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Federica Fracassi: «Per essere veri si può essere molto finti»

Federica Fracassi debutta oggi al Teatro I di Milano con Variazioni Furiose, tratto dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, per il quale ha curato l’elaborazione drammaturgica e in cui è in scena come attrice. Intervista.

Ph. Piergiorgio Pirrone

Questi sono giorni impegnativi per te, di ritorno in scena, tra viaggi, prove, prime, incontri nuovi con il pubblico. Posso chiederti come stai e quali pensieri ti accompagnano in questo momento, così fragile dal punto di vista storico?

Rispetto alla mia professione mi ritengo molto fortunata perché, come ho avuto modo di sottolineare anche in altre occasioni, sono tornata a lavorare sin da marzo con progetti che avevano qualcosa da dire, dotati di una profondità di pensiero che io ricerco sempre nei lavori che scelgo, testi e forme che possano dire qualcosa all’oggi. A volte non è proprio facile inanellare spettacoli che siano frutto della dedizione di gruppi di persone valide e umane e che abbiano una propria attualità. In entrambi gli spettacoli con cui sono in scena (insieme a Variazioni Furiose, ha debuttato a Todi Festival anche La febbre per la regia di Veronica Cruciani, ndr), sento di continuare ancora una volta a fare un lavoro che per me è politico, come il teatro dovrebbe sempre fare, grazie al quale cerco in tutti i modi di “stare sul pezzo”, in un tempo dal forte squilibrio e umanamente molto complesso. Dovremmo infatti ragionare su più livelli del discorso. Per quanto riguarda l’ambito teatrale, noi teatranti siamo stati molto bravi a rispettare le regole affinché la gente potesse tornare a godere di teatro in sicurezza, per questo mi auguro che la stagione alle porte non venga interrotta. Ciononostante, non mi stanco di insistere, il sistema non funziona e bisognerebbe capire come farlo evolvere: i teatri piccoli e le compagnie indipendenti sono penalizzati come lo è la distribuzione, si vedono pochi lavori rispetto ai tanti meritevoli che vengono prodotti e sia i più giovani che coloro i quali fanno teatro da una vita non riescono a farli crescere. Il pubblico è poi in una condizione di estrema fragilità, perché quando parliamo di pubblico parliamo di persone, famiglie con figli, intente a risolvere problemi tra scuola, i più urgenti, e lavoro, che molti hanno perso. E poi c’è la guerra, quello che sta accadendo in Afghanistan, e che abbiamo visto settimane fa, inevitabilmente e doverosamente incide, non può creare indifferenza nell’arte.

Qual è il tuo equilibrio tra la scrittura attoriale e quella drammaturgica, come cerchi di raggiungerlo e quando pensi sia invece importante perderlo?

Mi piace attraversare la drammaturgia da un punto di vista di ideazione complessiva dello spettacolo, non solo testuale ma anche di presenza, luci, suono, video. Quando un regista o una regista mi coinvolge su questo aspetto è per me un’occasione molto importante perché è un approccio che mi appartiene e per il quale sono consapevole di poter determinare delle svolte nel processo, cosa che non so fare per esempio in altri ambiti. È un aspetto legato al lavoro dell’attore in quanto punto di vista interno alla scrittura; stando dentro si trovano delle soluzioni che da fuori, anche con grande maestria, si fatica a individuare: come dire un testo, la necessità della pausa, l’uso di una determinata luce in relazione a come la percepisci tu stesso… Una volta trovati questi sentieri, li abbandono per tornarci come fosse la prima volta, in una sorta di opera di “depensamento” costituita da due momenti di una stessa ricerca.

Variazioni furiose – Ph Lorenza Daverio

Per Variazioni Furiose potremmo parlare anche di una drammaturgia musicale e in che modo?

Variazioni Furiose è nato, come sono nati spesso altri miei progetti, in forma di reading, cioè mantenendo un legame con l’elemento musicale, che in questo caso riguarda la costruzione di una struttura di oratorio e coro. La drammaturgia è divisa in tre parti: la prima, sulla fuga, incentrata sulla figura di Angelica, la seconda sulla magia e Bradamante, l’ultima relativa alla follia di Orlando e al recupero del senno. All’inizio era una voce soltanto con lo strumento, il violoncello di Lamberto Curtoni, che è anche compositore e con il quale ho già lavorato. In un secondo momento è subentrato anche il violino di Piercarlo Sacco, il cui ruolo non è stato di compositore ma di curatore, che ha operato una scelta musicale in alternanza con Daniele Richiedei. Si passa infatti dalle opere di Bach e Boccadoro a quelle più vicine di Philip Glass e anche Mishchenkov e poi Reich: da un lato è un’opera dal ritmo contemporaneo (viaggi, battaglie, amore, perdita della ragione, confusione, caos, guerra), dall’altra vive del momento della sua composizione, sia dal punto di vista della parola che della musica.

Che cosa intendi con l’espressione “in alternanza”, riferita ai ruoli di ciascuno degli interpreti?

Ho voluto scegliere una struttura aperta che potesse essere aderente a questo periodo. I musicisti sono stati a casa per molto tempo ed è normale che durante la finestra estiva abbiano ricevuto molte offerte di lavoro con tempi diversi. Piuttosto che buttare via un progetto, voglio che questo venga calibrato sulle possibilità di ognuno: una sorta di jam session, campo aperto nel rispetto proprio delle “Variazioni furiose” del presente.

Nel 2021, chi sono i personaggi dell’Ariosto?

