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Enrico IV di Pirandello. Cecchi cede alla facile tentazione del teatro nel teatro

Carlo Cecchi mette in scena Enirico IV di Luigi Pirandello. La recensione dal Teatro Argentina di Roma.

Foto Matteo Delbò

Passa qualche mese dalla tempestosa messinscena al Valle dei Sei personaggi, che aveva debuttato al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921. Luigi Pirandello scrive a uno dei più importanti attori dell’epoca, Ruggero Ruggeri, presentandogli, con una serie di aspettative, una commedia scritta appositamente per lui, Enrico IV. L’autore puntava al celebre interprete tanto che non si negava l’utilizzo della lusinga: proprio rispetto ai Sei personaggi ammetteva che avrebbe voluto la compagnia di Ruggeri invece che quella di Niccodemi.
Il nuovo testo debuttava al Teatro Manzoni di Milano il 24 febbraio del 1922 con l’interpretazione di Ruggeri, al quale Pirandello scriveva, circa il personaggio da interpretare: «[…] colui che tutti credono pazzo, in realtà da anni non è più pazzo ma simula filosoficamente la pazzia per ridersi entro di sé degli altri che lo credono pazzo e perché si piace in quella carnevalesca rappresentazione che dà a sé e agli altri della sua «imperialità» in quella villa addobbata imperialmente come una degna sede di Enrico IV».

Non è un caso che parte della lettera venga letta da uno degli attori nell’allestimento diretto e interpretato da Carlo Cecchi e prodotto da Marche Teatro, in scena fino al 24 febbraio al Teatro Argentina di Roma; perché nella missiva l’autore dissemina alcuni indizi importanti: ad esempio la simulazione filosofica, tema portante del teatro di Pirandello, e quel sottile piacere che il protagonista prova nel guidare le danze, continuando a protrarre per anni la farsa come fosse un regista o, meglio, un burattinaio. Tutti gli altri debbono muoversi ai suoi ordini in una continua affermazione di potere.

Foto Matteo Delbò

Il tema metateatrale è dunque portante, sta già nel testo, neanche troppo implicito; non dimentichiamoci che Pirandello era nel mezzo della scrittura della trilogia relativa al “teatro nel teatro”. Ma la recitazione qui è una metafora filosofica, questo è un Pirandello, per certi versi, shakespeariano, anche se l’azione comincia in un presente profondamente debitore ad avvenimenti passati, come nei testi più emblematici di Henrik Ibsen. E, come si sa, in questo caso è una caduta da cavallo avvenuta in giovinezza ad aver provocato il permanere del personaggio storico, l’imperatore germanico, nella maschera umana dell’aristocratico moderno.

Carlo Cecchi sembra assecondare quel bisogno estremo di illuminare altri significati del testo per rendere la propria lettura e interpretazione nuova, per rinvigorirla dopo le decine di allestimenti che hanno percorso la storia del teatro (oltre a Ruggeri, quelle di Memo Benassi, Salvo Randone, Romolo Valli, Marcello Mastroianni diretto da Marco Bellocchio al cinema, per citarne solo alcuni). Così facendo, amplifica all’ennesima potenza la questione metateatrale, creando una cornice tutt’altro che marginale, ma anche tutt’altro che efficace. Ci sono veri e propri inserti di scrittura nei quali gli attori parlano del copione, di come dovrebbero interpretare la parte, quadri in cui nominano l’autore con il quale, in qualche caso, instaurano una sorta di dialogo ironico. Eppure, la forza del testo è proprio in questa nebbia di cui la scena si riempie quando lo spettatore stesso inizia a nutrire dubbi mescolando pazzia, lucidità e recitazione.

