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Animale da palcoscenico. Eroe e demone del teatro

Siamo stati a Terreni Creativi ad Albenga e abbiamo visto Mangiare bere letame e morte di Interno 5/Davide Iodice. Abbiamo provato a ragionare intorno alla metafora animale/performer.

Se la tragedia greca affonda le sue radici, non solo etimologiche, nel canto delle capre, divenendo performance rituale, nonché manifestazione di realtà sacra, appare dunque sensato rinvenire in controluce la filigrana di una connessione che va nella profondità della relazione tra essere umano/animale/performativo, laddove l’umano necessita dell’animalità per (ri)trovare il performativo, il performer si fa animale sulla scena, è ferino nei guizzi, il gesto è l’espressione diretta del suo sentire.
Non sembra perciò peregrino che sia invalso l’uso di definire «animale da palcoscenico», il performer in vetta d’efficacia, capace di vivere e esperire la scena con totale assennatezza.

Mangiare e bere. Letame e morte di Interno 5 e Davide Iodice

Non è tuttavia questa la sede per una disamina esaustiva delle sfaccettature prospettiche che si schiudono nell’incontro con questa immagine efficace e polisemica, ci limitiamo a restituire alcuni riferimenti al contemporaneo, coscienti che questo sia solo un piccolo sondaggio per una riflessione più ampia che potrebbe scontrarsi con  l’impeto dei grandi attori di inizio Novecento (Novelli, Tacconi, Duse – laddove però la metafora era declinata nella violenza del mattatore di bestie) – ; o con il performer grotowskiano, ben esemplificato da Ryszard Cieślak, in cui la sussunzione di istinto e coscienza è funzionale al ritrovamento di una naturalità originale che comprende aspetti animali, istintuali e passionali.

Dalla scena contemporanea nostrana, si rimanda a Paola Lattanzi ferina in Sopra di me il diluvio, Silvia Calderoni post-umana in MDLSX, Roberto Latini mefistofelico nei Giganti della Montagna. Forse a partire dalla constatazione di una precipua qualità animale della presenza, la metafora «animale da palcoscenico» è stata adottata nel lessico comune ed è – con esiti felici – perno di due lavori visti di recente: Bestie di Scena di Emma Dante e Mangiare e bere. Letame e morte di Interno 5/Davide Iodice.

Ryszard Cieślak – WKLADKA ROK GROTOWSKIEGO

Il primo, visto al suo debutto al Piccolo Teatro di Milano, costruisce un ensemble corale composto dalle esistenze fragili e esposte degli attori, imbecilli (in-baculum, senza bastone) che vediamo incespicare, assumere caratteri e fattezze, rispondere a stimoli fugaci in modo epidermico, come animali che reagiscono. La regista con sguardo disincantato sembra rivelare i meccanismi pavloviani di riflesso condizionato nel rapporto tra un demiurgo invisibile e una massa di fiere umane.

Nella bella cornice orchestrata da Kronoteatro nelle serre di Albenga, ossia in occasione del festival Terreni Creativi, abbiamo invece visto Mangiare e bere. Letame e morte di Interno 5 e Davide Iodice. Lo spettacolo – di cui parlammo nel 2014 – si configura come un «poemetto fisico», un percorso a tappe che incomincia con il racconto in prima persona della danzatrice, Alessandra Fabbri, a proposito di vicende, più o meno bizzarre, accadute ad alcuni animali. Nel tentativo di lenire il dolore per la morte della pappagallina, Fabbri mette uno specchio di fronte al parrocchetto, scoprendo così una panacea incompleta. Prosegue un allucinato viaggio in cui la danzatrice dialoga con la propria voce registrata, riacchiappa memorie emotive e corporee, guadagna sulle punte equilibri sbilenchi e indugia in avvitamenti su se stessa.

Roberto Latini – Noosfera Titanic. Foto Claire Pasquier

Se l’animalità trae con sé alcune caratteristiche desiderabili per il performer – la sincronia di azione/reazione, la vivacità degli istinti in un regime di necessaria sincerità – d’altra parte l’animale sulla scena è una bestia domata, sradicata dal suo habitat, tenuta al giogo di una volontà esterna (il testo, il regista, il metodo). Nei due casi citati non a caso il soggetto teatrale attraversa e si fa carico del disagio della bestia addomesticata, in attesa degli ordini e degli stimoli imposti. La nudità è fragilità, dissonanza, esposizione; mostrarsi sulla scena significa ammansire le pulsioni, vivere l’impaccio dell’esibizione. Emma Dante fa spogliare i suoi attori sul proscenio: lì scoprono l’urgenza della pudicizia, l’ingresso in un addomesticamento umano, sociale. Fabbri si concede danze convulse, mima i movimenti di una foca ammaestrata, tuffa il viso nell’argilla e dalla sua voce fuori campo partono interrogativi sulla natura precaria di chi va in scena.

Emma Dante – Bestie da scena. Foto Masiar Pasquali

La metafora dell’animale da palcoscenico sembra quindi essere rizomatica, si apre in senso orizzontale a significati non gerarchici; ospita e rappresenta la coesistenza di aspetti paradossali e ineludibili di chi calca la scena. La necessità di un subitaneo appagamento, il desiderio di appartenenza, l’estenuante ricerca di una sincerità totale. È una continua contrattazione che richiede la costruzione artificiale di un habitat naturale, l’attraversamento rigoroso e puntuale di tappe in direzione della scoperta di una libertà. O di, come recita il manifesto del Terzo Teatro, «immergerci nel cerchio della finzione per trovare il coraggio di non fingere».

 Giulia Muroni

Terreni Creativi Albenga (SV) – Luglio 2017
Mangiare e bere. Letame e morte
Produzione Interno5
Regia Davide Iodice
Con Alessandra Fabbri

Milano, Piccolo Teatro Strehler – Febbraio 2017
Bestie di scena
ideato e diretto da Emma Dante
con Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alessandra Fazzino, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli
Daniela Macaluso, Gabriele Gugliara
elementi scenici Emma Dante
luci Cristian Zucaro
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo, Festival d’Avignon

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Giulia Muroni
Giulia Muroni
Giulia Muroni, giornalista pubblicista, lavora per Sardegna Teatro dal 2017. Per il TRIC cura la programmazione artistica del festival Giornate del Respiro, è referente di alcuni progetti europei larga scala, è direttrice responsabile del magazine anāgata, componente della giuria del Premio Scenario e è responsabile dell'ufficio stampa. Lavora inoltre per Fuorimargine – Centro di produzione di danza e delle arti performative della Sardegna, per il quale si occupa di programmazione artistica e ufficio stampa. Ha pubblicato su diverse testate giornalistiche e scientifiche, riguardo ai temi dell'arte performativa, della filosofia del corpo e del portato politico dei processi artistici nei territori e nelle marginalità. Nata a Cagliari, è laureata in filosofia all'Università di Siena, si è specializzata all'Università di Torino e ha conseguito all’Università di Roma3 un Master di II livello in Arti Performative e Spazi Comunitari. Ha effettuato un tirocinio alla DAS ARTS di Amsterdam, nel periodo della direzione di Silvia Bottiroli. Ha beneficiato del sostegno Assegni di Merito e Master&Back della Regione Autonoma della Sardegna per i risultati del percorso accademico.

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