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L’Augenblick di una parziale immersione

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Augenblick L’istante del possibile, primo esperimento di Teatro Immersivo in prima nazionale al Teatro Studio Uno di Roma.

 

Foto Locandina
Foto Locandina

The Immersive Theatre è approdato qualche settimana fa al Teatro Studio Uno con lo spettacolo Augenblick L’istante del possibile, coprodotto dalla compagnia Amaranta/Orma Fluens vincitrice del premio residenza presso lo spazio di Tor Pignattara. Paragonabile ad altre forme teatrali – promenade, teatro sensoriale, teatro partecipativo, teatro one on one, site-specific performance – il Teatro Immersivo sta riscuotendo ampio successo negli Stati Uniti e ancor più nel Regno Unito, patria del gruppo Punchdrunk fondato nel 2000 da Felix Barrett e riconosciuto come pioniere del genere.

In questi spettacoli lo spettatore dovrebbe svolgere un ruolo attivo, non più abbandonato sulla sedia in uno stato di osservazione e contemplazione, ma spronato a intervenire nella costruzione del senso dell’opera che gli si presenta come una struttura modulare aperta, il cui universo semantico si costruisce sulla possibilità, secondo quella tipologia di fruizione già ampiamente analizzata da Umberto Eco nel saggio Opera Aperta, pubblicato agli inizi degli anni Sessanta. Prendendo in prestito una citazione del semiologo secondo la quale «ogni fruizione è così un’interpretazione e un’esecuzione, poiché in ogni fruizione l’opera rivive in una prospettiva originale» possiamo affermare quindi, forse in maniera tranchant ma efficace, che il Teatro Immersivo si configura come una forma accattivante del fare teatro nel XXI secolo, i cui presupposti estetici sono però fondati su radici ben consolidate e lungi dall’essere innovative. L’androne del palazzo di Via Francesco Baracca è diventato l’entrata di accesso al Teatro Studio Uno, le cui due sale, il foyer e il cortile sono stati trasformati negli ambienti della Residenza Sogol, una dimora degli anni Trenta-Quaranta del Novecento. All’entrata veniamo divisi in gruppi di quindici persone e istruiti da una voce guida a indossare una maschera neutra e a non toglierla fino a quando non si abbandonerà la performance, o ci si recherà al bar ricavato in uno degli spazi adiacenti al cortile, dove è possibile chiedere un drink e uscire momentaneamente dallo “spettacolo”. È vietato parlare e ci viene consigliato di esplorare l’ambiente avventurandoci possibilmente da soli e non in compagnia, in caso di bisogno possiamo rivolgerci a dei “controllori” con indosso delle maschere nere che saranno a nostra completa disposizione.

La scenografia che abita lo spazio è impeccabile, a stento riconosciamo i locali del teatro. La cura dei dettagli è di una perfezione maniacale, tanto negli oggetti (giornali, soprammobili, libri, vestiti, arredamento) quanto negli odori, tutto ciò che ci circonda ci riporta indietro nel tempo, in una dimensione esperita lontana dalla nostra realtà quotidiana e perciò straniante. Un biglietto datoci all’ingresso attesta che la nostra presenza e «vicinanza sarà viatico per la grave mancanza. Vi invito […] affinché possiate accompagnarmi nell’ultimo saluto a Pierre». A parlarci è Lisa Sogol, moglie del disperso Pierre «accademico rivoluzionario, esploratore infaticabile». Iniziamo così a entrare negli attimi della vita e del pensiero della moglie dello scienziato, di Julie, di Marie, del Prof. Peeters, del maggiordomo Jacob e di René. La drammaturgia scenica di Emiliano Loria e Riccardo Brunetti, anche regista, muove letteralmente i passi dal libro di René Daumal Il Monte Analogo: partendo dal concetto di esplorazione – di se stessi, dell’altro e in questo caso anche dello spazio – si vuole indagare le relazioni umane attraverso uno scrupoloso studio relativo alla biografia scenica dei personaggi che ruotano attorno a noi. Siamo osservatori partecipanti di una vicenda che gradualmente prende forma affiorando alla nostra comprensione; le azioni dei performer si ripetono ciclicamente permettendo così di scegliere ogni volta diversi punti di vista. Tutto si svolge senza che vi sia però la benché minima interazione tra gli spettatori e i personaggi: diventiamo col passare del tempo (la performance intera ha una durata di tre ore ma si è liberi di lasciare lo spazio quando si vuole) degli intrusi che vagano per una casa ormai esplorata, assistendo per circa tre volte alle stesse azioni e battute di un copione che, invece di farsi in divenire, si ripete e si cristallizza. Quando proviamo a occupare una delle sedie attorno al tavolo, dove per l’ennesima volta i protagonisti si siederanno, sperando così che al gesto di partecipazione/creazione del fruitore corrisponda quindi un’azione/reazione del performer, gentilmente veniamo invitati dai “controllori” ad alzarci e spostarci.

