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Horror a teatro. Di che cosa abbiamo paura?

Al Teatro delle Muse di Ancona sono andate in scena due repliche di Horror, spettacolo muto della Jakop Ahlbom Company. Recensione, con una riflessione sul genere horror a teatro.

foto di Sanne Peper

Siamo di fronte a un grande e splendido edificio, il Teatro delle Muse di Ancona, un gigante da 1147 posti costruito nel 1827 e ristrutturato nel 2002. Nel piazzale campeggia un totem che annuncia ai passanti lo spettacolo in programma per due sole repliche, l’11 e il 12 gennaio 2019.
Nella foto, in primo piano, una giovane donna spalanca la bocca in un urlo lacerante; alle sue spalle, dietro a una finestra dai vetri appannati, compare la figura severa di un’altra – gli occhi di ghiaccio, un leggerissimo ghigno. «Un incubo mozzafiato. Non è un film, è tutto vero». Questa la frase che accompagna il titolo, Horror, uno spettacolo della Jakop Ahlbom Company già programmato alla Biennale Teatro 2018 e ospitato da Marche Teatro per la direzione artistica di Velia Papa.

Da qualche anno ci mettiamo in cerca di quegli esperimenti teatrali che puntano a spaventare gli spettatori, tentando di ricreare atmosfere sinistre e minacciose. Ci siamo imbattuti in tentativi ingegnosi. The Call of Chtulhu di Michael Sabbaton visto all’Edinburgh Fringe nel 2010, ma anche Lovecraft’s Tales (sullo stesso autore) di Mary Ferrara, cercavano di calare lo spettatore in situazioni claustrofobiche grazie al solo uso dello storytelling. Meno riuscito era stato Poe – Discesa all’inferno (Teatro India, 2009) ; pur se intelligente nell’uso di uno spazio particolare come il minuscolo Teatro Stanze Segrete a Roma, il Dracula della Compagnia dei Masnadieri ci aveva fatto individuare i limiti del tentativo di portare su un palco questo genere, dando vita a un ragionamento generale.
Da due anni è in tournée la versione italiana di Non avere paura… è solo uno spettacolo di Eduardo Aldan, che ci aveva generato un irresistibile miscuglio di imbarazzo e comicità di fronte al serissimo tentativo di spaventare la platea del Teatro Ghione di Roma con maldestri effetti luce e un falso video-feed che doveva testimoniare la presenza di un fantasma da decenni a proprio agio tra camerini e graticce.

foto di Sanne Peper

La vera scoperta è la categoria che ci piace definire “horror esistenziale”. Spettacoli come Nessuno può tenere Baby in un angolo di Amendola/Malorni, The Black’s Tales Tour di Licia Lanera, ma anche The Repetition (Histoires de théâtre) di Milo Rau, Luciano o Il sacro segno dei mostri (e quasi tutti gli altri titoli) di Danio Manfredini o l’ormai remota Trilogia Motel di gruppo nanou.
Gli esempi, in verità, sono innumerevoli. E sono vincenti proprio perché operano uno slittamento, uno scarto laterale che ricontestualizza il senso di inquietudine riuscendo a fare a meno del montaggio delle attrazioni a cui il cinema di genere ci ha abituato, tra shock e disgusto (uno dei siti web di cinema horror più seguiti si intitola proprio Bloody Disgusting).

foto di Sanne Peper

Poi c’è un lavoro come Horror di Jakop Ahlbom. Si tratta di un’operazione ancora diversa, per il suo modo di delegare alla pantomima, alla danza e a un set iperrealista quello che di fatto appare simile a uno spettacolo di illusionismo.
La trama, così come molti dei suoi colpi di scena, rimanda alle strutture classiche e ai cliché del cinema horror. Due ragazzi accompagnano un’amica nel polveroso cottage della sua infanzia, per trascorrere quel che sarà “un tranquillo weekend di paura”. Diviso nettamente in due ambienti, il palco ospita la living room in proscenio, con teste d’animali impagliate, un camino, mobilio coperto da teli antipolvere, un grappolo di vecchi televisori in un angolo e una grande vetrata che si apre sul proverbiale sentiero in mezzo al bosco. Su una pedana retrostante, ora nascosto ora mostrato dietro a un velatino, un ambiente adibito a cucina o a sala da bagno. La casa è abitata da tre spettri: una coppia di torvi genitori abbottonata in abiti retró e la classica bambina demoniaca che spunta dai pertugi più nascosti, scende le scale sulle braccia e trascina gli avventori in un incubo risolto solo da una brutale carneficina.
Mentre altri due sventurati sposini finiranno nella morsa dei fantasmi assetati di sangue, la vicenda, che si snoda senza pronunciare un solo suono diverso da urla di spavento o di dolore, ci si presenta attraverso gli occhi della ragazza, la quale pian piano riconnette le presenze maligne a un passato rimosso in cui i genitori ne avevano punito la disubbidienza affogando la sorellina nella vasca.

