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È possibile salvare il mondo prima dell’alba?

Recensione. Il nuovo spettacolo di Carrozzeria Orfeo compone un monito severo e ruvido sui vizi della società capitalista, ma lo fa attraverso una lista eccessiva di tematiche che fanno perdere di vista approfondimento e tridimensionalità. Visto al Teatro Vascello di Roma. In tournée, ad aprile all’Elfo Puccini di Milano.

Foto Manuela Giusto

Lo scorso 4 marzo abbiamo pubblicato su questo stesso giornale una pagina di riflessione di Simone Nebbia che faceva un punto su quanto oggi si possa (ancor di più cosa e come si debba) lasciar dire e fare al teatro. Chiarito il termine woke – quella «consapevolezza delle forme di discriminazione presenti nella società» – non è arduo proteggerlo con una ricognizione di come quel tipo di “crudeltà” sia stata alla base di certa fulgida ricerca creativa. Innumerevoli sarebbero gli esempi di quella scena che non si limita a scovare le nefandezze senza tempo dell’umano ma le fa attivatori necessari per una riflessione sul presente. È una riflessione acida, incapace di inchinarsi a una qualsiasi morale precostituita perché serva feroce e infallibile del sentimento etico, soprattutto in lotta contro ogni spirito consolatorio o retorico, contro la tentazione di dare lezioni e invece alla conquista di una consapevolezza critica. In altre parole, il passaggio in arte proposto da un’espressione come il teatro può certo avere la forza di trascinare in superficie ciò che di orrendo ci caratterizza senza però imporre una dittatura delle emozioni o un tracciato autoritario al raziocinio.

Foto Manuela Giusto

Compagnia indipendente molto amata dal pubblico, il successo di Carrozzeria Orfeo (diretta da Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti) si è costruito “dal basso”, validato da una «cultura convergente», avrebbe detto Henry Jenkins. Negli anni quello che loro stessi definiscono «teatro pop» ha dimostrato di essere impegnato in un viaggio di scandaglio di certi fondali dell’umano che senza dubbio rinviene le tracce lasciate da autrici e autori della drammaturgia moderna e post-moderna nostrana (come Eduardo De Filippo) o, in maniera più marcata, di stampo anglosassone e statunitense, da David Mamet a Dennis Kelly, da Tracy Letts a Neil Labute. In contesti narrativi sempre precisi e con minuzia progettati, poggiando generosamente su raffigurazioni realistiche nella tipizzazione dei caratteri, costruendo una struttura funzionale tramite la scelta di conflitti e accidenti di trama ben distribuiti e imprimendo un energico ritmo scenico grazie a una sapienza nella colorita scrittura dei dialoghi, in quindici anni di attività, undici spettacoli e un film programmato su Netflix (Thanks!, da Thanks for Vaselina) Carrozzeria Orfeo ha avuto spesso la capacità di metterci di fronte a uno specchio, mostrando di possedere quegli strumenti di consapevolezza e una dose adeguata di crudeltà.

Il loro ultimo lavoro, Salveremo il mondo prima dell’alba (prodotto con determinazione da Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli) sembra rinunciare a una mira precisa su questo o quel vizio di individui, relazioni o contesto e prova a salire uno scalino in più, portando in grembo una ben più copiosa pila di argomentazioni. Arretrando e salendo, il punto d’osservazione raggiunge qui una distanza letteralmente siderale, cercando di guadagnare una visione quasi omnicomprensiva delle storture della nostra società.
Con molte battute e poca occasione di rendere tridimensionali tratti pur ben organizzati, attrice e attori costruiscono un microcosmo variopinto e accattivante. Lo scenografo Lucio Diana organizza e illumina un unico spazio con due cabine per le scene intime, poste ai due lati di una circonferenza di porte aperta sulla sala comune di una capsula spaziale orbitante, adibita a palestra dell’io di un percorso di mindfulness per abbienti e autocommiseranti vittime di stress. Un milionario imprenditore di farine animali (Sergio Romano) e il suo compagno hippie (Roberto Serpi), un ricco squalo delle fake news (Ivan Zerbinati) col servitore bangladese (Sebastiano Bronzato) e una decadente pop star in precario equilibrio sugli psicofarmaci (Alice Giroldini) se la vedono uno con la fragilità dell’altra, sotto l’occhio sardonico di un coach motivazionale (Massimiliano Setti).

Alla drammaturgia di Gabriele Di Luca (che si avvale della “consulenza filosofica” di Andrea Colamedici / TLON) occorrono quasi tre ore di durata per trattare quella che è una lista eccessiva di tematiche, praticamente tutte di cardinale importanza. In ordine sparso: femminismo, condizione delle donne, omosessualità repressa e non, omofobia, razzismo, sessismo, patriarcato, dittatura dell’industria pop, pericolo del ruolo dell’influencer e del mondo dei social media, atarassia funzionale, apatia relazionale, genitorialità tossica, disinformazione, intelligenza artificiale, big data, estinzione di specie protette, competizione aerospaziale, morti sul lavoro, consumismo, geopolitica, scacchiere dei conflitti tra grandi potenze, minaccia nucleare, corsa alle risorse, cambiamento climatico, progresso feroce, speculazione edilizia, economia predatoria. Sì, esiste forse una parola che le racchiude tutte: capitalismo. E un’altra, che se la vede con questa: natura umana. Ed è qui il progetto estremamente ambizioso, quello di raccontarci quanto ogni questione sia messa a repentaglio dalla nostra stessa mancata consapevolezza delle responsabilità.

