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CK Teatro dalla sperimentazione alla black comedy ispirata a Hitchcock

CK Teatro è una compagnia nata nel 2008, riflettiamo sul suo percorso artistico, dalle prime sperimentazioni all’ultimo Hitchcock. A Love Story

Being Hamlet - La genesi (2009)
Being Hamlet – La genesi (2009)

CK teatro è la compagnia residente al Teatro dell’Orologio e animata dallo stesso direttore del multisala Fabio Morgan nelle vesti di autore, da Leonardo Ferrari Carissimi alla regia, Alessandra Muschella alle scene e costumi e dall’attrice Anna Favella. Una di quelle compagini insomma “vecchio stile”, per una visione quasi artigianale del teatro. L’acronimo che dà il nome alla compagnia sta per Colossal Kitsch: i primi lavori (con la regia di Morgan) si esprimevano attraverso una cura formale quasi maniacale, mettevano in gioco riflessioni metalinguistiche che trovavano riscontro nel gesto estetico quanto nel contenuto ed erano spesso portatori di un pensiero anticonvenzionale. Del primo Being Hamlet Matteo Antonaci su Teatroteatro.it scriveva «[…] le luci in scena si spengono, e il pubblico si ritrova dinanzi a un film proiettato su quel velatino. La cinepresa si fa largo tra foglie di plastica per giungere dinanzi a una creatura mostruosa, un Amleto che anela alla fine del mondo, la distruzione di tutto il creato. […] Il racconto procede, con tanto di titoli in sovrimpressione, come il nome di capitoli o delle diverse puntate di un telefilm. Tinte di rosso le immagini riprendono mura sotterranee, antri oscuri in cui la perversione e l’orrore regnano sovrani. I personaggi dell’Amleto parlano con voci corrotte, deturpate, mentre il protagonista tragico si esprime solo attraverso delle gelide scritte, lettere robotiche, bianchi caratteri di una chat un po’ vintage». Il successivo Pasolini Superstar, che avrebbe meritato una distribuzione nazionale, fu una vera e propria folgorazione: attraverso diversi piani di lettura e di rappresentazione disgregava e ricomponeva il mito dell’artista friulano. Simone Nebbia su queste pagine ne parlò in questi termini «Quel che è “colossalmente kitsch” è sparare a zero su ogni spunto consegnato dalla storia stessa, renderlo del tutto non plausibile, straniarlo totalmente perché sappia raccontare la menzogna non dichiarando dov’è il vero, ma proprio rendendo sé stesso falso». In queste prime prove tra gli autori figurava anche Andrea Carvelli in veste di drammaturgo.

Pasolini Superstar (2012)
Pasolini Superstar (2012)

Cos’è accaduto successivamente? La compagnia di certo si è concentrata sulla gestione completa del teatro portando le sale piccole in via de’ Filippini a fare concorrenza ai grandi, sotterraneamente nasceva anche la necessità di tornare a forme più tradizionali, in linea con lo spirito che si diffondeva in città; dal trio si staccherà Carvelli.
Così, dopo i personaggi di Pasolini Superstar, caricature, imitazioni posticce, false e kitsch appunto – figlie di quell’eccesso che era, citando Attilio Scarpellini, “stile e materia poetica” – ci siamo trovati di fronte prima al tentativo di Love e poi a quello di Tutti i padri vogliono far morire i loro figli, fondati su un’idea di tragedia borghese immatura però nella realizzazione.

Hitchcock. A Love Story foto Manuela Giusto (2015)
Hitchcock. A Love Story foto Manuela Giusto (2015)

Per certi versi l’ultima prova, Hitchcock. A Love Story, con la regia di Carissimi, può apparire come una ricerca di mediazione tra il radicalismo iniziale pronto a sbeffeggiare qualsiasi postulato e il successivo rientro nei ranghi. Dalle stroncature subite dalla più recente messinscena (che partiva dalla scrittura pasoliniana di Affabulazione) Morgan e Carissimi trassero una serie di video comici, alcuni divertenti, con cui si prendevano gioco di loro stessi, del sistema teatrale e della critica. Il lavoro sul mondo cinematografico di Alfred Hitchcock è infatti debitore anche di quella esperienza, la scoperta di una vena comica e parodistica, in realtà sempre presente in CK e che, connessa con la restaurazione linguistica in atto, porta quasi a uno schema da commedia classica. Le basi poggiano sulla tematica metateatrale filtrata nelle atmosfere del maestro del brivido.
In scena due personaggi, si incontrano ai provini proprio dello spettacolo Hitchcock. A Love Story. Lui, Luca Mannocci, è pieno di sé, macchietta dell’attore con un ego debordante, sempre impostato e sicuro delle proprie performance di recitazione e di seduzione. Lei, Anna Favella, è apparentemente una semplice interprete senza esperienza, ma nasconde il proprio segreto nell’albero genealogico: è figlia di un importante produttore, grazie al quale aiuterà l’amico anche quando gli sarà lontano. Ma è proprio nella loro relazione, destinata a divenire patologica per l’uomo, che la commedia mostra i suoi tratti più neri con tanto di finale alla Psycho.

Naturalmente i riferimenti al regista, celebre anche per la cosiddetta “sceneggiatura di ferro”, sono disseminati abilmente lungo tutto il percorso drammaturgico. Un lavoro che strappa più di una risata, soprattutto agli spettatori più appassionati. Quello della recensione letta dopo la prima dello spettacolo, ad esempio, è un bel pezzo comico che gioca sui cliché della critica, ma anche su quelli degli artisti, in cui il bersaglio è proprio l’egocentrismo in cui spesso rischia di incappare chi il teatro lo fa e chi ne parla.
Eppure anche stavolta emerge, pure se con impatto minore, quella frizione tra forma e contenuto che aveva sbiadito i due lavori precedenti. La black comedy scritta da Fabio Morgan (sold out nei due giorni di replica) avrebbe bisogno di due maschere teatrali più duttili ed efficaci nel mutamento, nel sorprendere lo spettatore. Perché il problema è, come al solito, nell’approccio psicologico al personaggio: scelta che richiede un lavoro sulla recitazione senza ingenuità. Al contrario l’utopia (in alcuni casi realizzata) di tante avanguardie teatrali risiedeva proprio nella messa al bando di tutti quegli psicologismi che pretendono di essere il grimaldello con cui portare una verità realistica sul palcoscenico. Forse allora la domanda che dovremmo cominciare a porci più spesso è proprio questa: che fine ha fatto l’avanguardia? È solo rischiando che CK teatro potrà tornare ad essere “colossalmente kitsch”.

Andrea Pocosgnich

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HITCHCOCK. A LOVE STORY
con Anna Favella e Luca Mannocci
scritto da Fabio Morgan
regia
Leonardo Ferrari Carissimi
scene e costumi Alessandra Muschella
disegno luci Martin Emanuel Palma
produzione Progetto Goldstein, Teatro dell’Orologio

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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