foto di Sanne Peper

L’enciclopedia Treccani pone il termine “paura” nella categoria “neurologia”, definendola come «stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario»; da qui deriva il terrore, «sentimento e stato psichico di forte paura o di vivo sgomento». C’è poi l’orrore che dà il titolo allo spettacolo, «impressione violenta di ribrezzo, di repulsione, di spavento, provocata nell’animo da cose, avvenimenti, oggetti, persone che siano in sé brutti, crudeli, ripugnanti e simili».
Se i fantasmi qui appaiono tutt’altro che brutti, di certo sono crudeli: una mano impazzita (citazione de La Casa di John Carpenter) tenta di strangolare il proprietario del braccio e andrà mozzata con un’ascia, in un copioso schizzo di sangue; la stessa ascia si abbatterà, citando The Shining di Stephen King/Stanley Kubrick, sulla porta dell’armadio da cui gli spiriti maligni attraversano il confine, così come dalla vasca emergeranno magicamente, uno dietro all’altro, quattro individui mascherati in lento incedere verso trappole mortali.
È il buio a comandare quelli che possono essere definiti veri e propri effetti speciali: apparizioni e sparizioni improvvise, oggetti semoventi, illusioni ottiche che davvero danno l’impressione che sul palco possa accadere qualcosa di sovrannaturale.

foto di Sanne Peper

Tornando alle considerazioni iniziali, la chiave del successo di questo irresistibile tunnel dell’orrore degno degli anni migliori di Gardaland sta innanzitutto nel non prendersi troppo sul serio. Gli appassionati del genere riconosceranno i sottili rimandi, gli altri si lasceranno deliziare da un vero e proprio laboratorio di meraviglie. La consapevolezza di produrre uno spettacolo pop permette a questi artisti (impeccabili nella gestione della macchina scenica e della performance) di giocare con le aspettative del pubblico. In sala regna un silenzio religioso, spezzato da risate complici della linea intellettuale, da gridolini di spavento accompagnati dal conforto dello stare in poltrona, soprattutto da lunghe esternazioni di divertito consenso per una perfezione di ritmo, d’inganno, specialmente di divertimento.

foto di Sanne Peper

Al punto che, soprattutto per noi che spesso a Roma dobbiamo chiamare il pubblico a gran voce, la vera meraviglia è vedere milleduecento spettatori fluire nel foyer e prendere posto a una seconda replica fuori abbonamento (danza), in una settimana in cui, nella stessa città, la stessa istituzione propone (e coproduce) al Teatro Sperimentale sei repliche gremite di Who is the King?, una ricerca sulla serialità in Shakespeare firmata da MusellaMazzarelli. Al di là dell’orrore, sopravvive il terrore. Un terrore buono, che ci trasmette quel «vivo sgomento».

Sergio Lo Gatto

Teatro delle Muse, Ancona – gennaio 2019

HORROR
produzione Jakop Ahlbom Company
concept e regia Jakop Ahlbom
drammaturgia Judith Wendel
cast Luc van Esch, Yannick Greweldinger, Judith Hazeleger/Andrea Beugger, Silke Hundertmark, Sofieke de Kater, Gwen Langenberg, Maurits van den Berg/Thomas van Ouwerkerk, Reinier SchimmelJakop Ahlbom
scenografia Douwe Hibma, Jakop Ahlbom, Remco Gianotten (assistente)
musica Wim Conradi with Bauke Moerman
costumi Esmee Thomassen, Kyra Wessel (assistente)Jakop Ahlbom
arredi scenici speciali e trucco Rob Hillenbrink
trucco e parrucco Nienke Algra
luci Yuri Schreuders

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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