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Susanne Kennedy. Mondi virtuali e spettatori anestetizzati

Recensione. Spettacolo creato con gli ambienti digitali di Markus Selg proiettati sulla scenografia, ANGELA (a strange loop), per la regia di Susanne Kennedy, messo in scena al Teatro Argentina, è tra i primi spettacoli del Romaeuropa Festival visti nel 2023.

Foto Julian Roder

Al termine la platea è divisa: saluti convinti e occhi interdetti, alcuni non applaudono neanche. Le quasi due ore di ANGELA (a strange loop) di Susanne Kennedy sono un macigno. La regista berlinese quarantaseienne è la sacerdotessa di un teatro della visione in cui l’interpretazione umana deve vedersela con uno spazio scenico definito totalmente dall’utilizzo del video e dunque in grado di mutare all’occorrenza, neanche fosse l’utopia realizzata degli stregoni della scenografia barocca. Partiamo da qui perché lo sfavillante gioco in computer graphics ad altissima definizione, ad opera di Markus Selg, è il vero elemento portante dello spettacolo, una capacità illusionistica che rende in effetti il palcoscenico una sorta di elemento vivo, come sarebbe vivo un androide. L’idea di Kennedy è quella di mettere in crisi la percezione dello spettatore. Siamo nell’interno molto semplice di una casa, probabilmente in un ipotetico futuro dove le porte vengono segnalate con un fragoroso rumore all’apertura e con un giallo fosforescente dal punto di vista visivo, lo stesso giallo utilizzato per il piccolo tavolo centrale.

Foto Julian Roder

In alcune occasioni si fa fatica a capire quali elementi della scenografia siano in video e quali abbiano invece una evidenza materiale. Ad esempio, c’è una cucina tutta realizzata in video che restituisce proprio una sensazione posticcia, come d’altronde sembrano posticce quelle cucine nuovissime in qualche sala di esposizione. C’è un ventilatore in funzione, lentissimo, la sua ombra è talmente reale che l’occhio ha bisogno di sbattere le palpebre, di mettere a fuoco prima di capire che sia un’immagine proiettata. Sulla destra un materasso e in alto una enorme banda sulla quale apparirà per tutto il tempo la scritta, ripetuta, “EXIT”.

Per lo spettatore subito un’avvertenza «Lo spettacolo che state vedendo è basato su una storia vera», enunciazione che mostra però subito un ghigno: «per quello che ne possiamo sapere». D’altronde è evidente quanto Kennedy voglia sfidare la platea, a partire da una poetica attorale tutta concentrata a spostare l’asse empatico verso una freddezza robotica estenuante. Da qui la recitazione in playback, con gli attori doppiati e lo spettatore costretto a setacciare piccoli sussulti ironici, a cercare un modo per innamorarsi di un’astrazione che dopo qualche decina di minuti dimostra di essere tutta concettuale. «Provo a mettere l’enfasi sulle piccole situazioni e ad approfondirle finché non si disintegrano. In gioco c’è la realtà in un senso ontologico e metafisico», ha affermato la regista in un’intervista rilasciata a  Lucrezia Ercolani de il manifesto. La drammaturgia è incentrata sul personaggio di Angela, giovane donna chiusa nella propria casa, attorno a lei si muovono, entrando e uscendo dalle porte fosforescenti, un uomo, forse il compagno, un’amica e la madre – con la quale nel finale Angela si rispecchierà in un’evidente somiglianza, sottolineando così il ciclo della vita.

Foto Julian Roder

Al centro del reticolo drammaturgico di Susanne Kennedy, puntellato da echi e simboli (che ritornano più volte cambiando di segno nelle diverse fasi temporali del racconto), c’è il tema dell’io, l’identità di una donna che probabilmente deve ritrovare la propria coscienza in un mondo in cui il virtuale e il reale si sovrappongono e nel quale la libertà di scelta, ovvero la capacità di vivere autonomamente, è costantemente messa in crisi. Siamo protagonisti della nostra vita o siamo raccontati da qualcun altro? Angela non esce mai dalla propria casa eppure nel suo soggiorno si apriranno mondi indicibili, scenari urbani riconoscibili e immaginari post apocalittici (la regista ha spiegato che alcuni dei video sono stati prodotti con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale), in un televisore appeso nella zona cucina l’inquietante muso di un cane in computer grafica assolve il ruolo di osservatore, come fosse una sorta di coro lontano, e avrà però anche il compito di raccontare una favola cosmica sulla saggezza degli animali.

