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Il viaggio di Ulisse in viaggio. L’Odissea in carcere del Teatro dei Venti

Da ascoltare, per chi ha piacere, durante la lettura. 

Foto Chiara Ferrin

L’Odissea. Il viaggio più lungo di tutti. Il viaggio che dà inizio a ogni altro viaggio, che risuona nelle miglia percorse, nelle strade tortuose, nelle onde del mare. Il viaggio più famoso, quello di Ulisse, per vent’anni perso nel mare Mediterraneo, il mare monstrum, tra i capricci degli dei e la loro furia. Un viaggio da ascoltarsi in viaggio, come proposto da Teatro dei Venti in apertura dell’edizione 2021 del Festival Trasparenze, e che fa parte della più ampia progettazione di Abitanti utopici, un tentativo di cittadinanza rinnovata, fondato su un nuovo senso di appartenenza e di relazione tra spettatori e luoghi.

A Modena, lasciati gli effetti personali ed effettuati i controlli del caso – gli unici a cui saremo sottoposti in tutto il tragitto – saliamo sul pullman che ci porterà nelle carceri di Castelfranco Emilia e di Modena. Ad accoglierci Vittorio Continelli, primo narratore di questa lunga storia. Nelle cuffie che ci hanno consegnato corrono le note di Bach, si sovrappongono al traffico e accolgono la voce di Continelli, nuovo aedo prestato a Omero. Si parte: la storia la sappiamo tutti, ma è una di quelle storie che non ci si stanca mai di farsi raccontare, un po’ come fossimo bambini. Ulisse incontra il ciclope, lo inganna facendosi chiamare Nessuno, lo acceca scatenando l’ira di Poseidone. Poi approda sull’isola della maga Circe, che trasforma i compagni in porci. Ulisse rimarrà con lei un anno, pur di salvare i compagni. E poi Tiresia, il futuro rivelato.

Foto Chiara Ferrin

Nel frattempo siamo arrivati al carcere di Castelfranco Emilia. Il pesante cancello si apre sul verde di un giardino e di un bosco silenziosi, con fiori e serre e conigli che scappano sentendo il pullman in arrivo. Questo luogo trasmette un insolito senso di tranquillità, ed è nel silenzio che scendiamo dal pullman ed entriamo. Ci accoglie uno spazio completamente spoglio: le grate ai vetri, i soffitti alti, il pavimento di mattonelle bianche. A che cosa serve questo luogo? In un angolo, quasi nascosto, Polifemo sta già pregustando il proprio pasto. E uomini si sbriciolano e sanguinano sulla sua canottiera bianca e sgualcita. Ma Ulisse, Nessuno, con l’inganno fugge, ci sfila accanto, e ci accompagna diretti all’isola di Circe. Qui la maga urla e gli mostra il compagno trasfigurato, coperto di fango ed ella, solo di fronte alla forza dell’eroe, alla sua prontezza, rinuncia ai propri incantesimi e sceglie la sua passione. Mentre il fango cola dal corpo dell’uomo-compagno di Ulisse sotto il getto potente dell’idrante, siamo accolti nelle stanze oscure dell’indovino. Tiresia, l’indovino cieco che vide e disse tutto il bene e il male del mondo antico, le disgrazie e le gioie. E che ora avanza dall’oscurità, in controluce, tra flash di luce chiara e corpi che si avvicendano e soffocano le invocazioni di Ulisse, la sua rabbia. Uscendo dal buio, riabituando gli occhi al giorno, ora che sappiamo anche noi il destino che ci spetta, torniamo verso il pullman. Ma questa volta non è il silenzio del giardino, sono bensì le urla di dolore di Polifemo ad accompagnarci. Svaniscono in lontananza, strazianti e lugubri, mentre riprendiamo la strada.

Ora sappiamo dove stiamo andando. Ci aspettano le sirene, Scilla e Cariddi. Infine, le vacche del dio Sole. Le stesse della profezia, quelle che condurranno alla morte tutti i compagni di Ulisse. Il carcere Sant’Anna di Modena ci accoglie in tutta la sua freddezza: un doppio cancello va attraversato per poter entrare. Un piccolo parco giochi protetto dal filo spinato, con poche giostre che risaltano sul grigio delle pareti e delle strutture, è il primo elemento che attira l’attenzione, varcati i cancelli. Mille finestre si affacciano sul piazzale del carcere: i loro abitanti sono lì che ci spiano, ci fanno un cenno con le mani, in lontananza.