Foto Matteo Delbò

L’aggiunta di un altro piano esplicitamente metateatrale rende lo spettacolo meno leggibile e parliamo, tra l’altro, di un testo già di per sé pregno di quella verbosità speculativa tipica della scrittura pirandelliana. Per quanto sia affascinante e commovente la sovrapposizione del Cecchi attore con il personaggio del dramma e dunque il tentativo di dare meno importanza alle questioni legate alla follia e alla sua simulazione filosofica, pur di trovare nella vocazione teatrale quell’anello di congiunzione, questa esplosione in realtà è in minore. In tal senso l’idea scenografica di Sergio Tramonti è funzionale: la stanza del trono è prima chiusa agli occhi del pubblico – mostra il retro dei pannelli di compensato, fatto di cantinelle e contrappesi – e poi si apre all’arrivo degli invitati in costume. Allo stesso modo sono efficaci gli attori, soprattutto coloro che nell’incipit aggiunto devono interpretare queste “maschere” alle prese con personaggi quasi da inventare. Il Maestro è a tratti raffinato nel proprio incedere recitativo, a tratti ripetitivo e faticoso quando si perde in una cantilena che dovrebbe dare il segno dell’infinita recita che si ripete da decenni.

Nelle note di regia Cecchi spiega a proposito dell’operazione: «Questo doppio gioco con l’autore e con la pièce – doppio gioco che prende Pirandello molto sul serio, e lo affronta criticamente – conduce “la tragedia” a uno spettacolo il cui tema è il teatro, quello di oggi: specchio frantumato che riflette la vita della nostra epoca che è (citando Baudelaire) “un deserto di noia” con “oasi d’orrore” che crescono e sempre più si moltiplicano nel mondo». Ma questa oasi d’orrore e noia non appare, non si concretizza. Se Cecchi voleva dunque mostrarsi come innovatore rispetto al dettato pirandelliano, infilzando una critica al naturalismo di fine Ottocento, di certo tale critica si fa spuntata proprio a causa del rassicurante paracadute metadrammatico.

Andrea Pocosgnich

Teatro Argentina, Roma, in scena fino al 24 febbraio 2019.

Date in calendario tournée

26 febbraio/3 marzo 2019 Napoli Teatro Mercadante
5 marzo 2019 Sassari Teatro Comunale
6/10 marzo 2019 Cagliari Teatro Massimo

ENRICO IV
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Carlo Cecchi
scene Sergio Tramonti
costumi Nanà Cecchi
luci Camilla Piccioni
assistente alle scene Sandra Viktoria Müller
personaggi e interpreti
Enrico IV Carlo Cecchi
La Marchesa Matilde Spina Angelica Ippolito
sua figlia Frida Chiara Mancuso
Il Marchese Carlo Di Nolli Remo Stella
Il Barone Tito Belcredi Roberto Trifirò
Il Dottor Dionisio Genoni Gigio Morra
Landolfo (Lolo), finto consigliere segreto Vincenzo Ferrera,
Arialdo (Franco), finto consigliere segreto Dario Caccuri
Ordulfo (Momo), finto consigliere segreto / fraticello Edoardo Coen
Bertoldo (Fino), finto consigliere segreto Davide Giordano
direttore tecnico allestimento Roberto Bivona
macchinista Frederic Lançon
fonico Giovanni Grasso
tecnici luci Camilla Piccioni, Jacopo Pace
sarta Sabrina Fabrizi
amministratore di compagnia Francesca Leone
direttore di produzione Marta Morico
produzione, organizzazione Alessandro Gaggiotti
assistente di produzione Claudia Meloncelli
comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo
foto Matteo Delbò
grafica Fabio Leone
produzione MARCHE TEATRO

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

1 COMMENT

  1. Andrea, pensavo di essere pazzo anche io, o che gli altri fingessero (per restare in tema). Uscito sconcertato dalla visione di quest’allestimento dell’Enrico IV, ho percorso invano le praterie del web alla ricerca di chi condividesse il mio dissenso per la violenza perpetrata al testo e per l’esito, a mio parere modestissimo, del’idea di Cecchi. E più procedevo e più mi imbattevo in inni, peana, lodi e Gloria concordi innalzati al Maestro per quella che (ripeto un concetto finalmente condiviso) è una banalissima estremizzazione dei soliti discorsi sul “teatro nel teatro”, con tagli scriteriati, innesti arbitrari e scivolate nella volgarità e nella banalità equamente ripartite, condite da una resa del personaggio di Cecchi “fastidiosa”, un “porgere il testo” con sdegno e disdoro, un tono biascicato e indolente che già irrita di per sé. Peccato per la compagnia, di buonissimo livello, e peccato per quei ragazzi in platea, scortati dai loro insegnanti, che pensavano di vedere Pirandello…

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