Mi sono voluta dedicare a questo testo perché credo abbia una vitalità e furia adolescente molto contemporanea. Dai personaggi, figurine che con la gorgiera si stagliano sul fondo all’inizio, diventiamo poi delle persone: saremo noi ad andare sulla Luna, in quanto uomini e donne alla ricerca del senno perduto. È un lavoro sulla parola, che inizia in alternanza tra prosa e verso di Italo Calvino (estratti dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino, ndr) per poi lasciare spazio alla parte lirica. Le figure femminili sono quelle preminenti, Angelica affidata a Alessia Spinelli sicuramente non è la donna svenevole, al contrario è florida, simpatica, più una Ave Ninchi che un’Angelica “angelicata”; e Bradamante (interpretata da me) è figura favolosa di donna guerriera vestita da uomo. Sono entrambe molto forti e, nonostante io non venga da un passato femminista militante, ho attenzione alle donne, alla loro forza e eroismo. Nel quinto canto dell’Orlando Furioso c’è infatti una sorta di invettiva contro il femminicidio ante litteram. L’uomo, secondo l’Ariosto, è innaturale se si macchia di questa violenza, e porta in rassegna esempi per cui gli animali non uccidono gli altri animali, non agiscono contro di loro. Inoltre gli uomini del poeta sono sempre ritratti goffi: perdono nelle battaglie, cadono a terra, devono fronteggiarsi per stabilire chi è il più forte, si innamorano follemente. La natura viene così contrapposta a un’umanità in dissidio, della quale non mi interessa il maschio eroe ma gli uomini e il loro andare in pezzi. Vorremmo infatti inserire questa parte del testo originale come una sorta di bonus track, da leggere in una fase storica in cui stiamo tornando alle Crociate, veramente lo stiamo facendo? Sì, ed è tremendo.

Variazioni furiose – Ph Lorenza Daverio

Lo spettacolo come si inserisce nella direzione artistica del Teatro I e come questo luogo ha influito sul processo creativo?

Inizialmente era un mio lavoro autonomo, poi in seguito e per casualità vi sono entrati Renzo Martinelli e Massimo Luconi, il quale poi se ne è allontanato per questioni meramente pratiche relative al fatto che vivendo in Toscana era difficile per lui seguire le prove a Milano durante il lockdown. Una casualità quindi ma rispettosa della linea portata avanti dal teatro nel rapporto con la musica, innanzitutto, e nella spinta a inserire un pensiero femminile nei lavori, aspetto di cui mi sono sempre occupata. Da una parte il Teatro I lavora con autori che scrivono adesso (si pensi al progetto sulla biblioteca virtuale, ndr), dall’altra recupera chi ha già parlato ma la sua parola dice anche dell’oggi.

A proposito del rapporto classico-contemporaneo, veniamo alla regia ronconiana, quanto è stata per te determinante nel creare un preciso immaginario?

L’Orlando di Ronconi lo guardo e riguardo da sempre, amando il modo in cui la sua scrittura affronta il gioco, la leggerezza e l’ironia. Ho in mente le illustrazioni, le quali mi hanno sempre rimandato a un’idea di bellezza in bilico tra incubo e fumetto, una fantasia a briglia sciolta che mi permette di inventare mondi altrove, come appunto il gioco dei bambini. Mi colpisce dunque questo aspetto, seppure poi io abbia agito nella differenza; basti pensare all’autorialità di Edoardo Sanguineti e a come questa ribalti letteralmente il testo originale rispetto invece a come io ho lavorato sui versi di Calvino.

E invece, da spettatrice, qual è stato lo spettacolo per te rivelazione che ti ha spinto a fare questo mestiere?

Faccio molta fatica a scegliere, non è affatto una domanda facile a cui rispondere. Penso tuttavia al Teatro Valdoca e a come i loro spettacoli siano stati delle vere e proprie folgorazioni teatrali. Nella poesia della parola di Mariangela Gualtieri, e in quella delle visioni di Cesare Ronconi, non trovo la mimesi e la spiegazione della vita ma un salto in un altro livello diverso di realtà, che credo il teatro debba sempre offrire. Ho bisogno che nella scena ci sia un luogo che mi porti da un’altra parte, in cui per essere veri si può essere molto finti.

Sia come persona che come professionista, oggi cosa andresti a recuperare sulla Luna che è andato perduto? 

Credo che il pianeta stia malissimo e dovremmo capire noi come reimparare a viverci. Questo mio discorso comprende inevitabilmente sia la sfera personale che professionale, non riuscirei a separare i due aspetti. Se c’è una cosa che recupererei è sicuramente il togliersi degli uomini dalla scena della vita. Mi fa molto ridere che io dica questo. Proprio Piera Degli Esposti, in un’ultima sua intervista, aveva usato la parola compassione intendendola sia come il patire insieme che come empatia: l’uomo manca di ascolto, non ha attenzione nei confronti del diverso da lui, delle sofferenze dell’altro. Sembrerebbe che questa società, man mano che vede l’avanzare del disastro, forse per paura, peggiori il proprio ego. Al di là delle posizioni singole, penso anche alla scissione tra chi è no vax e chi no: perché non possono più parlare insieme? Perché si sceglie una violenza gratuita ed egocentrata? Forse l’ultimo empatico era proprio Gino Strada.

Lucia Medri

VARIAZIONI FURIOSE
dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
elaborazione drammaturgica di Federica Fracassi
collaborazione al progetto di Massimo Luconi
regia di Renzo Martinelli
con Federica Fracassi / Valeria Perdonò, Woody Neri / Francesco Martucci, Alessia Spinelli
commento musicale a cura di Piercarlo Sacco liberamente ispirato ad opere di J.S. Bach, C. Boccadoro, F. Fiorillo, P. Glass, I. Mishchenkov, S. Reich
musiche eseguite dal vivo al violino da Piercarlo Sacco/Daniele Richiedei
costumi di Gianluca Sbicca
luci di Mattia De Pace
con il sostegno di Next Laboratorio delle Idee
si ringrazia Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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