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Un Don Chisciotte vegetariano nel teatro da mangiare dei belgi Laika

Al Teatro delle Passioni di Modena è andato in scena, a partire dal Don Chisciotte di Cervantes, lo spettacolo Tutto fa brodo, della compagnia belga Laika assieme ai neodiplomati attori della scuola di alta formazione ERT Iolanda Gazzero. Recensione

foto di Serena Pea

È noto ai più che «il rinomato idalgo» Don Chisciotte fosse, prima di partire in sella a Ronzinante, avidissimo di letture, al punto da impazzirne. È forse cosa meno nota, o ritenuta meno degna, la sua ossessione per il cibo. Aprire il libro, in effetti, restituisce alle passioni la giusta gerarchia: «egli consumava tre quarte parti della sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato minuzzoli di pecore mal capitate, lenti il venerdì, colla giunta di qualche piccioncino nelle domeniche», recita appena la seconda frase dell’incipit. Ecco una valida chiave di lettura per una riscrittura scenica del più classico dei romanzi. Tanto più che il binomio teatro-cibo pare godere di crescente interesse (di recente ce ne parlava qui Alessandro Iachino), sia pure con cautelativo ritardo rispetto al dilagare mediatico di talk e reality ai fornelli.

È tuttavia già dagli anni ’90 che la compagnia belga Laika ha fatto di questo binomio l’asse portante della propria ricerca scenica, tesa verso il pubblico più giovane e, in generale, verso quello meno consueto ai teatri. Non ci stupisce quindi trovare la sala del Teatro delle Passioni pervasa di aromi da osteria, e di una lieve nube vaporosa che si spande dal deposito scene, visibile oltre la generosa apertura del fondale. Né ci stupisce, detto quanto sopra, sentire di Alonso Quijano e della sua trasformazione nell’eroe che lotta contro i mulini a vento. Tutto fa brodo è il suggestivo titolo dello spettacolo che porta in scena l’esito del corso di alta formazione dedicato agli allievi della Scuola di Teatro Iolanda Gazzero.  Una riscrittura del capolavoro cervantino concertata tra Laika (composta da Jo Roets, Peter De Bie e Michiel Soete), e i diciannove attori neodiplomati del corso Perfezionamento attore internazionale della scuola di ERT.

foto Serena Pea

Tutto fa brodo gioca col classico, a partire dall’immagine della tavola come luogo sociale, come dato iconologico ma anche come oggetto di scena. Immagine che acquista tridimensionalità nell’articolare lo spazio secondo la propria forma. Il palco è sfruttato in tutta la sua profondità, acquisendo la qualità prospettica della lunga tavolata e quella atmosferica di luoghi sovrascritti per analogia: una sala cavalleresca allestita per un banchetto, ma anche lo stand di una mangereccia sagra di paese. Paesaggi che lo spettatore avrà certamente già attraversato con la fantasia o con il proprio corpo (se mai ci fosse differenza), e dunque con una memoria a tutto tondo che li rende simboli di convivialità. L’operazione non pecca di retorica, dato che viene perpetrata sino alle sue estreme, anzi naturali conseguenze: l’uditorio viene invitato in medias res a riversarsi sulla scena, occupando le mense sulle ali del palco. E mentre la performance prosegue al centro, le cena è servita.

Appare così già chiara la complessità della parabola artistica tentata. La sfida drammaturgica della riscrittura viene declinata in un’azione corale frammentata dallo scambio dei ruoli, da un volume interpretativo sopra le righe e dall’incessante stratificazione multisensoriale. Di fronte a queste intricate traiettorie può nascere un certo spaesamento, condizione peraltro potenzialmente feconda. Il montaggio per addizione sembra non voler infatti rinunciare ad alcuna delle suggestioni testuali e immaginifiche trovate, offrendo allo spettatore una sorta di buffet, tanto per restare in tema.