Alla cura scenografica non corrisponde purtroppo un’attenzione alla drammaturgia e alle potenzialità di un simile meccanismo scenico. L’immersione resta dunque parziale, privando lo spettatore di costruire attivamente lo spettacolo, il quale continua a ripetersi ininterrottamente e senza alcun cambiamento, come fosse un film. Il fruitore si perde, sentendosi un visitatore estraneo e passeggero decide allora di togliersi la maschera e di interrompere il percorso, ringraziando l’usciere dal volto coperto esce allora dalla porta della Residenza Sogol.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

visto al Teatro Studio Uno- febbraio 2015

AUGENBLICK – L’istante del possibile [prima nazionale]
Una Coproduzione Amaranta/Orma Fluens – Teatro Studio Uno
Regia Riccardo Brunetti
Drammaturgia Emiliano Loria, Riccardo Brunetti
Allestimento Amaranta / Orma Fluens
Performer Alfredo Pagliuca, Carolina Bevilacqua, Emanuele Nargi,
Paola Scozzafava, Riccardo Brunetti, Sandra Albanese, Silvia Ferrante
Falegname e Costruzioni Speciali Leonardo Mian
Sarta Rosanna Notarnicola
Consulente ai Costumi Debora Mian
Tecnica Cristiano Milasi
Strategie di Comunicazione Amaranta
Webmaster Alfredo Pagliuca
Social Networks Paola Scozzafava
Foto Eleonora Loria
Illustrazioni Eugenio Sicomoro
Andrea Sampalmieri, Anna Maria Avella, Emiliano Trimarco, Paola Caprioli, Valeria Marinetti.
Con l’insostituibile supporto della Famiglia Ferrante/Chiarolanza, della Famiglia Amoruso/Sbordoni Angelotti della Famiglia Toscani Irina Mian.

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

3 COMMENTS

  1. Salve Lucia, ieri sera ho fatto un commento al volo su fb alla tua recensione, in cui notavo che il tuo aggancio a Umberto Eco è giustissimo. Il giudizio finale però mi sembra troppo tranchant… soprattutto poco utile per noi che dobbiamo lavorarci sopra e migliorare… Visto che Augenblick tornerà in scena, saremmo lieti se tu tornassi a vederci …

  2. Caro Emiliano,
    lieta di avere uno scambio di vedute riguardo il vostro lavoro. Mi spiace che il mio parere possa esserti sembrato poco utile, ho cercato di descrivere con attenzione quale fosse l’impostazione della performance e le sue condizioni, riscontrando grande cura nella scenografia ma poca nella drammaturgia scenica, la quale avrebbe potuto tenere maggiormente in considerazione il ruolo attivo dello spettatore definito fruitore/esecutore, prendendo umilmente in prestito la citazione di Umberto Eco da te apprezzata. Io stessa mi sono messa in gioco provando a occupare una delle sedie del tavolo, con la speranza che dal mio gesto potesse scaturire una reazione del performer e invece sono stata invitata ad alzarmi, non da un attore ma da una maschera. Come scrivo nell’articolo, che ho piacere a ribadire qualora fossi stata poco chiara, ho visto spettatori spaesati, i quali dopo aver esplorato questa particolare dimensione e osservato la storia da altrettanti punti di vista, restavano a guardare ancora una volta un copione ripetuto e non in divenire. Suggerivo quindi, in conclusione, di sfruttare a fondo le potenzialità del teatro immersivo, tenendo conto della presenza degli spettatori e del ruolo di partecipazione che loro stessi si aspettano di possedere all’interno del meccanismo scenico. Sperando che questo mio ulteriore chiarimento possa essere proficuo, ti ringrazio per aver letto e commentato. Lucia

  3. Grazie a te Lucia di queste parole. Te ne sono particolarmente grato. C’è tanto da fare naturalmente…. quello che ho notato è stata la crescita e la cura che i ragazzi hanno messo durante i 10 giorni di replica, lavorando anche nella direzione che dici tu. E stiamo già rimettendo mano, anche in fase di scrittura, per “aggiustare” e cambiare alcune cose grazie all’opportunità concessaci da Teatro Studio di tornare in scena. Il rodaggio di questa esperienza è stato preziosissimo anche grazie al lavoro di voi critici. Spero dunque che potrai tornare in autunno. Intanto ti auguro buon lavoro.

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