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Ministero, Teatro. E se facessimo parlare le carte?

Il 28 giugno abbiamo scritto in seguito alle valutazioni emesse dalle Commissioni Consultive di Danza e Multidisciplinare. Due giorni dopo sono state diffuse le schede sulla Qualità Artistica, ambito Teatro, e i verbali di riferimento. Cosa c’è scritto? E cosa si deduce se leggiamo ciò che (al momento) il Ministero della Cultura ha pubblicato online? 

Archivio del Teatro della Toscana. Foto Filippo Manzini

Il 28 dicembre 2023 il MiC decreta la nuova Commissione Consultiva Teatro nel rispetto dell’articolo 2 comma 1 del D.M. del 10 febbraio 2014, che prevede «quattro componenti nominati dal Ministro, di cui uno con funzione di Presidente, e tre componenti designati dalla Conferenza Unificata». Quest’ultimi: Carmelo Grassi (indicato dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani) e Alberto Cassani (Unione Province Italiane) – già parte della commissione precedente – e Angelo Pastore (Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano).  Gli altri? Viste le sessantacinque candidature, vagliata la documentazione, l’allora ministro Sangiuliano sceglie Marco Lepre, Luigi Rispoli, Gianpaolo Savorelli e Alessandro Massimo Maria Voglino (Presidente). Completano il gruppo che valuta la Qualità Artistica nell’ultimo anno del triennio 22/24 e per il triennio 25/27, ora all’inizio.

Chi sono? Dai curricula online. Savorelli, giornalista dal 1968, capo ufficio stampa dell’Arena di Verona (1985/1993), dirigente del Comune di Verona (1998/2013), è stato direttore artistico di Estate Teatrale Veronese (1974/2019), della rassegna Teatro d’oggi (1979/1985) e delle stagioni invernali del Comune chiamate Il Grande Teatro (1986/2019) nonché ideatore e curatore di L’Altroteatro, vetrina di danza e scena di ricerca (2004/2019) e organizzatore del Premio “Renato Simoni per la fedeltà al teatro di prosa” (1975/2019). Alessandro Massimo Maria Voglino ha svolto incarichi soprattutto durante governi locali di centrodestra. Esempi: Direttore di Lombardia Film Commission (2000/2001), dell’Istituzione Biblioteche (2008/2010) e del Dipartimento Politiche Culturali di Roma Capitale (2009/2011), per la Regione Lazio è stato Consulente del Dipartimento Cultura (2001/2002), Presidente della Commissione Beni e Attività Culturali (2003/2005) e a capo della Direzione Regionale Cultura, Arte, Sport (2010/2011). Si è occupato anche di agroalimentare (2005/2006), tutela ambientale e agricoltura (2014/2016). Marco Lepre organizza e dirige eventi culturali: dalla sfilata dei pony in maschera (2009) e lo spettacolo equestre di musiche e danze gitane nella pineta di Fregene (2010) alla conferenza Io e l’India al Museo Civico di Albano e all’impegno per valorizzare i progetti del Fondo Nazionale per la Ricostruzione Storica (2023). Direttore e amministratore unico di Azienda Tessile Romana (1984/2023), dirigente e amministratore unico di Nuova Cassina (1984/2023), direttore artistico in Zetema degli eventi equestri del carnevale romano (2009/2013) ha preso parte al consiglio del Circolo Tennis EUR (2000/2003), di cui è stato direttore sportivo (2009/2012), e fatto da portavoce del comitato Salviamo la spiaggia di Fregene. Rispoli? Opinionista de Il Roma, direttore di QuestaNapoli e del Premio “Masaniello”, segretario generale di Assocasa, membro dell’Osservatorio per la casa Regione Campania, in servizio alla Direzione Generale Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali, ufficio formazione e contratti del Consiglio Regionale, sul piano artistico vanta collaborazioni occasionali con Suoni&Scene (2006/2010) e il Teatro Sancarluccio (2017/2020) ed è stato nel CdA del Trianon-Viviani (2010/2013).