“Questo o quello”, sembrano dire gli attori che si rincorrono in un ritmo vorticoso, articolando una logica non esclusiva della fruizione, fino a violare il principio d’identità del personaggio: Don Chisciotte attraversa molti corpi, acquisendo altrettante sfumature fisiche e psichiche. Nel transito, a ciascuno è inferta una ferita, segno delle ben note microstorie che l’azione scenica sublima in quadri corali febbrilmente giustapposti. Così perdere una battuta non è poi grave, ed è d’altro canto facile se, nel mentre, si è intenti a scegliere un antipasto o l’altro (appunto). Lo stesso menù propone pietanze dall’aspetto anfibio, che giocano a sembrare altro da sé: un riso venere in salsa veg ricorda una cinquecentesca olla (stufato di carne e legumi, piatto forte della cucina iberica), un’anguria marinata mima, con ironia vegana, sanguinolenti tranci di carne scottati. Ed ancora, l’intreccio immagine-parola-gusto rammaglia qui e là i canali percettivi: il guscio dell’anguria consumata a tavola è portato a guisa di elmo sulla scena.

La follia chisciottesca (cavalcare un mulo è tanto folle quanto farsi scudo di un cocomero) passa attraverso un cortocircuito sinestetico, che acquisisce valenza politica nell’immagine iniziale e finale dello spettacolo: il libro-cibo, che nutre la mente e il corpo. Tutto fa brodo procede dunque da una forma spettacolare data al godimento, caotica e tumultuosa, verso un contenuto metodologico ed etico cristallino. Il Teatro dei sensi, come lo chiamano i suoi autori, dischiude orizzonti ampi: se il teatro è per prassi consolidata luogo della parola-udito e dell’immagine-vista, possibile anche che diventi luogo dell’olfatto e del gusto? Un luogo dove, cioè, si costruisca senso anche tramite questi sensi?

foto di Serena Pea

Al di là di questo interrogativo, Tutto fa brodo pone più di una criticità come momento formativo-performativo. È proprio la compiutezza formale dell’ideazione scenica, frutto di un percorso duraturo ed internazionale della compagnia, a subordinare l’apporto singolare. Il cimento corale ha certamente reso possibile la crescita individuale, nella ricerca di un equilibrio di palco costantemente messo alla prova dal variopinto circo sensoriale. Al contempo, si ha l’impressione di un lavoro che parte dalle intenzioni, sia pure collettive e coordinate da una forte etica disciplinare, piuttosto che dallo sguardo dei singoli. E se il valore pedagogico dell’operazione risiede tuttavia nella possibilità di confronto dell’attore in formazione con l’autorialità (tanto quella della compagnia che quella del classico), sorge il quesito su quanto tempo sia necessario per un apprendimento che non affoghi nella rincorsa al risultato. È possibile che un processo profondo si attui, per esempio, nelle poche settimane “tra l’estate e l’autunno del 2019“ (la durata del confronto fra Laika e gli attori)? Sia come sia, a tratti la grandiosità di questa frastornante macchina ludica si infrange su alcune aritmie, o su comprensibili acerbità gestuali che restano ai margini di una scena pluricentrica. In fin dei conti, l’essenza poetica di Don Chisciotte appare tutta quando cade da cavallo.

Andrea Zangari

Teatro delle Passioni, Modena, Ottobre 2019

Tutto fa brodo
spettacolo e drammaturgia a cura di Jo Roets, Peter De Bie e Michiel Soete / Compagnia Laika
liberamente ispirato a “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes Saavedra
con Rocco Ancarola, Gabriele Anzaldi, Simone Baroni, Giorgia Iolanda Barsotti, Oreste Leone Campagner, Pietro Casano, Giulio Germano Cervi, Brigida Cesareo, Giorgia Favoti, Elena Natucci, Marica Nicolai, Nicoletta Nobile, Iacopo Paradisi, Carlo Sella, Martina Tinnirello, Leonardo Tomasi, Cristiana Tramparulo, Giulia Trivero, Massimo Vazzana
direttore tecnico Robert John Resteghini
capo macchinista Sergio Puzzo
capo elettricista Nicolò Fornasini
fonico e tecnico video Alberto Irrera
sarta Elena Dal Pozzo
amministratrice di compagnia Leila Rezzoli
tutor Alice Petrini
realizzazione elementi scenici a cura di Sergio Puzzo
realizzazione costumi a cura di Elena Dal Pozzo e Anna Vecchi
sovratitoli in inglese a cura di Paul Soete
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione – collegata al corso Perfezionamento attoriale internazionale, cofinanziato dal Fondo sociale europeo, Regione Emilia-Romagna
in coproduzione con Compagnia Laika
con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

foto di copertina © Martijn van Oers (instagram @martin_vanners)
foto di scena Serena Pea

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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