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All around me. Fino all’ultima emozione

All Around Me di Serena Malacco, presentato in prima assoluta al Teatro Cantiere Florida di Firenze. Recensione

Foto di Attilio Marasco

D’improvviso, non si riesce a distogliere lo sguardo, e quell’attenzione iniziale, immobile all’apertura, quando sul palcoscenico è appena iniziato e tu sei appena concentrato, ecco che si prolunga, non si affievolisce ma si riempie, gesto dopo nota e nota dopo gesto, nutrendosi a vicenda. L’abbandono alla visione estatica è condizione consapevole e accogliente, è All Around Me. Una coreografia antropocentrica divisa in tre atti costruiti sulla malinconia di tre canzoni rock – Grantchester Meadows dei Pink Floyd, Little Johnny Jewel dei Television e We all make the flowers grow di Lee Hazlewood – è l’opera scritta e ideata da Serena Malacco, danzatrice e coreografa italiana residente a Parigi, andata in scena in prima assoluta la scorsa settimana al Teatro Cantiere Florida di Firenze, e il cui processo creativo è durato due anni sostenuto dalle realtà francesi di Ménagerie de Verre e La Briqueterie-CDCN insieme a Versiliadanza, Anghiari Dance Hub, Università San Raffaele e Il Giardino delle Ore.

Foto di Attilio Marasco

«La danza contemporanea sembra ormai rifiutare il concetto di emozione» si legge nel programma di sala, dichiarazione che apre a riflessioni e collegamenti invitando a estendere la visione al contesto attuale delle pratiche sceniche e a come queste non solo abbiano spostato paradigmi e ridefinito nuovi concetti di “scritture” ma si siano, indubbiamente, allontanate dal ricercare una relazione empatica con lo spettatore. In All Around Me, come spiegato accuratamente nel lungo e approfondito dossier, sono invece proprio le emozioni ad agitare l’umanità tutta, a muovere la scrittura (drammaturgia di Caterina Piccione) e a darle un’«impaginazione» – dirà il professore Alessandro Pontremoli durante un incontro pre spettacolo – divisa in I atto Melancolia, II atto Desiderio, III atto (epilogo) Abbandono. Carnose apparizioni floreali pulsano sul fondale (scenografia di Attilio Marasco), piccole mani scoprono il gioco euristico di un tempo ormai perduto e, insieme alla bocca socchiusa, vogliose bramano di assaporare l’ingenuità di un fugace ricordo. Melancolia. Alice Raffaelli e Ana Luisa Novais sono creature di tenera e caduca bellezza; raccontano una storia di soave poesia modulata in partiture precise e speculari combinate tra loro quasi fossero delle similitudini, le quali mantengono però una distinta sensualità: l’una (Raffaelli) posata nella sua morbidezza plastica, l’altra (Novais) ipnotica e biomeccanica. La memoria è un gioco di specchi al quale partecipano anche Stefano Beltrame e Louis-Clément Da Costa intessendo le stesse partiture di movimento e interpretandole con vigorosa energia.

Foto di Attilio Marasco

E la musica di Grantchester Meadows suonata live è perfetta sintonia, le note computano i movimenti seguendo la volontà autoriale di Malacco che sancisce come «la relazione del gesto con il suono avviene come al microscopio». I musicisti Roberto Dellera e Miro Scaglioni sono menestrelli rock, autori anche loro di tre storie che scorrono in parallelo, in cui nella gestualità sonora riverbera quella coreografata, come fossero un’eco costante e biunivoca, dialettica. Quel bozzetto pittorico del primo atto e la sua atmosfera candida e pudica – ogni parte dello spettacolo possiede specifici riferimenti alla pittura, al cinema, alla fotografia e alla letteratura – muta nelle tinte screziate e violacee di laccata carnalità del secondo. La passione irrompe con lo scanzonato Little Johnny Jewel e squaderna moduli che mantengono tuttavia una rigorosa linearità e concitazione; anche in questo caso la scrittura coreografica si definisce per complementarietà e il solo, lisergico, di Raffaelli, si compenetra con quello di Da Costa. Desiderio. Manca tuttavia l’eros, a differenza di ciò che indica la stessa coreografa nelle note di regia, non c’è erotismo perché quella di entrambi i corpi è una danza priva di ferita. La tensione è labile e forse non si compirà nell’incontro: è bellezza strafottente che non vuole, stavolta, né ricordare, né soffrire, solo consumarsi. «Nel I e II atto appaiono venti amatori – il coro, la folla – partecipanti a un workshop di tre giorni che si tiene dove lo spettacolo va in scena» sono loro che attraversano la scena e desituano la narrazione: ne fanno parte ma come sfondo, immersi nel caos di un movimento ordinario, indolente, indifferente a integrarsi emotivamente per lasciarsi invece scorrere orizzontalmente alla scena. L’epilogo è freddo, risoluto, breve, non si dà il tempo di spiegarsi e dispiegarsi. Abbandono. I movimenti appaiono e poi all’istante si dissolvono, nell’interruzione imposta, nel flusso che non si deposita, vorremmo goderne ancora ma We All Make The Flowers Grow, suona triste la chitarra.

Vincitore lo scorso anno del secondo premio alle Rencontres Chorégraphiques de Annecy e finalista al Rotterdam International Duet Choreography Competition, All Around Me è uno scherzo musicale e danzato, arguta traslitterazione di pezzi rock interpretati da danzatori capaci di teatralizzare la forma attraverso l’emotività del gesto: sospiri, risate, smorfie, calci… Una danza che vive imperitura in quell’istante in cui i fiori sono appassiti, eppure ancora possiedono il loro inebriante profumo.

Lucia Medri

Teatro Cantiere Florida, Firenze – gennaio 2020

ALL AROUND ME

prima assoluta

ideazione e coreografia Serena Malacco

danza Stefano Beltrame, Louis-Clément da Costa, Ana Luisa Novais, Alice Raffaelli

musica live Roberto Dellera, Milo Scaglioni

light design Marvin van den Berg

immagini scenografiche Attilio Marasco

drammaturgia Caterina Piccione

sound design Paolo Daniele, Federico Moschetti

produzione e diffusione Louisa Low

comunicazione N.G.Y. Sagl

repertorio musicale Grantchester Meadows – Pink Floyd, Little Johnny Jewel – Television, We all make the flowers grow – Lee Hazlewood

con il sostegno di Ménagerie de Verre, Versiliadanza/Teatro Cantiere Florida, Anghiari Dance Hub, Università San Raffaele, Il Giardino delle Ore

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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