Alla professionalità pretesa da chi fa teatro (puntualità, precisione e rigore nella formulazione della proposta) l’istituzione ha l’obbligo di rispondere con figure competenti per esperienza, sapere tecnico e conoscenze specifiche perché sappiano approfondire e valutare i fenomeni su cui intervengono. Non a caso il Decreto di nomina precisa che valgono le «competenze funzionali all’incarico, sotto il profilo dell’alta qualificazione nel settore» perché vengano scelti «esperti altamente qualificati nelle materie di competenza» o «tra docenti universitari e critici delle medesime materie». L’analisi della qualità d’un progetto è un fatto delicato insomma, occorre che se ne occupi chi studia e sa. L’ex ministro ha optato per Lepre, Rispoli, Savorelli e Voglino. I loro nomi vanno riscritti perché, dimessisi Cassani, Grassi e Pastore il 19 giugno, da verbale hanno proseguito il lavoro assegnando i punteggi ai Nazionali, alle nuove istanze dei Teatri delle Città, ai Centri di Produzione con 450 posti, motivando l’impossibilità di sostegno alle tournée estere e decidendo: la Toscana non ha diritto al Nazionale.

Al Teatro della Toscana il 7 maggio Marco Lepre imputa un programma triennale «generico, se non inesistente», «autoriferito», privo «della pluralità che un Ente nazionale dovrebbe garantire» e la fine di «importanti rapporti artistici e di collaborazione internazionali», la rottura di relazioni «con istituzioni e soggetti qualificati» in Italia, «tagli della programmazione» detti «da copiosa rassegna stampa», la sostituzione della Scuola Oltrarno col Centro di Avviamento all’Espressione fondato da Orazio Costa, meno ore formative e manca «la caratura artistica della figura di Pierfrancesco Favino» che dirigeva Oltrarno, l’uscita del Direttore Generale Marco Giorgetti, resa pubblica con nota del 28 aprile. «Questi elementi», se riverificati, «decretano a mio avviso l’insussistenza di caratteristiche idonee a reputare oggi il Teatro della Toscana un Teatro Nazionale». Nel verbale del 5 giugno Voglino dice che «permangono inevitabili perplessità» su «collaborazioni e coproduzioni internazionali fortemente ridimensionate, i tagli al costo del personale e le rilevanti chiusure estive di tutti e tre i teatri, Pergola inclusa». Il 18 giugno il Presidente: «Non si sono sciolte le perplessità». Per i tagli «significativi» alle collaborazioni con l’estero e un progetto «generico e lacunoso su molte produzioni relative alle annualità 2026 e 2027». Perciò «non sembrano esserci le condizioni» perché il Nazionale di Toscana resti tale. A nulla servono i documenti inviati da Firenze coi bilanci approvati (consuntivo 2024, preventivo 2025), la rimodulazione del budget, l’impegno al cambio di Statuto nei tempi dati dal D.M. e l’assicurazione del rispetto degli oneri assunti. «Anche a un semplice confronto con i Progetti Triennali presentati dagli altri Teatri Nazionali» è evidente: la Fondazione toscana non ha i requisiti. Cassani, Grassi e Pastore dissentono, affermano che se il mancato riconoscimento «venisse approvato a maggioranza» rassegnerebbero le dimissioni, invitano il Presidente a «un segno di responsabilità» e a «prendersi del tempo». Non passa che mezza giornata. Alle 10.50 del 19, avendo Voglino confermato la decisione, i tre «salutano i presenti e lasciano la riunione». Il resto della Commissione continua nel lavoro.

