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Amir Reza Koohestani. Il regime del senso di colpa

Amir Reza Koohestani porta in scena Hearing, lavoro sul tema della verità distorta da costrizioni e sensi di colpa. Recensione

Amir Reza Koohestani
Foto Amir Hossein Shojaei

È difficile. Oggi, il giorno dopo l’attentato di Nizza, mentre ancora si contano i morti del fallito colpo di stato militare in Turchia, è davvero difficile scrivere di Hearing che proprio ieri sera ha debuttato a Santarcangelo Festival 2016 e che ho visto al Festival delle Colline Torinesi appena qualche settimana fa. Perché la storia procede, falcia come un cingolato passasse su tratti di erba fresca, rattrappisce il giudizio e modifica l’evoluzione della propria coscienza culturale. Hearing è un lavoro di Amir Reza Koohestani, regista iraniano per il Mehr Theatre Group; ciò che ne avrei detto nelle scorse settimane è solo in parte lo stesso che ne posso dire oggi. Siamo vittime della storia di cui, allo stesso tempo, siamo manovratori. È lungo questo doppio canale della libertà che si muove la nostra presenza nel mondo che al contempo, dunque, della stessa presenza pare prendersi gioco, modificando azioni, umore, pensieri, secondo la sequenza degli avvenimenti.

Siamo in una scuola, un dormitorio femminile. Ogni azione interna è governata da un segreto: l’assenza degli uomini, il cui spettro fuori dalle mura è un’ombra malcelata e si avverte come proiezione invisibile in un intreccio di promessa e minaccia, entro il quale evidentemente si misura la condizione della donna nella Teheran di Koohestani. Finché non accade qualcosa, la voce di un uomo pare sia stata avvertita all’interno del dormitorio, la verità inizia a trasfigurarsi in sembianze riprodotte e mistificate, parole di un interrogatorio saranno estorte, distorte, usate dall’una contro l’altra, secondo una meccanica del terrore che lievita nel senso di colpa.

AmirReza Koohestani
Foto Amir Hossein Shojaei

Koohestani disegna con delicatezza un interno quasi totalmente buio e inscena l’indagine in cui l’istitutrice contorce la convinzione di due delle ragazze; la loro accusa reciproca, le ritrattazioni, il tentativo di evitare una punizione che sanno così incongrua all’eventuale peccato, non sono che la dichiarazione di subordinazione a un sistema di potere che le schiaccia nell’intimità, le addita per la loro essenza. Entrambe vivono nella paura, manovrano una telecamera a circuito chiuso piantata sulla testa e proiettata sullo schermo; con essa si controllano e diventano entrambe vittima e carnefice, l’una dell’altra. C’è una sovrapposizione di piani nel racconto, sfilacciamenti della verità che perde pian piano autorevolezza, ogni versione dei fatti è intimamente connaturata a chi la racconta, a quanto sia cioè in grado di difenderla di fronte a una confutazione; si norma così una società in cui il comportamento preesiste a sé stesso, è una regola disposta prima degli eventi, un codice entro cui permettere ad essi di accadere, di manifestarsi.

Uno dei temi di maggior risalto è ovviamente legato al divieto e l’effetto sulla sensibilità: ciò che è proibito, velato, dispone attrazione e curiosità lungo un singolare tracciato di acquisizione. Ogni angolo buio si modifica e passa di stato, nella percezione, non appena vi arrivi luce. Ma la contorsione del mistero veicolato nel tempo, quando incapace di equilibrare l’onda di negazione e svelamento, diviene una contrazione della volontà e dell’arbitrio, un paradosso di libertà mossa entro confini rigidissimi e conformi a un disegno preordinato, tratteggiato da mani invisibili. Si rincorrono così l’umanità e la propria perversione di dominio, si antepone il vedere e il sentire al sapere, al conoscere, si porta di nuovo alla luce un frammento di mondo con cui non abbiamo corrispondenza ma che ha sue regole ben precise; Abbas Kiarostami, scomparso da pochi giorni e maestro dichiarato del regista, ha saputo portare di fronte al mondo epoche oscure della storia iraniana, spetta ad autori di nuova generazione come Koohestani segnare invece uno scarto verso una percezione limpida della realtà, sotto il cui velo il rispetto tra le civiltà contemporanee va orribilmente svanendo.

Simone Nebbia

Festival delle Colline Torinesi 2016, Teatro Astra, Torino – giugno 2016

HEARING
di Amir Reza Koohestani
regia Amir Reza Koohestani
assistente alla regia Mohammad Reza Hosseinzadeh
con Mona Ahmadi, Ainaz Azarhoush, Elham Korda, Mahin Sadri
video e direzione tecnica Ali Shirkhodaei
musiche Ankido Darash e Kasraa Paashaaie
suono Ankido Darash
luci Saba Kasmei
scena Amir Reza Koohestani assistito da Golnaz Bashiri
costumi e oggetti di scena Negar Nemati
secondo assistente Mohammad Khaksari
direzione di scena Mohammad Reza Najafi
assistente ai costumi Negar Bagheri
direttori di produzione Mohammad Reza Hosseinzadeh e Pierre Reis
tour manager Pierre Reis
produzione Mehr Theatre Group
coproduzione La Bâtie – Festival de Genève, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt am Main, BOZAR – Centre for Fine Arts Brussels
versione originale con sopratitoli in italiano
traduzione Laura Bevione per il Festival delle Colline Torinesi
prima nazionale
presentato in collaborazione con Fondazione Live Piemonte dal Vivo
nell’ambito di Scene d’Europa

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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