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Fiabe di gioia e rabbia. Intervista a Cristiana Morganti

Abbiamo intervistato la coreografa Cristiana Morganti a proposito della sua nuova creazione, A fury tale, in questi giorni in programmazione al Pistoia Teatro Festival

Cristiana Morganti. Foto Claudia Kempf

Una settimana di repliche a Parigi al Théâtre des Abbesses, una puntata di una manciata di ore a casa, in Germania, e poi di nuovo in tournée a Londra prima di tornare in Italia dove, a Pistoia, Cristiana Morganti presenterà presto A fury tale, spettacolo prodotto da Il Funaro di Pistoia con la coproduzione di Festival Aperto/Fondazione I Teatri di Reggio Emilia. Abbiamo raggiunto Cristiana Morganti al telefono per una chiacchierata a proposito della sua nuova creazione.

Dopo Moving with Pina e Jessica and me sei giunta a questa nuova creazione, c’è un filo conduttore tra i tuoi lavori?

Il mio è un percorso e ogni volta il filo conduttore è quello di provare a fare delle cose diverse, un’evoluzione. Dopo due spettacoli in cui ero in scena avevo voglia di fare una creazione in cui non comparire personalmente. A fury tale è dunque importante per diversi motivi, innanzitutto perché non sono in scena, appunto, o comunque appaio in scena in un paio di momenti, ma vesto il ruolo di coreografa. Inoltre, per questo spettacolo ho potuto scegliere le mie interpreti. Precedentemente ho creato tre spettacoli per il Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse (CNSMD) di Parigi, due per gli allievi e una per la compagnia del Conservatorio, ma lì si trattava di una commissione, com’è per esempio ora quella di Aterballetto per cui sto creando un nuovo spettacolo. In questi casi si lavora con i danzatori che si trovano già nella compagnia, mentre in A fury tale la scelta delle interpreti è stato un aspetto molto importante del lavoro. Volevo queste due interpreti allo stesso tempo così diverse da me e così impressionanti, anche da ferme: due donne alte un metro e ottanta, coi capelli rossi, molto imponenti e misteriose. Inoltre si tratta di due colleghe, e anche questo è stato importante: Breanna O’Mara è entrata al Tanztheater Wuppertal Pina Bausch nel 2014, mentre Anna Wehsarg attualmente è, come me, danzatrice ospite della compagnia nella quale era entrata nel 2000, dunque abbiamo lavorato insieme per molti anni. Appartengono a generazioni diverse dalla mia e in realtà, tutte e tre insieme, rappresentiamo ben tre generazioni diverse: io ho quasi cinquant’anni, Anna ne ha quasi quaranta e Breanna ne ha quasi trenta.

Foto Manuel Cafini

Qual è il tema portante di A fury tale?

Non volevo lavorare su temi autobiografici, relativi a me stessa e alla mia storia. È chiaro che poi, alla fine, ci sono dei momenti che in parte riguardano le biografie delle danzatrici e anche in questo spettacolo c’è una sorta di rottura della quarta parete, ovvero un momento in cui dialoghiamo, in cui io entro in scena creando questa sensazione di poter entrare e uscire dallo spettacolo così come accadeva anche in Jessica and me. Questa volta però volevo trovare dei temi, diversi, che mi interessavano: il primo era il sentimento della rabbia e il secondo erano le fiabe, nelle cui storie invero di rabbia ve n’è molta, sfociando talvolta in violenza. L’idea di lavorare su questi due temi ha poi aperto altre questioni che sono presenti nello spettacolo. Tuttavia, un mistero rimane: queste due persone sono la stessa in qualche modo sdoppiata oppure sono proprio due figure diverse? Oppure, ancora, queste due donne sono una l’ombra dell’altra? Lo spettacolo tratta dunque di un dualismo, ma ha anche a che vedere con il femminile, e con la vita. Anna Wehsarg è rimasta incinta, pertanto ho dovuto sostituirla per la prima. Ora danza nuovamente lei e tra l’altro questo aspetto viene tematizzato. Alla fine, questo fatto che inizialmente ho vissuto in maniera quasi drammatica – perché è al momento del montaggio che una delle due interpreti che avevo scelto mi ha detto “Sono incinta” – ha arricchito lo spettacolo. Un’altra danzatrice è entrata nella creazione e ha preso il ruolo di Anna, portando naturalmente altri input. Ora sono molto curiosa di vedere nuovamente l’interprete originale dentro lo spettacolo, ma voglio anche mantenere valida l’altra possibilità. A fury tale è uno spettacolo che probabilmente avrà due versioni, con due atmosfere diverse: avrà sempre qualcosa di vivo, non sarà mai una routine.

Foto di Manuel Cafini

Nei tuoi spettacoli è presente la parola insieme alla danza. In A fury tale tu e le danzatrici rappresentate tre nazionalità e tre culture diverse. Come hai gestito questo aspetto della creazione?

