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Fabbrica Europa. La Stazione Leopolda danza

Fabbrica Europa. La danza di Cristina Rizzo e Daniele Albanese. Recensione

 

Fabbrica Europa
Foto Ilaria Scarpa

«Vado a Fabbrica Europa, stasera» è una frase che a Firenze si pronuncia e si ascolta spesso, in primavera. Perché a Fabbrica Europa si va: come fosse un luogo fisico, una presenza tangibile. È questa una metonimia topografica entrata, dopo ventidue anni, nell’uso comune e anche adesso che il festival tocca diversi luoghi della città e supera i confini comunali, nessuno definirebbe la propria meta chiamandola semplicemente Stazione Leopolda; si direbbe anzi che lo straordinario edificio si identifichi più con le arti sceniche che con i rinomati convegni politici.

A Fabbrica Europa si arriva con alcuni amici, altri se ne incontrano per caso: quasi fosse un rituale laico, consumato indistintamente dagli addetti ai lavori e dai neofiti. Capita così di condividere un’euforia con chi ti ha accompagnato a teatro per un’intera stagione e con chi, invece, è di norma soltanto un avventore occasionale. È un’elettricità variegata che sembra assumere forme omologhe ma mai identiche tra i diversi spettatori, è una simmetria di emozioni che non è mero riflesso ma dialogo in cui le voci si fondono mantenendo singolarità: così come la danza di Annamaria Ajmone e Cristina Rizzo è al contempo speculare e unica, analoga e differente. BoleroEffect cita nel titolo la partitura di Maurice Ravel, tuttavia del bolero la coreografia di Rizzo recepisce soltanto la struttura musicale e, a un livello che definiremmo drammaturgico, il rilievo che esso ha assunto nell’immaginario globale. Quella musica da balletto commissionata a Ravel da Ida Rubinštejn nel 1928 è diventata nel tempo talmente popolare da infrangere le barriere della musica colta e penetrare con il suo ritmo ossessivo nella memoria acustica collettiva, dove costituisce una traccia perenne sottesa ai gusti delle epoche. Anche la scena musicale dance ha inaspettatamente fatto ricorso a quelle caratteristiche strutturali — la continua ripetizione di identiche matrici, o l’immenso crescendo finale — che contribuirono alla diffusione universale del Bolero: e Rizzo, con la complicità della direzione tecnica di Giulia Pastore, trasforma il nudo spazio della Leopolda in un dancefloor le cui luci stroboscopiche accendono e oscurano alternativamente i corpi, e nel quale a rivestire un ruolo centrale è proprio un dj. Simone Bertuzzi, in arte PALM WINE, crea, davanti a una consolle mobile, un tessuto sonoro sul quale Ajmone e Rizzo danzano per quasi un’ora aumentando vertiginosamente di intensità minuto dopo minuto, replicando in una sincronia ipnotica gli stessi schemi coreografici e tuttavia variandoli, in modo minimo ma percettibile. È un’esaltante spinta all’estremo di una resistenza fisica e psicologica, un’iperrealistica versione di Non si uccidono così anche i cavalli? permeata però da una gioia adrenalinica: il dj può addirittura gettare contro le due donne alcune lattine vuote — residuo di bibite sorseggiate durante maratone di ballo già avvenute — ma nulla sembra turbare quei sorrisi che Ajmone e Rizzo si scambiano più di una volta nel corso della performance. Giocando con gli stereotipi della disco music e maneggiando perfino un pompon da cheerleader, la coreografia di Rizzo suggerisce attraverso modalità inconsuete un erotismo sottile, colorato da una felicità pura e improvvisa: quasi un’eredità di quell’eccitazione cerebrale e di quella passionalità controllata che Ravel espresse con la semplice ripetizione di un’identica sezione ritmica.

Fabbrica Europa
Foto Sergio Cipollina

Non più atmosfere house, ma affascinanti percorsi elettronici sono quelli delineati da Patrizia Mattioli in Digitale Purpurea I, creazione della Compagnia STALKer di Daniele Albanese, della quale la versione per quattro danzatori vista a Fabbrica Europa costituisce soltanto uno dei molteplici adattamenti di un progetto modificabile in base ai contesti. Se in BoleroEffect l’azione di PALM WINE è imprescindibile, al punto da inserirsi nella stessa trama coreografica, qui la musica live costituisce soltanto lo sfondo sul quale Francesca Burzacchini, Elisa Dal Corso, Pietro Pireddu e lo stesso Albanese si attraggono e si incontrano con apparente casualità. Come monadi impazzite, i quattro plasmano lo spazio con traiettorie intervallate da squarci di riflessiva staticità o da fasi convulse e sincopate, e il notevole uso della mimica facciale — soprattutto di Daniele Albanese — sembra gettare luce su un nucleo di dolore, forse addirittura follia, soltanto accennato dal movimento. Alla pianta officinale nota sia per le sue proprietà antiaritmiche e antiepilettiche, sia per i potenziali effetti letali, è d’altro canto ispirato uno spettacolo che tuttavia meriterebbe una più forte linea drammaturgica e una maggiore coesione non solo tra i segmenti — brillante ed emozionante risulta essere la seconda parte, a fronte di una prima sezione più incolore — ma anche e soprattutto tra le diverse anime che compongono l’opera. Disegno luci, musica e danza sembrano infatti dialogare soltanto superficialmente, minando la ricezione di quelle sotterranee ambivalenze e conflittualità, insite nella stessa natura delle cose, che il lavoro coreutico vuole evocare.

Nel magnifico piazzale disegnato da Gae Aulenti, tra i pilastri in cemento e le strutture in acciaio, ci si attarda adesso a scambiare entusiasmi o delusioni, a difendere visioni del mondo e colleghi, a criticare ingenuamente un sistema dell’arte dai confini frastagliati. Fuori dalle navate della Stazione Leopolda, Fabbrica Europa acquisisce un corpo e un’anima ulteriori.

Alessandro Iachino

visti alla Stazione Leopolda, Firenze, maggio 2015.

Su Bolero Effect leggi anche Da Ravel al rito della ripetizione: il Bolero Effect di Cristina Rizzo. Di Sergio Lo Gatto

CRISTINA RIZZO
BOLEROEFFECT

concept e coreografia: Cristina Rizzo
performance: Annamaria Ajmone, Cristina Rizzo, Simone Bertuzzi
elaborazione sonora e Djing: Simone Bertuzzi aka PALM WINE
disegno luci e direzione tecnica: Giulia Pastore
cura e distribuzione: Chiara Trezzani
produzione: CAB 008 con il sostegno di Regione Toscana e MiBACT
coproduzione: Biennale di Venezia Danza in collaborazione con Terni Festival

COMPAGNIA STALKer/DANIELE ALBANESE
DIGITALE PURPUREA I

ideazione: Daniele Albanese
musiche originali dal vivo: Patrizia Mattioli
disegno luci: Yannick de Sousa Mendes, Deborah Penzo
azione luci dal vivo e tecnica: Deborah Penzo, Gianluca Bergamini
danza: Daniele Albanese, Francesca Burzacchini, Elisa Dal Corso, Pietro Pireddu
organizzazione: Elisa Longeri
residenze artistiche e sostegno: Europa Teatri (Parma), AMAT & Comune di Pesaro, Spazio 84 (Parma), Fondazione Nazionale della Danza/AterBalletto
produzione Stalk 2014

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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