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Hamburg Ballett e Mahler. Sinestesie di bellezza e orrore

All’Opera di Firenze presentata Terza Sinfonia di Gustav Mahler ideata e diretta da John Neumeier dell’Hamburg Ballett. Recensione

Foto Kiran West
Foto Kiran West

Affrontare criticamente il dispositivo coreografico che John Neumeier edificò a partire dalla Sinfonia n. 3 in re minore di Foto Kiran West implica un continuo differimento dello sguardo, obbligato a cogliere non soltanto una straordinaria riflessione della partitura musicale in quella gestuale, ma una sua meno ovvia rifrazione. Il carattere che Neumeier impresse alla traduzione coreutica della monumentale opera composta da Mahler tra il 1893 e il 1896 devia infatti dalla traslitterazione all’interpretazione, dalla simmetria dell’approccio a un suo superamento, dall’incarnazione del suono alla creazione di nuove, sorprendenti sinestesie: al punto da trasfigurare la profonda adesione del movimento al dettato sonoro in un meccanismo scenico capace di amplificare significati già dati e squadernarne nuovi e inconsueti.

Foto di Kiran West
Foto di Kiran West

Presentata per la prima volta ad Amburgo il 14 giugno 1975, Terza Sinfonia di Gustav Mahler costituisce una delle prime creazioni che Neumeier diresse per l’Hamburg Ballett ‑ compagnia di cui è direttore dal 1973 ‑ e il primo incontro tra il coreografo americano e il compositore viennese, poi replicato nei balletti ispirati alla Prima, Quarta, Quinta, Sesta e Nona Sinfonia. La scelta dell’Opera di Firenze, a due anni dallo scioglimento di MaggioDanza, di affidare al Mahler dell’Hamburg Ballett il ruolo di unico titolo di danza nel cartellone, a più di quarant’anni da quel debutto, è forse non coraggiosa: eppure Terza Sinfonia sembra godere della virtù precipua dei classici, quella ‑ nelle parole di Italo Calvino ‑ di non finire mai di dire quel che ha da dire. Ed è un discorso che non prende le forme canoniche e immediate del racconto, della vicenda eroica o fiabesca, del canovaccio sul quale ricamare gestualità e stasi: come già Balanchine, Neuemeier sembra compiere un’operazione di astrazione, che nega la necessità di una trama sottesa alla drammaturgia ed evidenzia invece le possibilità del corpo di rivelare una narrazione pre-verbale.

Foto Kiran West
Foto Kiran West

Se Gustav Mahler eliminò, prima della pubblicazione del 1898, i titoli dei sei movimenti della Sinfonia – lasciando soltanto al lied tratto da un ciclo di canti popolari tedeschi e al Canto di Mezzanotte dello Zarathustra nietzschiano, interpretati da un contralto e da un coro nel quarto e quinto movimento, la possibilità di condurre l’ascoltatore verso suggestioni testuali –, così Neumeier assegnò titoli ed epigrafi alla propria creazione soltanto successivamente alla prima esecuzione. Si trattò di un tentativo di risposta alle domande sul significato della coreografia: eppure i brevi testi – attraverso i quali è tratteggiata una scarna vicenda di bellezza e orrore, rinascita e violenza – sembrano quasi pleonastici se confrontati alla ricchezza immaginifica scaturita dal disegno coreografico. È una fisicità, quella dispiegata dal corpo di ballo, che Neumeier ricama alternando pas de deux e architettoniche figurazioni di gruppo, tradendo felicemente il neoclassicismo dello stile con brevi, fulminanti accenni espressionisti: una corporeità dilagante, che occupa nella sua interezza lo spazio privo di qualsiasi scenografia e che sceglie di abitare anche i silenzi, la sospensione del tempo tra un movimento e l’altro.

