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Bidibibodibiboo. Quello che non possiamo dire

Recensione. Bidibibodibiboo, testo di Francesco Alberici, finalista alla 56a edizione del Premio Riccione per il Teatro, prodotto da Gli Scarti (coproduzione Piccolo Teatro),  è andato in scena sul palco del Dialma Ruggiero di La Spazia per la stagione Fuori Luogo. Prossime date a Udine, Milano e Bolzano

Foto Francesco Capitani

Anche se può suonare strano, “Bidibibodibiboo” di Francesco Alberici è uno spettacolo che parla di quello che possiamo e non possiamo più dire. Sulla carta si tratta di una storia di licenziamento, degli effetti anche devastanti che certe politiche aziendali hanno sulla vita dei singoli, ma pian piano che il racconto progredisce diventa evidente che il vero fulcro del discorso è l’impossibilità di parlare, di verbalizzare. A partire dal nome dell’azienda, una grande azienda che presumibilmente tutti conoscono, ma di cui non si può fare il nome per paura delle ritorsioni legali. Così come non è possibile raccontare “davvero” ciò che è successo, per via di accordi stringenti firmati dal lavoratore licenziato. La definiremo allora, per assurdo, come una multinazionale “che vende fiori”. Questo è il primo dei tanti slittamenti, surreali e allo stesso tempo terribili, che il regista-performer in scena propone al pubblico per cercare di disegnare almeno i contorni di questa storia. Perché se non è possibile raccontare il cosa, è almeno ancora possibile evocare il come.

“Bidibibodibiboo” parte da un fatto concreto – il licenziamento di Pietro – e da un innesco meta-teatrale: è Daniele, il fratello che è anche regista e performer, a raccontare la storia di Pietro rivolgendosi direttamente al pubblico, in primo luogo, e anche interpretando lo stesso Pietro, chiedendo a un altro performer di recitare il suo ruolo, quello di Daniele-fratello. Una mise en abyme, ma tutt’altro che una scelta oziosa, come si capirà vedendo lo spettacolo.

Foto Francesco Capitani

Pietro è un impiegato che, pur avendo una vocazione da musicista, ha studiato statistica e sceglie di accettare un posto fisso perché sarebbe folle non farlo. Ma non è felice. La causa della sua infelicità non sta solo nella scelta fatta, ma anche in un progressivo mobbing che subisce ma che non riesce a definire come tale (“no, non è proprio mobbing… non sono sicuro che lo fosse”). D’altronde l’azienda è ha un marchio di grande fascino, parla un linguaggio innovativo, lascia i dipendenti vestirsi in modo informale e non misura le ore di lavoro, perché l’importante è il rendimento e un buon equilibro tra vita e lavoro rende felice il dipendente. Ma c’è un “ma”: l’azienda vaglia i rendimenti dei dipendenti, la loro performance, e se i risultati non sono adeguati i superiori glielo fanno notare, spesso in modo informale e amichevole, davanti a un distributore di caffè. A voce, cioè senza una prova scritta, ventilando il licenziamento o addirittura prospettando una buona uscita: se sarai tu a scegliere di andartene non dovrai subire l’onta ulteriori verifiche o di un licenziamento che comunque prima o poi arriverà.

Foto Francesco Capitani

“Bidibibodibiboo” è uno spettacolo su quello che non possiamo pronunciare, si diceva. E certamente non si possono pronunciare il nome dell’azienda e le pratiche di mobbing, per questioni legali. Ma lo stesso Pietro non riesce a pronunciare la parola “mobbing” così come non riesce a dire da subito che, in fondo, la perdita di quel lavoro è stata “anche” una liberazione. Che accettare di non provare a seguire il proprio sogno di diventare musicista per accettare un lavoro stabile è in fondo un processo di “modellizzazione” a cui ci sottoponiamo volontariamente, a causa della ricattabilità economica, della paura di essere tagliati fuori. Il secondo quadro dello spettacolo, che propone un esilarante (e, anche qui, agghiacciante) cortocircuito tra la figura della manager/azienda e la madre, entrambe animate da un “sincero” amore per il figlio-dipendente, ma pronte anche a stigmatizzare ogni tipo di dissenso, di resistenza, come una forma di illogicità. È tutto così “logico” che negarlo sarebbe “folle”. Per questo, in assenza della possibilità di verbalizzazione del problema, è il corpo a parlare: e Pietro comincia ad ingrassare, prima cinque chili, poi dieci, mentre la sua pelle viene mangiata dalla psoriasi.

