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Teatrosofia #11. L’attacco di Socrate agli artisti

Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. Nell’Archelao di Antistene vediamo Socrate criticare aspramente gli artisti.

 

In Teatrosofia, rubrica curata dal nostro redattore Enrico Piergiacomi – dottorando di ricerca in filosofia antica all’Università degli Studi di Trento – ci avventuriamo alla scoperta dei collegamenti tra filosofia antica e teatro. Ogni uscita presenta un tema specifico, attraversato da un ragionamento che collega la storia del pensiero al teatro moderno e contemporaneo.

morte socrate
Jacques-Louis David, La morte di Socrate

Si tramanda che il socratico Antistene avrebbe scritto l’opera Archelao per attaccare il retore Gorgia. Nemmeno un frammento del testo è purtroppo pervenuto. Qualche studioso autorevole è però del parere che parte del suo contenuto sia preservato nei §§ 16-28 dell’orazione In Atene, sull’esilio di Dione di Prusa (detto anche Crisostomo). Egli afferma quasi candidamente di aver attinto a un’opera antica rappresentante Socrate nell’atto di inveire contro gli Ateniesi, i quali affidavano la loro educazione a categorie professionali indegne, tra cui appunto i retori come Gorgia.
Ammettendo che ciò sia vero, ne risulta che l’Archelao di Antistene presentava l’immagine di un Socrate molto aggressivo nei confronti degli artisti performativi. Il discorso di Socrate preservato da Dione riferisce più volte come il filosofo rimproverasse pubblicamente gli Ateniesi di apprendere da questi ultimi delle competenze tecniche che non rendono moralmente eccellenti. Dall’educazione di attori, danzatori, rapsodi e retori, un cittadino impara a cantare, a suonare, a danzare e a ben parlare, invece di apprendere a essere giusto, rispettare le leggi e non complottare ai danni degli altri. Le arti si rivelano così inutili alla vita retta che, di contro, si può apprendere mediante la filosofia.

Ma è nel § 20 dell’orazione che la polemica raggiunge forse il suo picco maggiore. Qui Socrate usa un argomento complesso e non immediatamente comprensibile, cerca di indurre gli Ateniesi a considerare le arti inutili, mostrando loro chi sono davvero gli uomini esposti ai mali di cui parlano le tragedie e che ogni spettatore giustamente compiange. Questi non sono già coloro che non sanno cantare o suonare o danzare o recitare, bensì uomini ricchi e stolti che non hanno ricevuto educazione adeguata. L’uomo educato riesce infatti a evitare i mali, a ottenere i beni e a comportarsi rettamente, non importa se stoni ogni volta che canta o suona la lira, o se inciampi a ogni passo di danza, o se declami male un discorso. L’argomento di Socrate è, in altri termini, di carattere “terroristico”. Egli intima agli Ateniesi: coltivate la filosofia e non le arti, perché queste non vi insegnano nulla che vi permetta di fare il bene e di scampare ai mali, nel momento in cui si presentano.
Più in sottotono, ma altrettanto feroce, è invece l’ulteriore argomento che troviamo all’inizio del § 21 e che mostra come l’artista induca a essere tracotanti, con gravi conseguenze. Socrate racconta il caso esemplificativo di Tamiri, un citarista talmente esperto nella sua arte che osò competere in una gara poetica con le Muse stesse, da cui venne sconfitto, subendo per punizione la perdita della vista e delle sue capacità tecniche. L’artista appare allora un cattivo educatore perché insegna qualcosa che, molto probabilmente, porterà col tempo a inimicarsi una divinità, contrariamente alla filosofia, che anzi permette ai suoi cultori di diventare immortali come gli dèi, come riporta un frammento di Antistene preservato da Stobeo.