Noi che sappiamo? Quattro cose. Prima, i parametri di valutazione. Sette, di cui quattro relativi alla qualità della direzione, del personale artistico, del progetto e degli spettacoli ospitati (31 punti totali); uno misura coinvolgimento del pubblico e comunicazione (1 punto), uno la continuità e affidabilità gestionale (2 punti), uno la capacità di fare rete (1 punto). Con meno di 10 punti sei fuori. Seconda. La domanda del Teatro della Toscana è stata già analizzata sul piano amministrativo, altrimenti non sarebbe al vaglio della Commissione, cui tocca invece capire nello specifico il valore dell’offerta teatrale e culturale. Non altro. Tant’è, ad esempio: il 18 giugno Lepre afferma che ha avuto problemi nel comparare i «dati quantitativi presentati dagli organismi proponenti» (rimanda alle discordanze tra il «numero di spettatori indicato nella dimensione quantitativa» e quello «alla voce costo medio per spettatore»); l’amministrazione risponde che i numeri sono corretti e riguardano la dimensione «delle attività e della qualità indicizzata». Insomma, non è ciò che la Commissione valuta o, per dirla con Antonio Parente, Direttore Generale del Mic, verbale del 10 giugno, Commissione Multidisciplinare, «relativamente al costo medio per spettatore» si «fa presente che questo è un dato della Qualità Indicizzata», non della Qualità Artistica. Terza cosa. I quattro membri rimasti in Commissione «non ritenendo di poter esprimere una valutazione compiuta» confermano il Teatro della Toscana «non valutabile in termini numerici». Niente scheda leggibile, ricaduta pubblica del proprio giudizio in un punteggio, confrontabilità tra i punti assegnati agli altri Nazionali e quello toscano. Quarta. Non conosciamo il progetto inviato al Ministero ma la stagione 2025/26 presentata da Stefano Massini il 20 giugno. Quantità: 29 spettacoli alla Pergola, 19 più tre progetti (Situazione Drammatica, Liberamente e i lab di Cose che si vedono da vicino) al Nuovo Rifredi, 20 spettacoli al Teatro Era. Fa 68. Nel confronto con istituzioni analoghe per dimensione, sulla base di quanto finora reso noto: sono 47 al Teatro di Roma, 39 al Nazionale di Napoli, 37 in Veneto (più le rassegne danza e teatro per l’infanzia). Internazionalità: 3 in Toscana (4 con la coproduzione di Emma Dante ospitata), 4 a Napoli, 9 a Roma (3 nell’ambito di Romaeuropa), 3 in Veneto. Rapporti di settore: scambi, coproduzioni e ospitalità con Nazionali e Teatri delle Città (da Roma a Napoli, da Torino al Piccolo, Genova, CSS) e con esperienze progettuali e compagnie (da La Fortezza di Punzo a Virgilio Sieni, Lombardi-Tiezzi, Sotterraneo, compagnie Umberto Orsini e De Filippo). Davvero sul piano qualitativo non era valutabile? E il resto invece com’è andato?

Nel 2024, ultimo anno dello scorso triennio, gli organismi teatrali finanziati dal MiC erano 415, ora – in attesa della ricollocazione di alcuni esclusi in altri ambiti da quelli per i quali hanno fatto richiesta – sono 442, 27 in più (6,5%). I Nazionali passano da 7 a 6 (-14,2%), i TRIC, adesso chiamati Teatri delle Città, da 18 a 20 (+11,1%), i Centri di Produzione, calcolati non più per funzioni e identità ma per capienza (450, 250 e 200 posti) aumentano da 36 a 55 (+52,7% rispetto al ’24). Diminuiscono le compagnie di teatro (da 58 a 55, -5,1%), quelle dedite alla sperimentazione (da 88 a 78, -11,3%) e al teatro per infanzia e gioventù (da 46 a 42, -8,6%); aumentano i gruppi di teatro di figura (da 23 a 30, +30,4%) e di strada (da 6 a 10, +66,6%). Immutati i Circuiti Regionali teatrali (2) e gli organismi di programmazione (28), aumentano i progetti di Promozione (ricambio generazionale, inclusione sociale, perfezionamento professionale e formazione del pubblico, da 30 a 35, +16,6%) e i festival: di poesia (non esistevano, adesso sono 2), di teatro di strada (da 13 a 17, +30,7%) e di teatro (da 56 a 58, +3,5%). Confermati i riconoscimenti della Biennale di Venezia, del Piccolo di Milano, dell’INDA e dell’Accademia Silvio D’Amico. Nota in aggiunta: i decreti indicano tra i Centri di Produzione da 450 posti, prime istanze, il Teatro Quirino (22,50 punti). Un’Ansa del 31 maggio 2025 annuncia che la struttura del Quirino sarebbe stata acquistata dalla United Artists, soggetto a sua volta promosso, prima istanza, tra i Teatri delle Città (22,00 punti). Quest’ultima presentando domanda basata sull’utilizzo di quali spazi «in esclusiva» e «per un totale di almeno 400 posti, con una sala di almeno 200»? Saremo in presenza di una sede contesa tra due soggetti riconosciuti in ambiti differenti? E in caso di conferma del passaggio del teatro alla United Artists il progetto triennale del Quirino come Centro di Produzione che fine fa?