Foto Julian Roder

La vita della donna è scandita – oltre che dalle surreali conversazioni con gli altri – dalle dirette social di cui è protagonista: il tentativo di Kennedy è quello di tracciare un “viaggio dell’eroe” tra mondi virtuali e realtà fittizie (gli altri personaggi hanno la carnalità falsa dei personaggi di un video game) e l’eroina interpretata da Ixchel Mendoza Hernández dovrà vedersela con l’inappetenza (il cibo ha un ruolo simbolico evidente), il sonno, un angelo guida, una violinista seminuda, la sofferenza del corpo, la rinascita, i riti di purificazione, la maternità (senza aver bisogno di una gravidanza, il neonato nascerà da un colpo di tosse) e la morte. Il problema sta poi nei fatti teatrali, la ripetizione a cui è costretta Angela, la vita claustrofobica spesa a raccontarsi nei suoi video blog diventa una estenuante ripetizione anche per lo spettatore. All’indomani del debutto al Théâtre National di Bruxelles per ill Kunstenfestivaldesarts, Simone Baetens di Etcetera ha riflettuto proprio sullo sbilanciamento degli obiettivi estetici e concettuali rispetto alla resa teatrale e alla relazione con il pubblico. Siamo spettatori di un video game lento, rispetto al quale non possiamo neanche agire e la povertà della vita vissuta da Angela implode in una mancanza di empatia che non appartiene solo al vissuto del personaggio ma anche alla relazione con il pubblico.

Foto Julian Roder

Come accaduto a Bruxelles, anche all’Argentina di Roma, qualcuno, tra il pubblico di Romaeuropa, si spazientisce ed esce dalla sala prima della fine, qualcun altro cade nel sonno, qualcun altro ancora però si appassiona, riuscendo a guardare oltre la drammaturgia poco convincente, gli slanci filosofici non sorprendenti e l’immaginario digitale tutt’altro che innovativo. Secondo alcuni il teatro di Susanne Kennedy – soprattutto con questo ANGELA (A Strange Loop) – andrebbe vissuto con un approccio da arti visive, come di fronte a un’installazione, lo afferma qui Luister Naar, dopo aver visto lo spettacolo all’Holland Festival. E di certo questo potrebbe essere un tentativo di analisi, se non fosse che negli ultimi anni il discorso sui teatri installativi o sul teatro performativo che andrebbero vissuti come in una galleria d’arte, nonostante ci vengano proposti tra i velluti delle platee tradizionali (anche quando tradizionale è solo la relazione scena-pubblico), comincia a suonare come un ritornello non sempre convincente oppure come un modo molto funzionale per poter mostrare una scrittura testuale e scenica che non riesce a guardare oltre l’idea di partenza, oltre il concetto, incapace dunque di rompere il loop.

Andrea Pocosgnich

Settembre 2023, Teatro Argentina Romaeuropa Festival

ANGELA (a strange loop)

Concept, text and direction: Susanne Kennedy
Concept and stage design: Markus Selg
Performance: Diamanda La Berge Dramm, Ixchel Mendoza Hernández, Kate Strong, Tarren
Johnson, Dominic Santia
Voices: Diamanda La Berge Dramm, Cathal Sheerin, Kate Strong, Rita Kahn Chen,
Rubina Schuth, Tarren Johnson, Susanne Kennedy, Ethan Braun, Dominic Santia, Ixchel Mendoza
Hernández, Marie Schleef, Ruth Rosenfeld
Sound design and montage: Richard Alexander
Soundtrack: Richard Alexander, Diamanda La Berge Dramm
Live music: Diamanda La Berge Dramm
Video design: Rodrik Biersteker, Markus Selg
Costume design: Andra Dumitrascu
Dramaturgy: Helena Eckert
Light design: Rainer Casper
Artistic collaboration + Touring direction: Friederike Kötter
Stage assistant: Lili Super
Artistic costume assistant: Anastasia Pilepchuk, Anna Jannicke
Direction intern: Tobias Klett
Many thanks to Nick Drnaso and David OReilly for inspiration and quotes
Production: ULTRAWORLD PRODUCTIONS
Management: Something Great
Artistic production management: Philip Decker
Technical production management: Sven Nichterlein
Stage construction: Stefan Pilger
International distribution: Rui Silveira – Something Great
Tour manager: Niki Fischer – Something Great
Photo credit Julian Röder

Many thanks to Nick Drnaso, Rikke Villadsen, and David O’Reilly for inspiration and quotes

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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