letterale del destino di una famiglia, si fa racconto quasi atono: l’incedere dei dialoghi ha un andamento descrittivo, a tratti declamatorio, che non arriva a lasciar intravedere il vero profilo dei due né il rapporto che hanno, se non in quello che di se stessi e dell’altro dicono. Una lunga prima parte dello spettacolo procede così scomponendo e restituendo episodi del romanzo in un linguaggio contemporaneo che sembra non riuscire a svincolarsi dalla pagina scritta per prendere corpo sulla scena: con uno sforzo intellettuale, si direbbe che Cathy ed Hareton siano prigionieri di quella storia, condannati a rievocarla per trovare tracce di se stessi, scoprendo di non esistere se non in funzione dei propri genitori – reali o acquisiti. Anche la casa smette progressivamente di partecipare a questo dialogo, i suoi suoni non collaborano più al procedere della narrazione, risuonano a vuoto. Una nevicata, perfetta per un finale, arriva dall’alto quasi a benedire questa rassegnazione.

Foto Piero Tauro

È qui che Badiluzzi inserisce la scena più efficace dell’opera, stilisticamente distante dal resto: un momento metateatrale gustoso e ironico che coincide con l’unica invenzione del tutto esterna al romanzo, ovvero l’epica dell’origine, per definizione misteriosissima, di Heathcliff. Ne nasce un gioco scenico immaginifico ed evocativo, che offre a Pozzoli e De Luna un momento di espressione attoriale fin qui non ancora avuto. Ma quello che potrebbe essere anche un riscatto per i personaggi, una presa di parola sulla propria storia, un patto con il passato, manca questa opportunità. A favola finita, i due si ritrovano a ragionare sul proprio destino, nella stessa semi immobilità precedente, richiusi tra le stesse macerie e gli stessi pensieri. Perché siamo venuti in questa casa? Cosa speravamo di trovare?
La domanda resta aperta anche quando, con lo sguardo sull’orizzonte, Cathy ed Hareton si congedano da quella casa, da quella storia, senza averla davvero archiviata. 

Sabrina Fasanella

Visto al Teatro Vascello – Romaeuropa Festival 2024

Date in calendario tournée

7-8 febbraio 2025 ore 21 Udine, Teatro S. Giorgio

CIME TEMPESTOSE
regia e drammaturgia Martina Badiluzzi
Con Arianna Pozzoli e Loris De Luna
Dramaturg Giorgia Buttarazzi
Collaborazione alla drammaturgia Margherita Mauro
Scene Rosita Vallefuoco
Costumi Giuditta Verderio
Suono e musica Samuele Cestola
Luci Fabrizio Cicero
drammaturgia del movimento Roberta Racis
realizzazione scene 
Alovisi Attrezzeria

produzione Cranpi, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura
con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo

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