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Sopravvivere ai malanni. Il “tele-racconto” di Giacomo Verde

Piccolo diario dei malanni di e con Giacomo Verde, “tele-racconto tra video e danza”, visto a Carrozzerie n.o.t. di Roma. Recensione.

Foto Ufficio Stampa

Piccolo diario dei malanni: atto provocatoriamente semplice e dirompente nella sua forma, in grado di impostare una comunicazione delicata e contemporaneamente crudele, distaccata ed empatica com’è quella che riporta pensieri a un uso personale, intimo; un diario, appunto, redatto per se stessi e solo dopo per altri. Il suo autore, Giacomo Verde, lo definisce un “Tele-racconto”, ovvero una narrazione attraverso l’uso di una “tecnologia povera”, che nel caso dello spettacolo presentato alle Carrozzerie n.o.t. di Roma consiste in una ripresa live con una handy-cam. La semplicità del mezzo rimanda pure a una dimensione privata, e la pulizia dell’operazione ricorda la lunga esperienza da “techno artista cyberpunk” di Verde, tra i primi a partire dagli anni Ottanta a utilizzare la videoarte in ambito performativo, a coniugare computer grafica, performance, web-net-art e TV interattiva.  

Foto Claudio Di Paolo

A questa dimensione virtuale si aggiungono pochi, ma bastevoli, elementi teatrali: un’agendina colorata – il “diario” che stimola l’idea primigenia e che ne raccoglie i passaggi drammaturgici; una mela, simbolo dai poteri proverbialmente curativi e, dato più interessante, pretesto per invitare tutti a trovare sempre un cambio di prospettiva. Ma ci siamo anche noi, che ascoltiamo, e lui che racconta: ecco che quell’atto privato diventa condiviso. Fin da subito il dispositivo è svelato, l’illusione è rotta e il patto tra spettatore e performer è esplicitato. Verde entra e parla con noi, più che a noi. Racconta di come sia nata l’idea di creare un piccolo diario legato al tema delle malattie, che, iniziata come indagine naïf da rivolgere ai propri amici interrogati sui propri ricordi infantili (il piacere di saltare la scuola per rimanere a letto, curati e coccolati da attenzioni extra quotidiane, di rompersi un braccio per farsi scrivere dediche sul gesso), prosegue su una dimensione traslata, adulta – «i malanni che vengono dalle preoccupazioni» – in cui il malessere è quello della società che lo ha visto sempre artista precario, sempre in viaggi interminabili su lenti Intercity perché meno costosi e promesse non mantenute. Quasi un moderno Pulcinella fiorentino, a spingerlo verso proposte lavorative poco esaltanti è la fame. Ma la critica, leggiadra e però puntuale come il tratto delle matite colorate sulle pagine proiettate costantemente, non si risolve con un’esaltazione della condizione di outsider, perché anche il “disadattato” può diventare di moda, come nella ricerca condotta dai galleristi – ambiente da lui effettivamente frequentato – i quali prediligono quello con «più gusto», ovvero quello più vendibile sul mercato.

Foto Claudio Di Paolo

Il nostro viaggio prosegue come la sua narrazione e, nella seconda parte dello spettacolo, irrompe, forse troppo ex abrupto, di nuovo la malattia fuor di metafora: una neoplasia prostatica, l’altro male del Novecento, il cancro, che lo ha colpito e che egli ha combattuto strenuamente. Il tono rimane quello, piano e mai sopra le righe, che ha accompagnato tutto il suo racconto. Giacomo – ormai divenutoci familiare e per il quale dobbiamo abbattere la barriera del chiamarlo con il cognome – è gentile, il più delicato possibile, quasi distante. Eppure il suo è un racconto che smuove, che genera in noi un’empatia forse incapace di posizionarsi in maniera pacificata nei vissuti di tutti i presenti.

Accade l’imprevisto; come malattia, non progettata, non voluta, ecco che la vita spodesta la performance, la interrompe. Poco prima della conclusione, poco prima che Giacomo condivida il suo proposito di compiere, a malattia risolta, un laico pellegrinaggio, tra di noi qualcuno dimentico che quello è  teatro, tradisce quel patto e cade. Cade davvero dalla sedia; si riprende, però lascia il segno, sulla sua testa, in quel suo vissuto che sconosciamo e, così, colpisce noi tutti, performer compreso, diventato momentaneamente spettatore di qualcos’altro. Lascia il segno anche quando, nell’epilogo, ritorniamo lentamente allo spettacolo. Giacomo, che era stato immobile per tutto il tempo, accenna a una danza, gesti piccoli e ipnotici su una musica sacra. Quell’atto improvviso e questa liberazione finale ci dicono qualcosa di noi, del nostro sopravvivere ai malanni: siamo ancora vivi, e siamo usciti anche noi a fine viaggio, consapevoli di tutte le cicatrici che la vita ci ha lasciato, anche noi come questo novello Dante, usciti «a riveder le stelle».

Viviana Raciti

Carrozzerie n.o.t., Roma – maggio 2019

IL PICCOLO DIARIO DEI MALANNI +D
narrazione di video e danza
di e con Giacomo Verde

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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