Foto Chiara Ferrin

Anche la presenza delle guardie, silenziose e in disparte, contribuisce a ricordarci il luogo in cui siamo, sebbene nessun controllo interrompa il nostro percorso. Entriamo in un nuovo spazio: sentiamo il rumore del ferro, la pesante porta che si chiude alle nostre spalle, lasciandoci nel buio più totale. Procediamo a tentoni, cercando di percepire i vicini, mentre entriamo in un altro buio, dove una sottile penombra ci indica gli spot nei quali prendere posto, sparsi per la sala, rigorosamente in piedi. Qui, sull’isola del Sole, assistiamo impotenti all’avverarsi della profezia. I corpi si trascinano, affamati e sconvolti, in fasci di luce potenti, verso la carcassa già insanguinata delle sacre vacche. Un rombo ci avvolge nella stanza di colonne in cemento mentre il naufragio si compie. Un muro d’acqua compare di fronte a noi spettatori. Una cascata infinita, che si riflette sulle pareti tutt’intorno e ci avvolge. I corpi dei compagni di Ulisse compaiono e scompaiono oltre il muro d’acqua, emersi e sommersi, in un sorvolare aereo le boccate d’aria sempre più rare e faticose.

Lentamente, l’ansimare sommerso anch’esso dallo scrosciare dell’acqua, i compagni soccombono al mare e al suo dio infuriato. Qui, nella stessa sala scura che ora offre spazi diversi e dispersi in oasi di luce soffusa, l’operazione che avevamo intravisto a Castelfranco Emilia prende corpo nel dialogo serrato tra ciò che rimane, tra i personaggi che ancora popolano il viaggio. Sono lingue diverse che si incontrano in una poesia semplice, quasi rude, in un italiano solenne e cadenzato; riconosciamo gli accenti, intravediamo i volti che si nascondono nella penombra e nel controluce.

Odissea si è sviluppato in fasi differenti, date le limitazioni che il lavoro ha subito in questi due anni a causa della pandemia. Dopo il primo capitolo, Odissea Web, film realizzato con i materiali video delle prove da remoto, prodotti nel corso del lockdown da marzo a giugno 2020, la compagnia ha proposto una versione radiofonica dello stesso progetto, che si è concretizzata nel podcast Odissea Radio nella primavera 2021. Lo spettacolo mantiene questa forte componente testuale, che mette in risalto voci e tonalità maschili differenti, che tenta di approfondire un tipo di espressione stilizzata e straniante, fortemente basata sui cambi di tonalità e di volume.
A questo si aggiunge un disegno registico e coreografico, il tocco inconfondibile di Stefano Tè, che a un lavoro di impostazione attoriale predilige una componente di performatività incentrata sui corpi e sulle geometrie, sulla staticità dell’immagine e il dinamismo di luci e suoni. I corpi degli dei si fronteggiano mentre decidono ancora una volta la sorte dell’eroe; Ulisse e Calipso stanno, uno di fronte all’altra, per altri dieci lunghi anni. I singoli performer e personaggi vengono inglobati in un contesto più ampio di movimento, un flusso di eventi in cui le identità si mischiano e confondono. Così Ulisse può farsi parola che viaggia da un corpo all’altro, così tutti sono ora divinità e mortali, in un gioco scenico che rende quasi effimero il ruolo degli dei e ne fa stadio di passaggio in una vicenda che ora ci appare interamente umana. 

Foto Chiara Ferrin

Approdi, partenze, naufragi. Scandiscono il viaggio di Ulisse senza sosta, lo accompagnano, ormai solo, ospite dei Feaci, dove finalmente Ulisse può raccontare la propria storia. È qui che il viaggio finisce: quando l’eroe può essere narratore della propria esperienza, da essa allontanarsi e sorvolare le proprie sofferenze. Il viaggio finisce quando comincia il teatro. E Ulisse ci racconta come finisce, per lui, la storia. Ci racconta del ritorno, del riconoscimento e della vendetta, dei sangue degli infidi proci che ricopre il suolo della casa riconquistata, delle ancelle traditrici che puliscono il sangue degli amanti prima di incontrare la propria punizione. Ulisse e Continelli lasciano il pullman. Ma non ci lasciano soli, perché la storia, in realtà, non è ancora finita.