La polemica dell’Archelao è certamente inefficace e può essere oggetto di molte obiezioni. Il testo ha però un valore storico inestimabile, in quanto testimonia un altro tratto paradossale della figura di Socrate. Questi andava contro i retori e gli attori, ma recitando un discorso degno di un retore e di un attore. Dunque, per deduzione, la sua polemica verso gli artisti mira alla creazione di una retorica filosofica che usa l’intimidazione e si richiama alla poesia tragica facendo capire come l’uomo non sia ancora virtuoso né ben educato, pertanto devrebbe ancora trovare la strada che conduca al bene e alla rettitudine morale.

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E il suo [di Antistene] Archelao attacca il retore Gorgia (Antistene, fr. 203 = Ateneo, Deipnosofisti, libro V, cap. 63)

A un tale che gli domandò cosa dovesse insegnare al figlio, Antistene rispose: «Se intende vivere con gli dèi, la filosofia, se con gli uomini, la retorica» (Antistene, fr. 173 = Stobeo, Antologia, libro II, § 31.76)

Ma, insomma, è imparando dai genitori a suonare la lira, a lottare, a leggere, a scrivere, ed è insegnando ai vostri stessi figli queste stesse cose, che pensate [Ateniesi] che la città sarà abitata da cittadini più disciplinati e migliori? E ancora, se qualcuno riuscisse a radunare tutti i citaristi, i maestri di ginnastica e i docenti di scuola che possiedono la conoscenza più vasta nei loro rispettivi ambiti, e se riusciste a fondare con loro una città o persino una nazione, come quando colonizzaste la Ionia, che razza di città ne verrà fuori e come saranno i suoi cittadini? Non sarebbe la vita [che si conduce al suo interno] di gran lunga peggiore e più vile di quella che si conduce in quella città dell’Egitto popolata solo da commercianti, dove tutti i commercianti prendono casa, sia uomini che donne? Non sarà molto più ridicola la società composta solo dai professionisti che ho appena ricordato – mi riferisco ai maestri di ginnastica, ai citaristi, ai docenti di scuola, includendo [in più] i rapsodi e gli attori? (Dione di Prusa, In Atene, sull’esilio, § 17)

Ma apprendere cosa procura vantaggio a voi e alla vostra città natale, e a vivere legalmente e giustamente e armoniosamente nelle vostre relazioni sia sociali che politiche senza danneggiarvi o complottare l’uno contro l’altro, questo non lo avete ancora imparato, né lo avete ancora riconosciuto come un problema di cui bisogna occuparsi, né in questo preciso momento preoccupa qualcuno di voi. Tuttavia, nonostante ogni anno vedete gli spettacoli tragici nelle Dionisie e provate pietà verso i personaggi rappresentati nelle tragedie, non avete malgrado ciò riflettuto che non è l’illetterato, o l’uomo che canta stonando, o chi non sa lottare che viene colpito da questi mali [che colpiscono i caratteri tragici], né uno solo di voi ha mai assistito a una tragedia che colpisce un uomo solo perché è povero. Al contrario, sono gli eroi come Atreo, Agamennone ed Edipo che costituiscono i soggetti di tutte le tragedie, come tutti possono vedere: uomini che si sono procurati grandi quantità d’oro e d’argento e di terre e di bestiame, tanto che si dice che il più sfortunato di loro fu una pecora d’oro. E inoltre, persino Tamiri – che fu assai esperto nell’arte del citarista ed entrò in competizione con le Muse stesse in una gara musicale – fu accecato per questo comportamento e peraltro disimparò la sua arte (Dione di Prusa, In Atene, sull’esilio §§ 19-21)

[I frammenti di Antistene e l’orazione di Dione di Prusa sono editi da Gabriele Giannantoni (a cura di), Socratis et Socraticorum Reliquiae. Volumen II, Napoli, Bibliopolis, pp. 137-225. Le traduzioni dei testi citati sono mie. Dell’orazione di Dione di Prusa, esiste una resa italiana con commentario di Alfredo Verrengia (a cura di), Dione di Prusa. In Atene, sull’esilio (or. 13), presentazione di Italo Gallo, Napoli, Lettere italiane, 2000, che non ho avuto modo di consultare]

Enrico Piergiacomi
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4 COMMENTS