Quanto ai non ammessi. Il Decreto del Direttore Generale del 30 giugno, in attesa dei ricollocamenti, ne elenca 238, il 92,4% dei quali prime istanze. A cui vanno aggiunte le 39 richieste di sostegno per le tournée all’estero, tutte respinte dai quattro commissari perché «la soglia minima di punteggio non è raggiungibile neanche con il massimo punteggio attribuibile alla Qualità Artistica e può essere conseguita solo avendo in precedenza ottenuto consistenti finanziamenti pubblici o privati». Sulle variazioni di punti invece, tenendo presente che i criteri sono stati ridotti ed accorpati rispetto al ’24 e che pesano in modo differente: aumentano Roma (+2,10), Veneto (+1,50) e Napoli (+0,20), diminuiscono Genova (-1,70), Torino (-3,00) ed Emilia Romagna Teatro (-4,00) che passando da 30 a 26 diventa, per i quattro rimasti in Commissione, il sesto dei sei Teatri Nazionali. Aumentano nel complesso i punti assegnati ai 18 Teatri di Città confermati (da 403,70 a 419 punti), 8 hanno valutazioni in aumento (apici: Stabile d’Abruzzo +8.50 e Teatro Biondo di Palermo, +6,50), 10 in diminuzione (Friuli -4,20 e Metastasio -5,20). Dei passati 36 Centri di Produzione 16 aumentano i punti (Brancaccio +11, Diana di Napoli +7), due vedono confermata la valutazione (Pandemonium e Sipario Toscana), due hanno tentato il passaggio ai Teatri di Città (il Menotti di Milano, promosso con 22 punti; Scarti di La Spezia, respinto con 8,80), sedici subiscono riduzioni (Koreja -8,00, Ravenna Teatro -6,60). Ottengono aumenti i due terzi delle imprese di produzione e gran parte delle compagnie di sperimentazione mentre ad essere colpiti sono i festival, tra i casi più evidenti: -14,70 ad Artelè (Catania), -12,30 a Etabetalab (Napoli),  -11,30 a Micro Macro (Parma), tra gli esclusi, -7,90 ad Erosanteros (Ravenna), – 5,00 a Olinda (Milano) e -7,60 a Pergine Spettacolo Aperto in Valsugana (Trento). Piccoli centri, luoghi limitrofi, periferie, esperienze tenaci e talvolta uniche per vocazione, conformazione e pratiche, generate da soggetti spesso fragili.

E il denaro? Confrontando le assegnazioni definitive 2024 con l’attuale sotto-riparto, si passa da 95.642.142,44 euro a 97.113.607,78 (+1,5%). Nei dettagli, limitandosi alle voci principali, a fronte dell’11,1% in più di soggetti i Teatri delle Città vedono un aumento di risorse del 4,2%, i Centri di Produzione (+52,7%) guadagnano il 15,9%, ai Nazionali è tolto il 2,48%; le compagnie perdono l’8,0%, gli organismi di programmazione il 12,3%, i festival teatrali il 4,0%, guadagna la promozione (+26,9%) mentre per i gruppi di ricerca e sperimentazione c’è una riduzione del 14,7%. Al momento, al netto di recupero dei soggetti, dell’incidenza dei cluster, di assegnazioni e integrazioni economiche del Ministero. Si capirà meglio a luglio inoltrato, forse.