Foto Kiran West
Foto Kiran West

Il primo, lunghissimo quadro è così risolto in uno straordinario lavoro corale per soli uomini, una danza pittorica che esalta attraverso l’uso delle luci un esercito di soldati in marcia, al ritmo degli ottoni e delle gambe percosse con i palmi delle mani. Diagonali e parallele si spezzano e ricompongono in architetture complesse e ordinate, dalle quali si stagliano a tratti figure protagoniste: solo sul proscenio, un danzatore contempla l’abisso della platea, ignaro di ciò che avviene alle sue spalle. È, quello dello sguardo, un tema che attraversa come un fil rouge l’intero balletto, e che aggiunge al poema musicale una riflessione sulla visione, sulla parzialità e sulla frammentazione delle prospettive. Singoli danzatori osservano così, immobili e trasognati, il dipanarsi del movimento, o ne rifiutano la visione in prolungate stasi mentre giacciono supini sul proscenio. La moltiplicazione dei punti di vista o il contemporaneo accadere scenico di più soluzioni coreografiche – come nel caso dei lirici passi a due del secondo movimento che si stagliano sulle fluide geometrie descritte da nove danzatrici nella metà posteriore del palco – sembrano attenuare certa retorica preminenza riservata al virtuosismo della singola étoile: Terza Sinfonia di Gustav Mahler è il capolavoro dell’Hamburg Ballett nella sua totalità. Dedicata dallo stesso Neumeier a tutta la compagnia, l’opera evidenzia la forza del gruppo e la coesione orchestrale: in un prodigioso equilibrio, i primi ballerini Alexandre Riabko e Silvia Azzoni illuminano il corpo di ballo ricevendone in cambio altrettanta luce.

Foto Kiran West
Foto Kiran West

I pattern coreografici si ripetono a comporre una trama sotterranea di motivi e richiami, speculare a quella espressa nella scrittura mahleriana e destinata a evolversi in una crescita che non è esplosione ma sviluppo: gli accenti marziali dei primi frammenti scompaiono in una progressiva scoperta di dinamiche dialogiche tra due, tre, quattro danzatori; le quinte e i fondali neri fanno spazio al bianco ottico; i costumi virano su toni pastello. È una pacificazione graduale, che si esprime anche attraverso urla ammutolite da mani portate alla bocca spalancata, nel silenzioso preludio al quarto movimento, o fughe di ombre che trasformano i corpi in mere silhouette, nel lungo quadro finale. È soltanto a due strumenti che John Neumeier affida il compito di chiudere con le ultime, trattenute note, la danza concertante: il corpo di Riabko che, di spalle al centro del palcoscenico, sembra mutare natura in una prolungata torsione del busto, e quello di Azzoni, eterea mentre percorre l’intera linea del proscenio. Nessuna enfasi, nessun compiacimento, nessuna magniloquente teoria sull’amore e sulla morte: soltanto un accenno alla vita, che fluisce dopo lo spartito, oltre il sipario.

Alessandro Iachino

visto all’Opera di Firenze –  febbraio 2017

TERZA SINFONIA DI GUSTAV MAHLER
balletto di John Neumeier
musica Gustav Mahler
coreografia, costumi, luci John Neumeier
allestimento Hamburg Ballett

I / Gestern (Ieri)
Alexandre Riabko
Carsten Jung, Konstantin Tselikov, Alexandr Trusch, Edvin Revazv, Christopher Evans
Jacopo Bellussi, Leeroy Boone, Daniel Brasil, Filip Clefos, Graeme Fuhrman, Nicolas Gläsmann, Marià Huguet, Marc Jubete, Aljoscha Lenz, Marcelino Libao, Aleix Martínez, Matias Oberlin, Pietro Pelleri, Florian Pohl, David Rodriguez, Mathieu Rouaux, Pascal Schmidt, Thomas Stuhrmann, Lizhong Wang, Illia Zakrevsky
II / Sommer (Estate)
Carolina Agüero, Christopher Evans, Leslie Heylmann, Alexandr Trusch
Kristína Borbélyová, Sara Coffield, Nako Iraki, Greta Jörgens, Hayley Page, Yun-Sun Park, Maria Tolstunova, Priscilla Tselikova, Miljana Vračarić
III / Herbst (Autunno)
Anna Laudere, Edvin Revazov, Lucia Ríos, Florian Pohl
Patricia Friza, Marcelino Libao, Yaiza Coll, Florencia Chinellato, Thomas Stuhrmann
Mayo Arti, Jacopo Bellussi, Emilie Mazón, Leeroy Boone
Kristína Borbélyová, Sara Coffield, Georgina Hills, Nako Hiraki, Hayley Page, Madoka Sugai, Maria Tolstunova, Priscilla Tselikova, Graeme Fuhrman, Marià Huguet, Matias Oberlin, Mathieu Rouaux, Pascal Schmidt, Lizhong Wang, Eliot Worrell, Illia Zakrevsky
IV / Nacht (Notte)
Xue Lin, Alexandre Riabko, Carsten Jung
V/ Engel (Angelo)
Silvia Azzoni
VI / Was mir die Liebe erzählt (Quello che mi dice l’amore)
Silvia Azzoni, Alexandre Riabko e ensemble

su musica registrata
Gustav Mahler, Sinfonia n. 3
Leonard Berstein – Martha Lipton – Boy’s Choir of the Little Church Around the Corner – Schola Cantorum Women’s Chorus – New York Philarmonic

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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