  1. Dunque lanciamoci nel facile compito di demolire la debole polemica dell’ Archelao.
    Anzi, subìto mi fermo e mi chiedo: ma questo gusto sadico nell’uccider l’uomo morto, mi verrà dal fatto che sono artista?
    Dunque è vero che le arti non educano e la filosofia insegna la giusta via?
    Ma se non erro fu filosofo anche quel Niccolò fiorentino che tanti politici prendono a sproposito per giustificare nefandezze e crimini di ogni sorta.
    Mentre mi pare assai difficile trovare danzatori, musicisti ed artisti che delinquono a livelli stratosferici (dalle persecuzioni agli omicidi, ai grandi furti e alle iterate vessazioni), come quegl’impuniti (poiché impunibili) che di tutto si son nutriti fuorché d’arte!
    Mi pare peraltro bellissimo l’esempio di Tamiri, che ancora una volta Socrate intende alla rovescia!
    E’ infatti esattamente il compito di ogni artista quello di sfidare le muse, ben sapendo che non si può vincere!
    E quanta ragione aveva nel dipingere “inutili” le arti!
    Non considerava (ma quasi nessuno considera) che la parte legata agli “utili”, è la parte sporca del lavoro!
    Mi scuso se taglio con l’accetta e se mi riferisco all’oggi in maniera inopportuna e inappropriata, ma come sai colgo occasioni per parlare e sparlare, chè amo il teatro e nonostante tutto, Socrate mi mette di buon umore.
    Un saluto

    Claudio

  2. Caro Claudio,

    visto che amo sia Socrate – secondo me ancora ben vivo – che gli artisti, provo a risponderti proponendo un compromesso. Sia chiaro che si tratta solo di un’ipotesi, che non ha alcun testo a sostegno. Ma la sede consente di fare discorsi anche arditi e liberi.
    Può darsi che, più che l’artista nel senso eminente della parola, Socrate attaccasse l’Ateniese medio che mascherava i suoi fini disonesti con le bella parole della retorica o coltivava l’arte per pura vanità. In altre parole, egli ce l’aveva con i criminali che tu stesso denunci e nascondevano le loro azioni con discorsi ben elaborati (cfr. qui anche una massima di Democrito, fr. 68 B 53a DK: “molti tra coloro che compiono le azioni più vergognose elaborano i discorsi migliori”), nonché con persone che si dedicavano oziosamente allo spettacolo per alimentare il proprio “ego” e accappararsi un po’ di vuoto prestigio. Del resto, Socrate non era solo un grande intellettuale, ma anche un moralista che stabiliva che era doveroso comportarsi sempre giustamente e che è sempre meglio subire un’ingiustizia che commetterla – lo testimoniano rispettivamente la “Apologia di Socrate” e il “Gorgia” di Platone.
    Sono invece del tutto d’accordo nell’affermare tanto che le arti sono “inutili”, perché non servono nessuno e più che a un utile materiale mirano a un arricchimento spirituale, quanto nel ritenere assurda la tesi che la filosofia educhi e le arti no. Quanto a questo secondo punto, però, mi riservo di appellarmi stavolta alla storia. Socrate doveva esporre la sua attività pedagogica come alternativa a quella promossa dai poeti, che costituiva allora il veicolo privilegiato di trasmissione del sapere (pensa solo che i poemi omerici tramandavano di generazione in generazione la memoria dello scibile umano finora raccolto) e di educazione dei giovani – parlerò meglio di tutto ciò quando passerò a Platone, tra due o tre appuntamenti. Oggi questa operazione può sembrare ingiustificata, mentra allora aveva un senso e una certa importanza.
    Ti ringrazio molto per il commento e spero di averti risposto. Un caro saluto,

    Enrico.

  3. Grazie Enrico, il compromesso è più che accettabile, mi convince anche la necessità di battere la concorrenza, purchè si giochi pulito! Comunque, sono certo che riuscirai a trasformare la mia simpatia per Socrate in qualcosa di ben più alto. Però poi come farò a divertirmi nel far l’avvocato del diavolo?
    un caro saluto anche a te.

    Claudio

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