Abbiamo fatto le prove principalmente in lingua inglese, perché tutte e tre la parliamo bene. Breanna è americana e non parla ancora un tedesco fluido. L’esperienza di Jessica and me mi è costata un grande lavoro di traduzione quando ho fatto lo spettacolo in Francia e ho dovuto non solo tradurre tutto, ma anche impararlo in francese e poi dopo anche in inglese. Dunque, reduce da questa circostanza, per le scene in cui le danzatrici parlano tra loro in inglese ho escogitato un trucco: ho preso la decisione di fare io stessa la traduzione simultanea, dalla regia, quando Breanna e Anna parlano o parlano tra loro, a volte anche in due lingue diverse. Mi sembra che questa soluzione funzioni bene, perché la traduzione così non solo è diventata un elemento drammaturgico, ma permette anche alle interpreti di rivolgersi al pubblico e tra loro nella propria lingua, mentre io unifico il tutto, quando necessario, in italiano. Da questo emerge come nello spettacolo ci sia un miscuglio di lingue che racconta anche delle diverse culture da cui proveniamo. Siamo diversissime a livello culturale, di abitudini, di riti… È stato anche buffo, ci sono stati dei momenti molto comici durante le prove. Un aneddoto curioso, che è anche rimasto nello spettacolo, è questo: stavo lavorando in sala prove con le due danzatrici separatamente, un giorno con una e qualche giorno dopo con l’altra. Avevo chiesto loro di raccontarmi il proprio piano di vita ideale, punto per punto: la danzatrice americana ha risposto con una programmazione super positiva, quasi hollywoodiana, in cui tutto era perfetto, geniale, fantastico, quasi da mondo Disney; mentre la danzatrice tedesca, nonostante avessi chiesto loro un piano di vita ideale, mi ha restituito una prospettiva di sé molto realistica, con aspettative bassissime come riuscire ad avere una pensione, magari una piccola casa al mare, che anche senza giardino va bene, insomma delle cose tristissime… Da un lato dunque una mentalità ragionevole e pratica e dall’altra un’immaginazione esplosiva.

Foto di Manuel Cafini

Qual è il ritmo che hai voluto impartire a A fury tale?

Per me era importante che questo lavoro avesse un ritmo molto serrato, con molte musiche rock e punk. Alcuni hanno scritto che nello spettacolo ci sono dei tagli quasi cinematografici, ma non l’ho pensato in questo modo. Non volendo creare delle transizioni lunghe, mi interessava un ritmo incalzante con una logica che permettesse di passare da una situazione all’altra. Una delle cose che volevo fare sin dall’inizio era proprio questa, e alla fine mi sembra di esserci riuscita. Quando in scena ho visto qualcosa che volevo vedere, ho capito che il risultato è arrivato come lo desideravo. Le musiche le ho scelte io, con la collaborazione delle danzatrici, poi c’è stato un grosso lavoro di sound design e di montaggio musicale. Per i video, ho collaborato nuovamente con Connie Prantera, la videoartista con cui avevo lavorato per Jessica and me perché c’erano dei video che avevamo realizzato e non erano entrati nello spettacolo, ma mi stavano a cuore. Quindi, avendo scelto di fare uno spettacolo dominato visivamente dal colore bianco, a maggior ragione ho deciso di usare alcuni di questi video, che trovo particolari. Rispetto agli spettacoli precedenti, questo infatti è più complesso. Il fatto che io sia fuori mi ha permesso di guadagnare una distanza e di essere più analitica, quindi di avere un approccio maggiormente registico.

Foto di Manuel Cafini

Com’è cambiato il tuo processo creativo lavorando con altre persone?

In Moving with Pina sono partita da alcuni principi del lavoro con Pina che volevo spiegare e poi da lì ho costruito, proprio attorno a questi principi, una drammaturgia. Dopo ho cercato di portare avanti un modo di lavorare che potesse destabilizzarmi, dunque non sono voluta passare attraverso delle domande, ma anche altre cose come testi, fotografie, video, canzoni, situazioni… Durante le prove intervengo abbastanza rapidamente su quello che si crea anche perché siamo solo in tre: non lascio le danzatrici creare per mesi e mesi senza dare loro un feedback. A volte, quando ho visto qualcosa che mi ha interessato, sono intervenuta subito per svilupparlo o per legarlo a qualcos’altro. Si è formato un caos produttivo, volutamente caotico. Per me è stato davvero straordinario, nonostante le difficoltà. Ho lavorato con un team tutto al femminile, il processo è stato fonte di incredibile soddisfazione. Da fuori ho visto che le cose prendevano forma, si trasformavano… Ho immediatamente avvertito da parte loro una grande fiducia nei miei confronti. Dal mio punto di vista, mi sembrava di essere molto caotica durante la creazione, invece le danzatrici mi hanno detto che sono riuscita a lavorare con loro in maniera organizzata e chiara. C’è qualcosa di gioioso in questo spettacolo.

Gaia Clotilde Chernetich

Teatro Manzoni, Pistoia – 21 giugno 2017

A FURY TALE

idea, regia Cristiana Morganti

coreografia Cristiana Morganti in collaborazione con Breanna O’Mara, Anna Wehsarg, Anna Fingerhuth
interpreti Breanna O’Mara, Anna Wehsarg
collaborazione artistica Kenji Takagi disegno luci Jacopo Pantani video Connie Prantera
editing musiche Bernd Kirchhoefer
produzione Il Funaro – Pistoia e Cristiana Morganti
in coproduzione con Festival Aperto / Fondazione I Teatri – Reggio Emilia
in collaborazione con AMAT & Civitanova Danza per Civitanova Casa della Danza – con il sostegno della Città di Wuppertal e Jackstädt Stiftung – Wuppertal (DE)

 

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

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