Di questi giorni cosa rimane? La sensazione del disequilibrio tra soggettività valutante dei commissari e oggettività scritta delle proposte, col giudizio che si porta addosso l’ombra dell’arbitrio, essendo online le schede coi punteggi ma non i progetti ai quali questi sono riferiti: quando avranno il diritto teatranti, operatrici e cittadinanza di sapere cosa e come è stato pesato e in che modo viene dato dunque il denaro pubblico? Rimane l’asincronia tra i ritmi dell’istituzione e la vita del teatro per cui il MiC rende noti promossi e bocciati 135 giorni dopo la scadenza dei termini di presentazione delle domande a un D.M. emanato con 175 giorni di ritardo rispetto a quanto avvenne nel 2014. «Ecco» dice il Ministero e intanto sale pubbliche e private, festival, compagnie e artisti hanno già svolto parte delle attività o le hanno ideate, contrattualizzate e presentate: il prestito chiesto in banca, il tasso che aumenta il debito, l’esposizione economica oltre il limite e l’accordo per la coproduzione, il cartellone esposto al muro e ciò che resta di quel che un tempo avremmo detto “la tournée” pianificata, infilando qualche doppia tra date secche. Restano le macerie politiche: una Commissione priva dei rappresentanti degli enti locali contrasta il dettato dell’assunzione di corresponsabilità nelle decisioni e procedendo «all’unanimità dei presenti», ovvero a maggioranza, mostra scarsa cultura istituzionale, espone il sistema al blocco possibile causa ricorsi e dà l’idea che ciò che stava a cuore veramente non era il governo della complessità ma l’affermazione delle prospettive, degli interessi e delle volontà di una parte. Rimane la sensazione di uno sgretolamento ulteriore non della funzione pubblica del teatro, più grande di ogni miseria messa in pratica dagli uomini, ma del suo finanziamento pubblico, utile a non rendere l’arte prona al mercato e alle sue più spicce spinte commerciali; restano i veleni introdotti in forma di parametri nel D.M. sette mesi fa: dalla fine del sostegno per l’assunzione di rischio artistico come obiettivo necessario al rapporto tra costi del progetto e numero di spettatori e prezzo del biglietto che hanno pagato. In ossequio, pare, a un’ossessione di ministri e sottosegretari per cui i soldi vanno a chi assicura incassi a botteghino, che sia cinema, una mostra, il palco grande o piccolo. Rimane una filiera teatrale tutt’altro che innocente e tuttavia incapace ancora di dire ad alta voce quanto si sia adeguata alle direttive, e non soltanto per sopravvivere. Rimane una comunità che, passato il tempo dell’indignazione e della risposta (auto)biografica a fatti di natura strutturale, deve comprendere che fare, come reagire. Rimangono infine i cittadini e le cittadine, che di tutto questo sanno poco, quasi niente.

Alessandro Toppi

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Alessandro Toppi
Alessandro Toppi
Alessandro Toppi è critico e giornalista napoletano. Scrive prima per il Pickwick, di cui è fondatore e direttore fino al 2022. Dal 2014 è redattore per Hystrio, dal 2019 scrive per le pagine napoletane de la Repubblica e dal 2020 è direttore de La Falena, rivista semestrale di cultura e teatro promossa dal MET di Prato. Negli anni suoi interventi, prefazioni, postfazioni e approfondimenti sono comparsi in varie pubblicazioni. Del 2024 la curatela condivisa con Maria Procino del volume Tavola tavola chiodo chiodo… Il teatro di Eduardo nello spettacolo di Lino Musella edito dalla redazione napoletana de la Repubblica.

1 COMMENT

  1. Caro Toppi, articolo appassionato e ben scritto… ma sa un po’ di memoria corta e indignazione selettiva.

    Dov’era questa voce così vibrante qualche anno fa, quando i criteri erano gli stessi e la trasparenza una chimera anche allora?
    Brucia, eh, quando non si è più tra i prediletti. Ma la coerenza si misura anche nei momenti in cui non si ha niente da perdere.

    E poi, basta evocare la nebbia dei misteri istituzionali: la trasparenza non si invoca con gli editoriali, si esercita con una PEC. L’Ufficio Accesso agli Atti esiste proprio per questo.
    Chi davvero vuole vedere i progetti può farlo.

    Altrimenti sembra solo il solito copione: quando i fondi arrivano si tace, quando non arrivano si grida allo scandalo.

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