Foto Manuela Giusto

Il titolo – acutamente sarcastico – è di per sé importante: quell’affascinante pianeta azzurro che si vede dall’oblò siamo tutte e tutti noi, lì lì per essere spazzati via da una reazione atomica a catena; no, non siamo riusciti a salvarci prima dell’alba. È però davvero possibile tirare un filo così lungo da tenere insieme un tale numero di moniti per cucire un arazzo che voglia essere e resti incendiario? Drammaturgo, registi e compagnia ci provano usando strumenti che – con buona esperienza – prevedono collaudati: un serrato incalzare di parole e riferimenti e una mitragliata di dialoghi senza dubbio in grado di mantenere a lungo attiva l’attenzione non sembrano stavolta sufficienti a superare lo scoglio della battuta acida; il doppio senso che si vorrebbe sagace si infrange troppo spesso sul turpiloquio e perde la propria superficie graffiante. Se il capovolgimento di senso, in cui il povero diviene aguzzino del ricco è rapido e poco sottile, abbandonato a una comicità d’altri tempi, non è meno pericoloso l’utilizzo di una sorta di onnisciente voice-off (tanto cara alle serie TV), pilota di uno smisurato monologo conclusivo che apre più di un finale richiudendoli in più di una scena madre e riconducendo tutto a un presunto destino teologico-biblico che consegna ai superstiti il ruolo di ri-creatori di Adamo ed Eva.

Foto Manuela Giusto

Quando si intenda concentrare un tale volume di tematiche in un così esiguo vivaio di tipi umani, si corre il rischio che molte dimensioni del sottile – come quella tridimensionalità del carattere che sta, in teatro, nel gioco delle relazioni – si appiattiscano su maschere troppo esplicite, dalla coppia gay salvata da quella tenerezza femminile che la protegge dai mali del mondo al maschio medio misurato nella sua conoscenza anatomica della vagina, dal chiacchiericcio dei social media come strumento di potere sull’individuo alla stolida fallofobia dei falsi eterosessuali, dalle femministe coi “peli sotto le ascelle” a quello che, a nostro avviso, è il risultato più grave (e, in altri paesi, inaccettabile) di questo tipo di compressioni del tema e dell’immaginario nel linguaggio logico-rappresentativo della scena: il personaggio di Nat, da copione originario del Bangladesh, è interpretato da un (pur efficace) attore italiano, la cui nazionalità viene persino sottolineata dagli altri in fase di inchini di fronte a un pubblico senza dubbio festoso.

Il teatro di Carrozzeria Orfeo ha da sempre resa chiara la volontà di non fare sconti a nessuno, di volersi scagliare contro la logorante forma mentis borghese e il liberismo benpensante, correndo di buona lena – sull’autostrada della contemporanea estetica pop – il rischio di suonare sfacciato e scomodo, di offendere alcuni da poter chiamare, poi, ipocriti. Quello che però accade in questo lavoro è che ad assumere il controllo di questo severo sguardo su noi piccoli umani sia una pars destruens che non trova spazio per il proprio necessario complemento. Decisiva può essere la capacità di far detonare un discorso generando rovine se essa riesce a ricavare, dal loro essere simulacro di una distruzione programmata con crudeltà, un’indicazione di futuro. Non si tratta di generare speranze. Nessuno, qui, vuol essere consolato, nessuno in fondo crede che davvero salveremo questo mondo ma – come chiarito bene nell’articolo citato in apertura – se si vuole organizzare un attacco frontale a noi stessi, occorre lasciare spazio a una reazione realmente viva da parte del pubblico. È difficile sentirsi responsabili di un pensiero drammaturgico che sembra andare a distruggere la morale, preparandone poi una nuova, a compimento – e a chiusura – del senso.

Sergio Lo Gatto

Teatro Vascello, Roma – marzo 2024

SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA
Uno spettacolo di
Carrozzeria Orfeo
Drammaturgia Gabriele Di Luca
Con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Massimiliano Setti, Roberto Serpi, Ivan Zerbinati
Regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
Consulenza filosofica Andrea Colamedici – TLON
Musiche originali Massimiliano Setti
Scenografia e luci Lucio Diana
Costumi Stefania Cempini
Illustrazione locandina Federico Bassi
Organizzazione Luisa Supino e Francesco Pietrella
Ufficio stampa Raffaella Ilari
Illustrazione locandina Federico Bassi e Giacomo Trivellini
una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
In collaborazione con Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale

TOURNÉE
21-24 marzo 2024 | CATANIA – Teatro Verga
3 aprile 2024 | UDINE – Palamostre
4 aprile 2024 | TRIESTE – Teatro Rossetti
6-7 aprile 2024 | LA SPEZIA – Teatro Civico
9-28 aprile 2024 | MILANO – Teatro Elfo Puccini 

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

2 COMMENTS

  1. Due consigli inutili in uno. Difficile scrivere di peggio…
    Non date retta, andatelo a vedere e giudicate voi stessi. Del resto una recensione così articolata (quella sopra, non quella sotto) non può che scaturire da un’opera complessa che merita comunque di essere vista. Io l’ho fatto è l’ho trovata davvero di altissimo livello.

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