Una nota stridula, quasi stonata, si inserisce nel racconto, nella musica di Bach. Ulisse torna a casa. Ma Ulisse è macchiato dal segno della vendetta. Sarà Penelope, Alice Bachi, ad accompagnarci sulla via del ritorno con gli occhi dell’attesa prima febbrile, poi disillusa, con i sospiri della rassegnazione e i gesti della pazienza. E lo stesso sangue, dei proci e delle ancelle e dei servi, avrà un colore diverso nei suoi occhi stanchi di guardare l’orizzonte. Avrà il gusto di una violenza ingiusta, dell’avidità e del potere che si afferma ciecamente. Penelope, ora nel racconto crudo e diretto, poi nel confronto finale con il marito – quello che Omero forse non ci ha mai raccontato fino in fondo – ci restituisce un punto di vista inedito del viaggio dell’eroe. Ulisse torna a casa. E il suo viaggio ci ricorda il nostro, e quello degli uomini che abbiamo incontrato nelle carceri, rinchiusi in mura di metallo. Ulisse torna, ma Ulisse non ha, forse, del tutto, espiato la propria colpa. E per questo, forse, Dante lo fa partire ancora, per un viaggio senza ritorno e senza destinazione. Perché Ulisse, perduto nel Mediterraneo, non ha compreso ciò che Penelope sembra aver intuito nella solitudine della propria stanza, nella tela che non smette di intrecciare, negli occhi del figlio che è cresciuto anche senza gli eroi, anche senza la Storia. «Mi hai tradita?», chiede Penelope. «Ho dovuto», risponde Ulisse, dando per scontato che anche lei abbia fatto lo stesso, che non abbia saputo resistere; e allo sguardo di lei, sprezzante, deluso, risponde incredulo.

Sono passate più di tre ore dalla nostra partenza. Usciamo alla luce del sole, riprendendo i nostri effetti personali, salutiamo cordialmente gli attori che ci avevano accolti con freddezza, rigidamente, simulando la parte delle guardie, scortandoci per i corridoi neri del teatro mentre un megafono scandiva le norme da rispettare durante lo spettacolo. Ci avviamo sulla strada del ritorno, ma adesso sappiamo perfettamente che il viaggio di Ulisse non finirà mai.

Angela Forti

Modena, Trasparenze Festival, 27 luglio 2021

Odissea
Teatro dei Venti
Con Alice Bachi, Vittorio Continelli, Giuseppe Pacifico, gli attori e le attrici delle Carceri di Modena e di Castelfranco Emilia, attori e allievi attori del Teatro dei Venti.
Costumi Beatrice Pizzardo e Teatro dei Venti.
Allestimento Teatro dei Venti.
Drammaturgia Vittorio Continelli, Massimo Don e Stefano Tè.
Assistenza alla regia Massimo Don.
Regia Stefano Tè

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Angela Forti
Angela Forti
Angela Forti, di La Spezia, 1998. Nel 2021 si laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso La Sapienza Università di Roma, con un percorso di studi incentrato sulle arti performative contemporanee. Frequenta il master in Innovation and Organization of Culture and the Arts all’università di Bologna. Nel 2019 consegue il diploma Animateria, corso di formazione per operatore esperto nelle tecniche e nei linguaggi del teatro di figura. Studia pianoforte e teoria musicale, prima al Conservatorio G. Puccini di La Spezia, poi al Santa Cecilia di Roma. Inizia a occuparsi di critica musicale per il Conservatorio Puccini, con il Maestro Giovanni Tasso; all'università inizia il percorso nella critica teatrale con i laboratori tenuti da Sergio Lo Gatto e Simone Nebbia e scrivendo, poi, per le riviste Paneacquaculture, Le Nottole di Minerva, Animatazine, La Falena. Scrive per Teatro e Critica da luglio 2019. Fa parte della compagnia Hombre Collettivo, che si occupa di teatro visuale e teatro d’oggetti/di figura (Casa Nostra 2021, Alle Armi 2023).

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