Il terzo quadro propone un ulteriore specchio rovesciato e un ulteriore non detto. Proprio mentre lo spettacolo che Daniele sta facendo sulla storia di Pietro, interpretandolo, sta per andare in scena, il vero Pietro si presenta e chiede di bloccare tutto. Non è più convinto che sia giusto raccontare a tutti la sua storia. Il preteso attivismo dell’operazione non lo convince: il mondo deve sapere? Ma a teatro sono già tutti progressisti, davvero Daniele può raccontarsi serenamente la storiella dello spettacolo che “incide sulla realtà”? Non è piuttosto una forma di narcisismo, un sentirsi migliori grazie alla denuncia sociale, fatta però sulle spalle di altri, sulla storia di altri? Quando sarà evidente che Pietro non è disposto a cedere, Daniele lo implora mettendo in evidenza un tassello in più: è il “suo” lavoro che andrà a scatafascio, la sua credibilità di regista sarà compromessa, i produttori non glielo perdoneranno. Anche lui, quindi, vive sotto ricatto e anche lui non sa raccontarsi il vero motore delle sue scelte, preferendo imbastire la storiella dell’artista impegnato – luogo comune artistico rassicurante, accettato, già metabolizzato. La mise en abyme si compie non solo nel gioco metateatrale, ma anche nello specchiarsi di destini, nel venir meno delle retoriche, in uno specchiarsi che vede il mondo dell’arte – un contesto, per altro, dove storicamente i contratti sono precari e hanno fatto da modello per la precarietà a venire negli altri settori del lavoro – non meno fragile e non meno compromesso.

Foto Francesco Capitani

Verbalizzare è il primo passo per rendere visibile i contorni di un problema, per tracciare l’ambiente psichico e relazionale in cui ci stiamo muovendo. L’incapacità di farlo è sintomo di rimozione, di omissione, e se questo ragionamento lo spostiamo dalla dimensione individuale a quella sociale, “Bidibibodibiboo” intende metterci di fronte al rimosso che stiamo vivendo come collettività sui temi del lavoro e, più in generale, rispetto alla possibilità di indirizzare la propria esistenza. È un rimosso costruito attraverso i rapporti di forza – una multinazionale può intentare cause milionarie in grado di distruggere i singoli e mettere in difficoltà le istituzioni – ma anche adottando narrazioni che trasformano in “illogicità” il dissenso, la difformità. Giustificando la performance come parametro che sotterra i diritti dei lavoratori, da un lato, ma convincendo noi stessi che se non accettiamo quella logica (e la protezione economica che, a volte, ci fornisce) siamo sostanzialmente dei poveri pazzi. Il titolo fa riferimento a un’opera di Maurizio Cattelan, dove uno scoiattolo giace morto suicida sul piano di un tavolo giallo – un’immagine che, secondo Alberici, ha a che fare con quello che evoca lo spettacolo. Che altro non è se non il tentativo di evocazione di quell’iper-oggetto che è la dimensione indistricabile tra precarietà, performance, considerazione di sé tipica della nostra contemporaneità. La risposta disperata del singolo ai problemi sistemici (direbbe Ulrich Beck) di un mondo dove sono evaporati la politica e i corpi intermedi.

Lo spettacolo, prodotto da Gli Scarti di La Spezia, vede in scena oltre allo stesso Alberici una compagine di attori davvero convincente, a partire da una Maria Ariis particolarmente energica – che si sobbarca praticamente da sola la parte centrale e più onirica del lavoro – passando per Salvatore Aronica e Andrea Narsi, fino allo storico membro di Frigoproduzioni Daniele Turconi (con la partecipazione, per le date spezzine, di Carlo Solinas). Ma va citato in particolare il bel lavoro fatto sulle scene da Alessandro Ratti, che ha creato un intrico di scatoloni come se ci trovassimo nel magazzino di uno luogo di lavoro, salvo poi rivelare oggetti in grado di trasformare l’ambiente ed esaltare ogni passaggio drammaturgico. Un dispositivo non privo di deflagranti colpi di scena.

Graziano Graziani

Gennaio 2024, Dialma Ruggiero, La Spezia

Prossime date in calendario tournée

9 e 10 febbraio 2024 ore 21 – CSS Udine Teatro San Giorgio sala Harold Pinter – Udine
20 febbraio al 3 marzo – Piccolo Teatro – Teatro Grassi – Milano
11 – 12 e 13 marzo ore 20.30 – Teatro Stabile di Bolzano – Teatro Studio

Bidibibodibiboo
regia e drammaturgia Francesco Alberici
con Francesco Alberici, Maria Ariis, Salvatore Aronica, Andrea Narsi, Daniele Turconi
aiuto regia Ermelinda Nasuto
scene Alessandro Ratti
luci Daniele Passeri
tecnica Fabio Clemente, Eva Bruno
produzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Ente Autonomo Teatro Stabile di Bolzano
con il sostegno di La Corte Ospitale
si ringraziano Alessandra Ventrella, Davide Sinigaglia e Ileana Frontini
testo creato nell’ambito dell’École des Maîtres 2020/21, diretta da Davide Carnevali finalista alla 56a edizione del Premio Riccione per il Teatro

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2 COMMENTS

  1. Dove è la critica a questo spettacolo? Qui si legge una sinossi dettagliata, ma manca completamente la lettura critica di quello che è uno spettacolo mediocre, con una recitazione che lascia molto a desiderare.

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